Attilio Fontana è stato riconfermato alla guida della Regione Lombardia nelle ultime elezioni regionali di febbraio. Il presidente ha parlato con GEA di sanità, a pochi giorni dall’evento ‘Il nuovo approccio europeo alla salute e le ricadute per il sistema italiano‘, organizzato da Withub, con la direzione editoriale di GEA ed Eunews, che si svolgerà a Roma, presso l’Europa Experience David Sassoli, il prossimo 13 aprile.
Presidente, si fa un gran parlare di sanità pubblica a rischio, tra personale introvabile e bilanci risicati. Com’è la situazione per voi governatori?
“La situazione in Lombardia per quanto riguarda il personale è come quella delle altre regioni. Purtroppo siamo tutti vittime di programmazioni sbagliate fatte negli ultimi 10 anni dai Governi nazionali. Non è stato tenuto conto del fabbisogno sanitario della popolazione, tantomeno nelle specialità più richieste. Così abbiamo carenze di medici di medicina generale – ormai in maggior parte in età pensionabile – anestesisti, ortopedici e altre figure indispensabili per far funzionare al meglio il sistema. Senza contare poi la questione degli stipendi, troppo bassi e poco appetibili, che spingono molti professionisti ad andare all’estero. So che il ministro Schillaci ha già contezza di questi problemi e che intende prendere i primi provvedimenti per la loro soluzione”.
Dopo il Covid su cosa avete investito per superare le criticità che avevate sperimentato?
“Come già avevamo iniziato a fare prima della pandemia, siamo tornati a lavorare sulla gestione dei pazienti cronici – che sono quelli che assorbono il 70 per cento delle prestazioni sanitarie – e sul recupero delle liste d’attesa. Il Covid ha dimostrato che poco c’entrava la medicina territoriale. Purtroppo nella prima ondata, anche se avessimo avuto tanti medici sul territorio, i pazienti con fame d’aria avrebbero potuto essere curati solo in ospedale”.
Nel futuro assisteremo a una sanità d’eccellenza concentrata in pochi siti e tanti presidi di pronto soccorso nel territorio? Le case di comunità potranno funzionare?
“Il progetto è avere tanti presidi sul territorio – come Case e Ospedali di Comunità – che possano evitare il sovraffollamento dei pronto soccorso, non la loro moltiplicazione. Ma perché funzionino abbiamo bisogno della collaborazione dei medici di medicina generale. Soprattutto per i problemi che esponevo, legati alla carenza di personale. Si deve far gruppo e lavorare insieme – medici di base, specialisti ospedalieri e operatori sociali – per una vera presa in carico multidisciplinare del cittadino”.
Nel Pnrr la voce sanità è una delle meno ricche. Come mai, secondo lei, il Recovery nato dopo la crisi pandemica ha puntato meno su una voce che in Italia si è dimostrata più fragile del previsto, privilegiando altri settori?
“Dovrebbe chiederlo a chi lo ha progettato. Per me i soldi investiti in sanità sono sempre troppo pochi. E’ una spesa buona…”.
Durante la pandemia le Regioni hanno mostrato pregi e difetti della regionalizzazione della sanità. Sarebbe il momento di fare un tagliando a questo sistema che vige da decenni?
“Direi che il tagliando fatto durante la pandemia ha evidenziato proprio l’importanza del ruolo delle Regioni. E’ stato grazie a noi se sono state scritte le linee guida che hanno consentito pian piano la ripresa delle attività e sempre grazie alle Regioni se la campagna vaccinale è stata un successo“.
L’autonomia differenziata può aiutare a superare i problemi di bilancio e di reperimento personale?
“Assolutamente sì. Noi oggi riceviamo le risorse dal fondo sanitario nazionale che sono alloccate in cosiddetti ‘silos’ blindati che non ci consentono di destinarle negli ambiti che hanno più necessità. Così capita, per esempio, che abbiamo fondi sulla voce ‘infrastrutture’ in cui non abbiamo bisogno di investire, mentre ci mancano in quella relativa al ‘personale’. Ecco, con l’Autonomia, a parità di risorse ricevute, potremo essere liberi di investire dove abbiamo bisogno“.