Ci sono molti modi di cercare Dio. Si dice che quando abbia preso possesso degli appartamenti di Castel Gandolfo, dopo la morte di Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI abbia fatto spostare il letto della stanza. Lo fece posizionare in modo che la prima cosa che vedesse al risveglio fossero i colli e il lago.
Il Papa bavarese, morto oggi dopo che nei gironi scorsi le sue condizioni si erano aggravate, aveva un rapporto strettissimo con la natura, con la montagna in particolare. I suoi discorsi sull’ambiente gli valsero il soprannome di ‘Papa verde’. A contatto con la natura, diceva, la persona ritrova la sua giusta dimensione, “si riscopre creatura, piccola ma al tempo stesso unica, ‘capace di Dio’ perché interiormente aperta all’Infinito”.
Con la natura, sosteneva Joseph Ratzinger, l’uomo “percepisce nel mondo l’impronta della bontà, della bellezza e della provvidenza divina e quasi naturalmente si apre alla lode e alla preghiera”.
L’1 luglio del 2007, nel discorso di saluto al nuovo ambasciatore d’Islanda presso la Santa Sede, pronunciò parole profetiche, denunciando la “fame di energia” dei Paesi industrializzati, che depaupera le risorse della Terra, determinando uno “sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, con l’illusione che esso sia a piacimento e a tempo indeterminato”.
“Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali?”, ammoniva nel Messaggio per la Giornata per la Pace 2010, dedicato all’ambiente, in coincidenza con la conferenza dell’Onu di Copenaghen. Sono tutte questioni, osservava il Pontefice, che hanno un “profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo”. In quella occasione, tra i primi, parlò di profughi ambientali: “persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare, spesso insieme ai loro beni, per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato”.
L’abuso ‘politico’ del pianeta e dell’ambiente, avvertiva Ratzinger, minaccia l’umanità tanto quanto le guerre e il terrorismo: “Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale (guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani), non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza, se non addirittura dall’abuso, nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito”.
Se si vuole coltivare la pace, è necessario custodire il Creato, confermava poi nell’enciclica ‘Caritas in Veritate’. Nella lettera individuò un legame stretto tra lo sviluppo umano integrale e i doveri del rapporto dell’uomo con la natura, il cui uso comporta, scriveva, una “comune responsabilità verso l’umanità intera e specialmente i poveri e le generazioni future”. E richiamava l’umanità a rivedere profondamente e in modo lungimirante il modello di sviluppo, riflettere sul senso dell’economia, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni: “Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo”.
Anche la Chiesa, era convinto, è chiamata a fare la sua parte dal momento che “ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso”.