8 marzo, Jakala aderisce ai Women Empowerment Principles dell’Onu per la parità di genere

Promuovere la parità di genere sui luoghi di lavoro, favorire la formazione professionale delle donne, sensibilizzare sulla leadership femminile e rafforzare una cultura aziendale senza gender gap. Sono i principi che ispirano i Women Empowerment Principles (WEPs), iniziativa delle Nazioni Unite, a cui ha aderito anche Jakala, azienda leader nell’ambito data-driven digital trasformation, che da sempre punta sulla sostenibilità, non solo ambientale, ma anche sociale. Attualmente, l’adesione ai WEPs riguarda l’headquarter italiano, ma l’intenzione è di estendere gli stessi principi a livello globale.

L’iniziativa è il frutto di un percorso molto più elaborato verso la creazione di un ambiente di lavoro che “sostiene e promuove attivamente la parità di genere, garantendo un trattamento equo, la salute e la sicurezza di tutti i collaboratori, nonché continue opportunità di formazione e sviluppo professionale”, spiega l’azienda, che ha messo in piedi una serie di altre iniziative proprio in questa direzione. Si va dalle politiche in ambito HR per il supporto alla genitorialità al programma ‘Target gender equality’ fino al Manifesto del linguaggio.

Claudia Volpato

Nel 2023 nella sola Jakala Spa Sb, la percentuale di donne in posizioni dirigenziali è salita al 29%, rispetto al 25% registrato nel 2022. Una fotografia, spiega Claudia Volpato, responsabile della Sostenibilità all’interno dell’azienda, da cui partire “per mettere in campo una serie di azioni, misurabili anche a livello internazionale. Si comincia dai numeri per costruire un progetto insieme e capire se gli spunti si prestano bene alla nostra realtà”.

Jakala si è avvicinata al network italiano del Global Compact nel 2021 e dopo un periodo di “conoscenza reciproca”, dice Volpato, “nel 2023 abbiamo intrapreso diversi percorsi, tra cui il climate accelerator e un progetto sulla gender equality”. La rete coinvolge le imprese interessate a conoscere, e fare proprie, le best practices in termini di sviluppo sostenibile, attraverso attività di approfondimento, dialogo culturale e istituzionale, in modo particolare negli ambiti della responsabilità di impresa. Il risultato? “Unirci alle aziende che promuovono l’uguaglianza di genere è più di un obiettivo, è una responsabilità che abbracciamo appieno. Con l’adesione ai WEPs, contribuiamo al successo della nostra azienda e al progresso della società, plasmando un futuro più inclusivo ed equo per tutti”, spiega Stefano Pedron, global ceo di Jakala. Ecco allora che i Women Empowerment Principles dell’Onu diventano “i pilastri guida per plasmare la nostra cultura aziendale. Con azioni concrete, trasformiamo questi principi in realtà”.

Ora all’interno dell’azienda esiste un comitato guida per la parità di genere, composto dalla stessa Claudia Volpato, da due referenti delle risorse umane, da due rappresentanti del settore business e, presto, anche dal settore della comunicazione. “Qui – dice la responsabile della sostenibilità – si discute, ci si confronta e si cerca di fare sempre meglio”.

Jakala ha sposato un modello aziendale flessibile, che consente, ad esempio, alle famiglie con bimbi piccoli, di lavorare da casa un numero maggiore di giorni rispetto a quanto stabilito dai regolamenti, di limitare il numero di giorni di trasferta e di far partecipare i figli dei dipendenti a percorsi di Summer Camp organizzati da H-Farm.

Ha poi investito in un programma di sensibilizzazione interna, promuovendo il proprio Manifesto del Linguaggio. Si tratta di un insieme di linee guida che descrivono come la lingua dovrebbe essere utilizzata all’interno dell’azienda per favorire un ambiente rispettoso e inclusivo. Il testo, dice Volpato, “è stato pensato da un gruppo di lavoro composto da circa 180 colleghi del settore digital media, che si sono confrontati con un’esperta di linguaggio di genere” e si concentra sull’eliminazione di parole o espressioni, come il maschile sovraesteso, che potrebbero essere percepite come discriminatorie o escludenti.

 

8 marzo, crescono le agricoltrici e puntano sul green. Ma resiste la discriminazione anche nei campi

Sono quasi 200mila le donne italiane che hanno scelto campi e trattore. Sono imprenditrici che hanno puntato sul settore agricolo, abbattendo così barriere e pregiudizi e portando in campo un nuovo protagonismo tutto al femminile. Il 25% è laureata, il 50% svolge attività multifunzionali, come ad esempio, vendita diretta, agriturismo, trasformazione dei prodotti, fattoria didattica e sociale. Il 60% pratica attività green come l’agricoltura biologica. A tracciare la fotografia è un’analisi di donne Coldiretti su dati del Registro delle Imprese divulgata in occasione dell’8 marzo.

Il 28% delle aziende agricole italiane, quindi, è guidato da donne, con una ‘quota giovane’ in crescita. Sono 13mila, infatti, le imprese femminili in capo a ragazze sotto i 35 anni, che hanno puntato soprattutto sull’uso della tecnologia per migliorare organizzazione, gestione, rese e qualità.

“Le donne contadine – dice Coldiretti – sono presenti in tutto il territorio italiano e la Sicilia è la regione con il maggior numero di imprese femminili in assoluto (24mila). Sul podio salgono anche Puglia e Campania, che vantano rispettivamente più di 23mila e quasi 20mila aziende guidate da donne. Seguono Piemonte e Toscana”.

