Sicurezza energetica, riduzione delle emissioni e investimenti nella tecnologia più “rivoluzionaria”. Sono alcuni dei pilastri su cui si fonda il Piano strategico 2023-2026 di Eni, presentato oggi dall’amministratore delegato, Claudio Descalzi, e dalla presidente, Lucia Calvosa. Per raggiungere gli obiettivi l’azienda mette sul piatto 37 miliardi di euro nel quadriennio (di cui 9,5 miliardi solo nel 2023), ben il 15% in più rispetto al Piano precedente. Con una spesa destinata alle attività zero e low carbon pari a circa il 25% degli investimenti. Perché l’attenzione alla transizione ecologica è palpabile, al punto che Eni conferma gli obiettivi di riduzione delle emissioni: -35% entro il 2030, -80% al 2040, per poi arrivare a net zero entro il 2050.
Non solo, perché le stime sulle nuove fonti di energia prevedono che la capacità di generazione rinnovabile di Plenitude aumenterà a oltre 7 Gigawatt entro il 2026, per poi superare i 15 Gw entro il 2030. Nel frattempo, tra i target c’è anche quello di raddoppiare i punti di ricarica entro il 2026. Non a caso la previsione è che l’Ebitda di Plenitude aumenti per il 2026 di tre volte rispetto al 2022. Restando sulle stime, in base allo scenario delineato, la società genererà un flusso di cassa prima del capitale circolante di oltre 17 miliardi di euro nel 2023 e di oltre 69 miliardi di euro nel corso del Piano, con un aumento del 25% nel 2026 rispetto al 2023. Questo consentirà di finanziare gli investimenti e potenziare la remunerazione agli azionisti, mantenendo il leverage tra il 10-20%.
Numeri ambiziosi che guardano in prospettiva. Ma anche il recente passato non è affatto male, visto che l’utile netto realizzato nel 2022 è di 13,3 miliardi di euro: un aumento di 9 miliardi rispetto all’anno precedente. Mentre l’utile operativo adjusted di gruppo nell’esercizio 2022 è addirittura di 20,4 miliardi, raddoppiato rispetto al 2021. Risultati che fanno esultare Descalzi: “Quelli operativi e finanziari che abbiamo raggiunto sono stati eccellenti”, con un occhio attento al green. “Nel 2022 ci siamo fortemente impegnati non solo nel progredire nei nostri obiettivi di sostenibilità ambientale, ma anche nel garantire la sicurezza energetica all’Italia e quindi all’Europa, costruendo una diversificazione geografica e delle fonti energetiche”. Restando sul tema, l’ad sottolinea anche “il progresso nei piani di decarbonizzazione”, con Plenitude che ha raggiunto “2,2 Gw di capacità rinnovabile, il doppio dello scorso anno, e sarà affiancata dalla neo costituita Eni Sustainable Mobility nel portare avanti il piano di azzeramento delle emissioni dei clienti”.
La base di lavoro è fatta, ora però va risolto il nodo del rinnovo dei board. Perché Eni è in scadenza questa primavera, ma ancora non c’è un’indicazione precisa da parte del governo, azionista di riferimento col Mef, sul futuro di Descalzi. Il manager glissa: “Quello che voglio io non conta nulla, perché non sono io a decidere”. Incalzato dai cronisti, l’ad fa un piccolissimo passo in più: “Il Piano l’ho fatto io, ma nessuno è indispensabile. Eni è forte. Può fare anche senza di me? Sì. A tutti piacerebbe guidare la macchina, ma se ciò non accade va avanti lo stesso”. Non risponde nemmeno alle fonti leghiste che a inizio settimana chiedevano un cambio di passo nella governance delle due principali partecipate: “Non ho commenti, non li voglio fare attraverso i giornali. Parlerò con chi lo ha detto o mi parleranno loro”, taglia corto Descalzi.
Che preferisce piuttosto concentrarsi sulle sfide di Eni. “L’urgenza di raggiungere la sostenibilità ambientale e il mix energetico sono sempre più priorità”, ma questo deve camminare di pari passo con “sicurezza energetica e sostenibilità economica”. Inoltre sono fondamentali la “diversificazione geografica delle fonti e il mix energetico diverso nel tempo, mettendo in campo tecnologie all’avanguardia”. Anzi, l’amministratore delegato puntualizza: “La nostra strategia si basa su una incessante attenzione alle nuove tecnologie”, anche in chiave decarbonizzazione.
Sul gas, poi, spiega che “la situazione degli stoccaggi è migliore di quello che si poteva aspettare, perché siamo partiti da oltre il 94%: questo ha fatto sì che si arrivasse ora al 64% circa”, dunque “la probabilità è che, se il clima continuasse così, avremo il doppio del gas stoccato rispetto all’anno scorso, forse potremmo finire anche sopra il 50%, ma queste sono tutte probabilità”. Di una cosa è sicuro Descalzi: “Tutti stiamo monitorando cosa accadrà a marzo, aprile, maggio, giugno e luglio: vogliamo vedere se abbiamo tutte le infrastrutture per riempire le riserve. Del rigassificatore di Piombino ne abbiamo bisogno, è essenziale, non c’è scelta altrimenti non arriverà il gas in Italia”.
Sul piano del governo di fare dell’Italia l’hub europeo del gas, poi, ha un’idea precisa. E’ fattibile, ma con “omogeneità di tariffe e regole per il gas in tutta Europa” e infrastrutture che colleghino il sud al nord, ma prima di tutto “bisogna capire se effettivamente l’Europa ci sta, se ci sono capitali da mettere nelle infrastrutture e che tempi ci sono per queste infrastrutture”. Restando in campo continentale, alla domanda se il price cap sia il motivo per cui è calato il prezzo del gas risponde positivamente: “Dà un segnale agli speculatori che esiste un limite, andava fatto molto prima”. Anzi, “doveva essere fatto subito”.