Investimenti green, fondi sostenibili e proiezioni future: parla Borsellino di Generali

L'Head of Governance & Sustainability di Generali Asset & Wealth Management: "Il tema della mitigazione del cambiamento climatico assume proporzioni globali"

Per raggiungere i target climatici e ambientali, da qua al 2050 servono decine di trilioni di dollari. Governi e istituzioni internazionali emettono bond e creano regolamenti per raggiungere questi obiettivi, tuttavia sarà determinante il ruolo che giocheranno la finanza e i risparmiatori.
 

Dottor Borsellino, la transizione energetica ed ecologica porta con sé rilevanti costi. Quale ruolo ha scelto Generali A&WM per accompagnare imprese e investitori verso l’obiettivo della decarbonizzazione?
Il tema della mitigazione del cambiamento climatico assume proporzioni molto importanti, globali, sia per le istituzioni finanziarie sia per i risparmiatori. A livello di investimenti, vi sono rilevanti costi e opportunità connessi a questa importante tematica. In questo senso, gli asset manager hanno innanzitutto un obbligo verso i propri clienti su tematiche finanziarie e legate alla sostenibilità. Da anni, già da prima del 2007, stiamo investendo risorse in analisi su tematiche di sostenibilità e su come inserire tali considerazioni all’interno del processo di investimento. Questo lo facciamo per i nostri clienti, sia quelli con un approccio più maturo, sia quelli meno interessati alla decarbonizzazione. Questo approccio risulta coerente con il fatto che Generali si è data target specifici legati alla mitigazione del cambiamento climatico, basati sulle indicazioni Onu. Tra questi, l’obiettivo di azzerare progressivamente gli investimenti nel settore carbonifero entro il 2030 per i Paesi Ocse ed entro il 2040 nel resto del mondo. Ma i target sono anche di breve periodo: per questo il gruppo punta a una riduzione del 25% dell’impronta carbonica dei portafogli diretti in azioni e obbligazioni societarie entro tre anni, e a un allineamento di almeno il 30% del valore del portafoglio immobiliare alla traiettoria di riscaldamento globale pari a 1,5°C.

Operativamente quali sono le vostre strutture in campo?
Al fine di soddisfare tali necessità, all’interno della nostra business unit, per esempio, Generali Insurance Asset Management (Giam), ha stabilito processi e tool per gestire gli asset dei clienti in linea con i rispettivi obiettivi di decarbonizzazione. Su tale tema, Giam ha inoltre preso un commitment a disinvestire dal carbone entro il 2040 in tutto il mondo. Un altro esempio è Generali Real Estate, il nostro pilastro nel segmento immobiliare, che ha sviluppato una strategia per l’implementazione di azioni mirate calcolando, ad esempio, le emissioni di gas serra sul proprio portafoglio. Certo, ci sono costi associati molto importanti, ma fanno parte della scelta strategica e quindi degli investimenti.

Ha un ruolo il risparmio gestito nella transizione?
Assolutamente, un primo elemento viene dai dati…

Si riferisce al fatto che i fondi cosiddetti sostenibili hanno risentito meno di un deflusso negli ultimi mesi? Come si spiega?
In una situazione critica per tutte le asset class, nel terzo trimestre c’è stata una contrazione minore per i fondi green rispetto a quelli tradizionali. Nel corso dell’anno, inoltre, i fondi ESG sono stati impattati molto meno e sono cresciuti in termini di importanza, tanto che a fine settembre, a livello globale, hanno raggiunto 2,2 trilioni di dollari.

Questo cosa significa?
Che c’è un trend molto significativo dal punto di vista della richiesta, sia retail sia istituzionali, anche per una spinta regolamentare importante. A mio avviso, questi movimenti vanno sempre inquadrati in un’ottica di medio-lungo termine, al di là della volatilità specifica del mercato. Anche gli investimenti ESG conosceranno accelerazioni e decelerazioni, ma il trend rimane sano e robusto. Oltre a far transitare l’economia da un modello brown a uno green, bisogna inoltre tener conto del fatto che questa transizione avvenga in maniera ragionevole e non crei altre disparità sociali, considerando bene gli impatti sociali che la transizione possa comportare sull’economia reale. È necessario a tal fine rafforzare l’attività di active ownership; una della maggiori sfide del futuro è quella del dialogo, soprattutto per evitare disinvestimenti.

Servirebbero incentivi fiscali per agevolare investimenti su rinnovabili ed economia circolare?
Sono importanti gli incentivi fiscali nell’ambito dei prodotti finanziari, nel senso che le storie di successo dei nuovi veicoli finanziari creati sono sempre state collegate a un elemento di incentivo fiscale. In questo caso lo sgravio dovrebbe andare anche all’aziende che investono nella transizione, non solo al retail. Nonostante l’importanza del tema verso una produzione a bassa emissione, l’imprenditore non sempre tocca con mano il valore di puntare su queste operazioni. In generale è utile favorire una fiscalità agevolata e sostenibile, incentivando i prodotti.

Forse ci dovrebbe essere una maggiore trasparenza dei prodotti, nel senso una maggiore specificazione dell’ambito concreto di investimento?
Serve un’offerta di prodotti con obiettivi di sostenibilità più trasparente e concreta. C’è interesse e una domanda ancora non chiaramente catturata verso gli investimenti in rinnovabili, che stanno crescendo rapidamente, sia da parte dei Paesi che degli investitori. Sono diversi i fattori in gioco e il tempo è un elemento chiave. L’Unione Europea sta ora lavorando in maniera utile per permettere anche al retail, lì dove appropriato e sempre attraverso un’adeguata consulenza finanziaria, di investire su progetti concreti e incentivati, attraverso gli Eltif, European long term investment funds, che insistono sul debito infrastrutturale oltre che su rinnovabili, sostenibilità e transizione.

La Bce ha fatto sapere che sosterrà maggiormente gli investimenti green. La strada sembra tracciata…la crisi energetica e la guerra hanno accelerato la svolta green?
È vero che la guerra ha evidenziato inconsistenze su come alcuni temi Esg fossero stati tradotti all’inizio di questo percorso. La guerra ci ha messo di fronte a necessità di approvvigionamento energetico di Paesi che, in maniera molto miope, si erano affidati per il 40% a un unico fornitore… Quindi come fai ora? Possiamo permetterci di non usare né investire più in combustibili fossili? Al di là della volatilità dei prezzi, la guerra ha evidenziato i limiti delle impostazioni ad escludendum dello schema della transizione pre-guerra in Ucraina. Rimane il fatto che il conflitto avrà, nel lungo termine, impatti positivi rispetto alla transizione, sempre più convinta. Sarà tuttavia necessario un investimento pubblico e l’assistenza di tutte le componenti economiche e finanziarie, risparmio gestito compreso, che possono incentivare il cambiamento. Anche la Bce, da ultimo, si è data obiettivi per operare in maniera sostenibile. Duecento anni di economia basata su fonti fossili non possono tuttavia essere sospesi in modo brusco: la transizione va accompagnata ed agevolata.