L’ambiente è come sempre il terreno di scontro tra associazioni e istituzioni. Anche questa fase storica dell’Italia non fa eccezione. Ad accendere la miccia, stavolta, sono le rinnovabili: l’Italia è impegnata nella strategia di diversificazione del proprio mix energetico, abbandonando per sempre il gas russo per sostituirlo con nuovi accordi sottoscritti con diversi Paesi fornitori dell’Africa, ma nel piano c’è anche l’accelerazione verso le energie alternative. Solo che su tempi e modalità si innesca il corto circuito tra il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e i rappresentanti delle associazioni che si occupano di tutela ambientale. Il campo da gioco lo offre ‘Repubblica‘, con il palco del Festival ‘Green & Blue‘, che ospita in rapida sequenza prima il responsabile del Mite, poi Legambiente, Greenpeace, Wwf, Asvis, Kyoto Club, Italia Nostra, LifeGate, e Fondazione sviluppo sostenibile.
L’atmosfera si scalda praticamente subito, quando Cingolani, stimolato dal direttore di ‘Repubblica‘, Maurizio Molinari, offre una risposta ai cosiddetti ‘rinnovabilisti‘. Per il ministro “non sono un ostacolo”, ma “ci sono alcuni gruppi che prendono delle posizioni tecnicamente indifendibili”. Ad esempio, Cingolani cita l’ipotesi più recente “secondo la quale in 3 anni si potrebbero installare 60 gigawatt di potenza rinnovabile, prevalentemente solare ed eolico, peraltro, perché su altre forme gli stessi ‘rinnovabilisti’ dicono che ci vuole tempo”. L’esperto si ‘limita ad osservare’ che è possibile accelerare, “addirittura si voleva un commissario con pieni poteri che saltasse tutte le regole organizzative”, ma “la realtà è che non basta mettere un impianto”, soprattutto perché esistono delle aree del Paese dove c’è vento e sole e “lì si concentrano tutte le proposte di impianti”. Il problema è che “se ci sono, mettiamo caso, 10 proposte di impianti, se ne può accettare uno, poi lo spazio sarebbe occupato”, dunque non le altre nove no. Ecco perché, ragiona Cingolani, “è inutile fare la somma di tutte le proposte che ci sono in giro, bisogna anche essere realisti nei calcoli che si fanno”.
Questa non è l’unica ragione portata nella discussione dal responsabile del Mite. Che ricorda: “Solare ed eolico producono energia dalle 1.500 alle 2mila ore l’anno, e l’anno ne ha 8.600 in totale”. Quindi se viene prodotta energia per 2mila ore “non è detto che qualcuno la chieda, allora andrebbe accumulata, dunque avremmo bisogno di batterie”. Ergo, dare “sufficiente accumulo per gestire 60 gigawatt, che sono 80 di terawattora, richiede miliardi di euro per l’infrastruttura“. Ecco perché – questa è la stoccata del ministro – “non si può raccontare che si fa in tre anni, non è vero”.
La risposta degli ambientalisti non si fa attendere. “Cingolani non ha detto nulla di nuovo – rintuzza Stefano Ciafani (Legambiente) -. Dobbiamo fare la transizione ecologica bene e velocemente, ma il governo procede con velocità in tema di gas e rigassificatori, un po’ più lentamente sul fronte delle semplificazioni per le rinnovabili”. A rincarare la dose ci pensa Giuseppe Onufrio di Greenpeace: “La proposta di accelerare in 3 anni anziché 10 sulle rinnovabili viene dagli industriali. Inaccettabile che ci tacci di essere una di lobby rinnovabilisti. Cingolani è il ministro della ‘finzione ecologica’. Trovo assurdo quello che ha detto, su questo tema servirebbe un dibattito politico”. Si accoda al coro anche Pierluigi Stefanini (Asvis), che si dice “urtato da certe affermazioni del ministro. Lui è in grado di gestire la complessità: certo che ci sono difficoltà tecnologiche, ma ci sono anche le soluzioni. Ad esempio per un impianto a biometano servono sei anni per le autorizzazioni, si potrebbe partire dallo sveltire le pratiche”.
Non abbassa i toni nemmeno l’ex ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, responsabile della Fondazione sviluppo sostenibile: “Sulla sostenibilità e la Transizione ecologica scontiamo ritardi evidenti”. Ma soprattutto “in questo campo conta molto la visione”. Ronchi porta come esempio il ministro tedesco dello Sviluppo economico, Robert Habeck, secondo cui “nelle regioni avanzate del mondo la politica della transizione ecologica sarà quella che regolerà la competitività del futuro e noi vogliamo essere i più competitivi”. Quindi “le politiche climatiche avanzate guidano il futuro”, mentre “al ministro Cingolani e al governo italiano manca una visione del Green deal”.
Lo scontro non è di certo un ‘inedito’, ma nella situazione che vive in questi mesi l’Italia si avverte la necessità di trovare un punto di contatto con tutti gli attori della filiera ambientale. Per accorciare le distanze ci sarà tempo, forse. Nel frattempo la crepa c’è, ma le emergenze impongono di evitare il ‘ring’. Per il confronto ci sarà modo e luogo, una volta che l’Italia sarà avviata verso la sicurezza energetica.