Il gruppo Stellantis è “pronto” per la transizione ecologica e il passaggio all’elettrico totale, ma servono “importanti iniezioni di incentivi” per consentire ai cittadini di acquistare auto necessariamente più costose delle altre. E’ la posizione che Carlos Tavares porta davanti alle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato, chiedendo alla politica un aiuto “non per il gruppo, ma per i vostri cittadini“.
Parole che non piacciono, trasversalmente, ai partiti. La maggioranza è tiepida, ma chiede comunque garanzie e chiarezza. L’opposizione sale sulle barricate. La segretaria del Pd Elly Schlein interpreta esplicitamente il crollo della produzione in Italia come un “disimpegno“. Il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, chiede che sia il presidente John Elkann in persona a “rispondere allo Stato italiano“: “Gli incentivi fiscali li avete già presi, negli anni recenti oltre un miliardo e mezzo. Avete portato a casa 6,3 miliardi, ma se va a rileggere le clausole c’erano impegni sui livelli occupazionali che non avete mantenuto“, tuona. “Indignati” si dicono i deputati di Avs con Marco Grimaldi: “Siamo davanti all’eutanasia di un gruppo industriale. In vent’anni da capitale dell’automotive Torino è diventata capitale della cassa integrazione“, dice in audizione.
Il più duro, ancora una volta, è il leader di Azione, Carlo Calenda, che parla di “falsità inaccettabili“: “è venuto qui a fare un sacco di chiacchiere, da cui emerge come unica certezza che il milione di auto, sbandierato come obiettivo, non esiste più”, afferma.
“Io non parlerò mai di un milione di veicoli, ma di un milione di clienti“, replica Tavares. “Se avessimo un milione di clienti, vi posso garantire che il sistema manifatturiero in Italia potrebbe produrre un milione di veicoli. Non chiediamo soldi per noi, noi chiediamo a voi di aiutarci per consentire ai cittadini di accedere alle auto elettriche, non sono soldi che vanno a Stellantis. Un milione sono i clienti che devono essere messi in condizione di acquistare“. “Così sono buono pure io“, controbatte Calenda, gridando al “ricatto inaccettabile, che avviene ogni volta“.
Tavares arriva a Montecitorio nel giorno in cui Detroit ricorda che il suo stesso futuro è incerto, perché è iniziato il processo formale per identificarne il successore, quando lascerà l’incarico al termine del mandato di Ceo, all’inizio del 2026.
Il momento è complesso, osserva l’ad, ammettendo che “le regole europee non sono tra le migliori“, ma ribadisce: “non le abbiamo scritte noi e ora dobbiamo dare il nostro contributo“. A chi accusa il gruppo di aver messo in atto una volontà precisa di produrre di più in Francia che in Italia, il Ceo replica senza mezzi termini: “Abbiamo la fortuna di avere un’ottima governance, una governance forte, eccellente, equilibrata. Non c’è nessun rappresentante dello Stato francese all’interno del board. Smettiamola di pensare che ci sia un’influenza esterna che voglia mettere l’Italia all’angolo. Se voleste fare le vittime di un’influenza politica esterna non sarei qui a parlarvi“.
Neanche la promessa che il gruppo non abbandonerà l’Italia (“lotteremo come i dannati per mantenere la nostra leadership“, dice l’ad) basta a raffreddare gli animi dei sindacati, anzi, l’audizione “conferma e rafforza le ragioni dello sciopero unitario del 18 ottobre con manifestazione nazionale a Roma“, fa sapere Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile settore mobilità. Non c’è stata “nessuna rassicurazione concreta sul futuro degli stabilimenti italiani e sulla salvaguardia occupazionale di tutti i lavoratori“, fa eco Rocco Palombella, segretario generale di Uilm. “Tavares dice di non voler andare via dall’Italia ma in tre anni – ricorda – abbiamo perso oltre 12 mila posti di lavoro“.