E’ stato uno dei protagonisti della storia politica e istituzionale italiana. Giorgio Napolitano si è spento all’età di 98 anni, compiuti lo scorso 29 giugno. Napoletano, anzi, orgogliosamente napoletano, spostato per oltre 60 anni con Clio Maria Bittoni, con la quale due figli, Giovanni e Giulio, nella sua lunga vita ha ricoperto diversi incarichi di prestigio, ma rimarrà nella storia soprattutto per essere stato il primo presidente della Repubblica a essere eletto per due mandati consecutivi, nel maggio del 2006 (con 543 voti) e ad aprile 2013 (con 738 preferenze), sebbene il secondo sia arrivato per le condizioni di stallo totale delle forze politiche sul nome del possibile successore e fu interrotto dalle sue dimissioni dopo appena due anni, il 14 gennaio 2015.
Laureato in giurisprudenza nel 1947, iniziò la sua attività politica ben presto, nel 1945-46 nel movimento per i Consigli studenteschi di Facoltà, poi dal 1945 con l’iscrizione al Partito comunista italiano. Il suo esordio nelle istituzioni avvenne nel 1953, con l’elezione alla Camera dei deputati, di cui è stato membro sino al 1996, a parte il quinquennio 1989-1992 nel quale è stato eletto al Parlamento europeo, dove tornò nella legislatura 1999-2004. Di Montecitorio è stato anche presidente nell’undicesima legislatura, dal 1992 al 1994.
Nella sua carriera politica c’è anche l’esperienza come ministro dell’Interno e per il coordinamento della protezione civile nel Governo Prodi, dal maggio 1996 all’ottobre 1998. Nel settembre 2005 fu stato nominato senatore a vita dall’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, di cui un anno dopo diventò il successore al Quirinale.
Napolitano, figlio di un’epoca totalmente diversa, già rappresentante delle istituzioni negli anni del boom industriale ed economico, nel corso del suo mandato ha sempre dedicato un’attenzione particolare ai temi dell’ambiente, anche quando il dibattito pubblico non riteneva che il tema meritasse centralità o quantomeno priorità nell’impostazione delle politiche di sviluppo.
Fu tra i primi a denunciare i rischi di un cambiamento climatico che stava già mettendo a durissima prova i territori dell’Italia e dell’Europa. Uno dei discorsi più incisivi dell’ex presidente della Repubblica sull’argomento è dell’aprile 2007, a Riga, per la Conferenza ‘Vivere in Europa e il Mondo – Responsabilità per le nuove generazioni; interrelazioni tra la tutela dell’ambiente, l’uso delle risorse energetiche e lo sviluppo’. “L’impegno unilaterale assunto dall’Unione al Consiglio europeo dell’8-9 marzo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 20% entro il 2020, e di giungere al 30% qualora anche gli altri Paesi sviluppati ed i Pvs economicamente più avanzati facciano la loro parte, è un importante segnale lanciato al resto del mondo”, disse il capo dello Stato in Lettonia. Che elencò anche i target posti dal Vecchio continente: “Risparmiare il 20% del consumo di energia rispetto alle stime per il 2020”, “fare in modo che le energie rinnovabili coprano nel 2020 il 20% del consumo totale di energia” e “raggiungere entro la stessa data un livello minimo di bio-combustibili del 10% sul consumo totale dei trasporti, in tutti gli Stati membri”.
Napolitano vide lungo anche sull’energia. Nella stessa occasione aggiunse, nel suo intervento, che dall’analisi delle stime “relative all’aumento della domanda mondiale di energia – destinata a crescere, entro il 2030, di circa il 50% – si comprende quanto sia necessaria e stringente una forte azione unitaria dell’Unione europea”. Parole sentite più volte, anni dopo, da premier e ministri. All’epoca il presidente della Repubblica disse: “E’ stato calcolato che nel 2030 l’Europa sarà dipendente dall’estero per oltre l’80% del suo consumo di gas e per oltre il 90% del suo fabbisogno di petrolio. Aumenterà contemporaneamente anche la domanda di energia delle potenze emergenti come la Cina e l’India, che cercheranno nuovi contratti di approvvigionamento nelle regioni dell’Asia centrale, dell’Africa e del Medio Oriente. Parte della nostra sicurezza economica sarà quindi legata agli sviluppi e ad eventuali tensioni nei Paesi produttori. Si tratta di sfide che possiamo vincere solo uniti”. Oggi si può dire serenamente che aveva ragione da vendere.
E ancora, sempre nel 2007, nel mese di settembre, intervenendo alla Conferenza organizzato alla Fao dall’allora ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Alfonso Pecoraro Scanio, disse senza troppi giri di parole: “Sono convinto che quello del cambiamento climatico e del futuro dell’ambiente sia uno dei più gravi e complessi problemi globali del nostro tempo” e “per influenzare intese e sforzi coordinati, che devono realizzarsi a livello mondiale innanzitutto, è essenziale che l’Europa parli con una sola voce”. Parole che, se trasferite ai giorni d’oggi, sono ancora di straordinaria attualità.
Nel 2013, poi, in un messaggio alla Conferenza nazionale ‘La natura dell’Italia’, Napolitano scriveva: “La difesa dell’ambiente e della biodiversità, la gestione sostenibile delle risorse naturali, la valorizzazione del paesaggio e del territorio rappresentano una sfida cui vanno date risposte urgenti nel nostro Paese, colpito anche di recente da eventi calamitosi riconducibili ad errori e carenze nella gestione di un territorio fragile e prezioso come quello italiano”.
La sua eredità politica è ancora “viva e vibrante”, locuzione che spesso e volentieri amava utilizzare nei suoi discorsi pubblici. Del resto, la lungimiranza è una dote che tutti, anche quelli che un tempo furono i suoi avversari, gli hanno sempre riconosciuto. Per l’Italia Napolitano, il ‘migliorista’, aggettivo che gli fu associato per la sua appartenenza alla corrente Pci che giudò per anni, con i consigli di Gerardo Chiaromonte e di Emanuele Macaluso, in particolare, è stato, e rimarrà, una figura di riferimento per l’Italia. Addio, Presidente.