Il costo del denaro sale al massimo dal 2007 negli Usa e vale più dell’inflazione. La Federal Reserve, come da attese, aumenta il costo del denaro di un altro 0,25% portandolo così al 5,25% contro un carovita al 5%. Il mercato si aspettava anche l’annuncio di una pausa nella stretta monetaria, ma il presidente della Fed, Jerome Powell, ha detto che “non è stata decisa una pausa” durante il meeting. La banca centrale americana ha rimosso una frase dal comunicato che recitava che “alcuni aumenti di policy aggiuntivi potrebbero essere appropriati“. Ma come al solito, Powell ha rimarcato che qualsiasi futuro aumento dei tassi sarà “dipendente dai dati” escludendo comunque un taglio dei tassi quest’anno se i prezzi resteranno sostenuti. Entro l’anno, riportando le previsioni degli esperti della Fed, potrebbe invece esserci una “leggera recessione” anche se mister Fed ci crede poco. Queste ultime dichiarazioni hanno deciso l’andamento dei mercati.
L’esclusione di un taglio tassi ha fatto chiudere Wall Street in negativo, dopo una giornata passata in territorio più che positivo. Il mercato, considerando appunto la contrazione dell’economia, punta da tempo in una retromarcia della Fed in autunno. Non è detto comunque che gli investitori non ritenteranno la grande scommessa nelle prossime settimane, anche se la Fed – partita tardi col rialzo tassi – non sembra intenzionata a farsi condizionare per non essere accusata di far ripartire una seconda ondata inflattiva, com’era accaduto negli anni ’70. La recessione annunciata – che tuttavia non è detto che accada vedendo i dati forti del lavoro Usa e dei servizi – continua ad affondare il prezzo del greggio.
I signori del petrolio, ovvero Emirati Arabi e Arabia Saudita, hanno immediatamente copiato la decisione della Fed, portando i tassi rispettivamente al 5,15% e al 5,75%, anche perché il Riyal saudita è ancorato al dollaro. I futures sull’oro nero invece sono ulteriormente scivolati di oltre 4 punti percentuali: il Wti texano dopo le 22 era scambiato addirittura a 68 dollari al barile, mentre il Brent valeva poco più di 71 dollari. Condizioni finanziarie più restrittive spingeranno le principali economie a contrarsi. Inoltre, una frenata e a sorpresa della manifatturiera cinese ha lanciato l’allarme su una contrazione globale. A chiudere la giornata negativa del petrolio l’ultimo rapporto settimanale dell’Eia americana, che ha mostrato come le scorte di benzina negli Stati Uniti siano aumentate inaspettatamente la scorsa settimana.
Oggi toccherà alla Bce comunicare la sua politica restrittiva. Scontato un aumento dei tassi, che secondo le attese del mercato sarà dello 0,25%. Se però la Fed è arrivata al capolinea anche se ufficialmente non è stata annunciata la pausa, la Bce domani alzerà il costo del denaro al 3,75%, ovvero un punto e mezzo inferiore a quello statunitense. La stretta probabilmente continuerà dunque, nonostante l’inflazione sia dovuta per due terzi all’aumento dei margini aziendali. I prezzi energetici sono in discesa e non preoccupano più i banchieri centrali, però se il gas dovesse salire in autunno, considerando la necessità di riempire gli stoccaggi, la Bce avrebbe le armi spuntate per fermare i rincari.