Una filiera, che rappresenta più del 4% del fatturato del comparto agroalimentare italiano, per un valore di oltre 6 miliardi di euro, e che vede coinvolti più di 230mila addetti in oltre 135mila aziende attive in tutte le regioni del nostro paese. È questa la fotografia del settore del bovino italiano, emersa durante il simposio internazionale ‘Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile’, organizzato da Assocarni in collaborazione con Coldiretti.
Un comparto che dagli anni ’60 ad oggi ha visto crollare drasticamente il numero dei suoi allevamenti, registrando un calo del 91%: 60 anni fa erano 1 milione e mezzo, così come è diminuito il numero di capi allevati, con un calo del 35%, passando da quasi 10 milioni di unità a poco più di 6 milioni. Oggi in Italia mangiamo 8,54 chili di carne bovina pro capite all’anno, valore vicino alla quantità che si mangiava nei primi anni ’60 e ben lontano dai quasi 14 chili a persona del boom economico. “La crisi che stiamo vivendo – spiega Luigi Scordamaglia, Presidente di Assocarni – con la relativa contrazione dei consumi e l’emergere di fenomeni allarmanti come l’aumento del food social gap, dove sempre più persone devono rivedere al ribasso le proprie scelte alimentari, vedrà ancora scendere la presenza delle proteine nobili della carne nei carrelli della spesa degli italiani, con effetti preoccupanti sulla dieta delle famiglie”.
Ma la vera sfida del settore si gioca ora in Europa. “Le politiche che arrivano da Bruxelles – dice Scordamaglia – sembrano voler andare inesorabilmente verso lo smantellamento della produzione delle nostre eccellenze, e dell’allevamento in primis, con rischi non solo per chi oggi lavora in quelle filiere, ma anche in termini di sicurezza alimentare, condannando l’Italia alla dipendenza da paesi terzi che producono con standard meno elevati dei nostri anche dal punto di vista ambientale”.
Con la strategia Farm to Fork, infatti, la Commissione europea – tra le altre cose – mira a incentivare la produzione e il consumo di alimenti vegetali e a diminuire quella di carne e latticini. Negli ultimi anni, spiega Salvatore De Meo, eurodeputato componente della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale AGR, “si è fatto strada, anche a livello comunitario, un ambientalismo troppo ideologico che non ha niente a che vedere con la vera protezione dell’ambiente e la relativa transizione, ma che strumentalizza le preoccupazioni dei cittadini per attaccare apertamente determinati prodotti e tradizioni alimentari europee”. La carne rossa, afferma De Meo, “è al centro di questa campagna di demonizzazione che parte da una distorsione dell’agricoltura e dell’allevamento, tacciati come uniche cause del cambiamento climatico. In questa confusione perdono importanza le basi scientifiche delle ricerche e non si distingue più tra uso e abuso, qualità e quantità. In un momento in cui le aziende agricole sono in seria difficoltà e la sicurezza alimentare europea è a rischio, l’Europa non può permettersi politiche approssimative che mettono ancora più in difficoltà il settore agroalimentare”.
(Photo credits: DENIS CHARLET / AFP)