Ed è grande anche l’attenzione al green. Il 60% delle donne ha scelto di dedicare parte della produzione al biologico o al biodinamico e di operare per una filiera di qualità attenta alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità e delle risorse naturali, del paesaggio e del benessere animale. In particolare, poi, le donne creano legami forti con il territorio e sono un vero e proprio presidio per la sopravvivenza e la valorizzazione delle aree rurali.

Secondo un recente studio della Penn State e dell’Università del Wisconsin-Madison, infatti, più agricoltrici equivalgono a un maggior benessere della comunità. Ma perché accade? Secondo i ricercatori la causa principale è dovuta al modo in cui le donne affrontano le loro attività; modi che hanno un impatto positivo sulle comunità a cui appartengono. Lo studio, pubblicato su Applied Economics Perspectives and Policy, ha rivelato che le contee degli Stati Uniti con una quota maggiore di aziende agricole possedute o gestite da donne hanno tassi più elevati di imprenditorialità non agricola, aspettative di vita più lunghe e tassi di povertà più bassi. La ricerca esplora, quindi, il concetto di “agricoltura civica” a guida femminile, che “si traduce effettivamente in un miglioramento del benessere della comunità in luoghi con percentuali più elevate di donne agricoltrici”.

Eppure, è la denuncia di Donne in Campo-Cia, non si fa ancora abbastanza per favorire un’agricoltura al femminile. Basti pensare che “le donne oggi non solo sono assenti da provvedimenti dedicati nel Pnrr e nella Pac, ma sono state escluse dagli incentivi ad hoc della misura Più Impresa, non rifinanziata dall’ultima legge di Bilancio, e colpite dal netto peggioramento di Opzione donna. Anche il Fondo Impresa Donna ammette agli stanziamenti le imprenditrici di tutti i settori, compreso quello della trasformazione alimentare, ma tiene fuori la produzione agricola”. “Le agricoltrici risultano così fortemente penalizzate e discriminate nei confronti delle colleghe di altri comparti – spiega la presidente Pina Terenzi-. Stessa situazione con la Politica agricola comune dell’Ue, che prescrive regole uguali per tutti piuttosto che valorizzare le differenze garantendo pari opportunità”.

giornata donna

Giornata della donna, con Meloni la svolta ma in agricoltura ancora poche manager

La nomina di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio sembra aver rotto, almeno in parte, il cosiddetto tetto di cristallo in Italia. Per la prima volta nel nostro Paese a capo del governo siede una donna. Per la prima volta una donna accede a uno degli scranni più alti del potere. Intorno alla sua elezione si è creato una sorta di ‘contagio’ sulla cui scia si può assestare la vittoria di Elly Schlein a segretaria del Partito democratico. Ma, ciononostante, dati alla mano, se si guarda alle posizioni apicali il gap con gli uomini continua a essere notevole: nella pubblica amministrazione le donne rappresentano il 58,8% del totale dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici, ma solo una su tre ha un ruolo manageriale. Una situazione riscontrabile anche in agricoltura: le donne occupate nel settore sono 823.000, ovvero il 30% del totale ma solo il 31% di queste dirige un’azienda agricola.

L’ultimo report pubblicato da Global Perspectives&Solutions di Citi sottolinea come la parità di genere nelle imprese non solo aumenterebbe fino al 3% il Pil mondiale ma porterebbe anche parecchie centinaia di milioni di posti di lavoro. Inoltre, un rapporto della Fao indica che se si aumentasse la conduzione femminile delle aziende del settore nei Paesi in via di sviluppo crescerebbe del 30% anche la produzione, contribuendo alla sicurezza alimentare mondiale.
Nella Giornata internazionale della donna risuona forte l’appello delle associazioni femminili di Cia-Agricoltori italiani e di Confagricoltura: “Più donne nei ruoli apicali”, ribadisce Donne in Campo, invitando tutti a sottoscrivere il ‘Manifesto delle donne per la Terra’. Una Carta dei valori, ma anche un Documento programmatico, per costruire un’alleanza “fortissima” tra le donne di tutto il mondo. Perché oggi, dopo una pandemia globale e con le sfide in atto, da quelle geopolitiche a quelle climatiche, “le donne devono essere là dove si decide”. Quanto all’agricoltura, aggiunge la presidente dell’associazione Pina Terenzi, sebbene rispetto ad altri settori mostri aspetti di minore disparità tra i generi, “tanto resta ancora da fare. In particolare, sarà cruciale accogliere l’idea di futuro che le donne dell’agricoltura veicolano nel loro prezioso lavoro quotidiano, legato strettamente a una visione multifunzionale e sostenibile del settore, che coniuga la produzione di cibo con welfare, comunità, tutela di suolo e paesaggio, salvaguardia di risorse e biodiversità, innovazione”.

Per Alessandra Oddi Baglioni, presidente di Confagricoltura Donna, mentre in Italia vi è un’abbondanza di norme per promuovere l’occupazione e l’imprenditoria femminile, si registra ancora che, concretamente, la loro efficacia è ridotta. In Italia sono più di 200mila le imprese agricole condotte da donne, numerose le under 35, che rappresentano circa un terzo del totale. In generale, nel settore primario, a Sud si concentrano quasi 22 imprese ogni 100, nel Centro-Nord invece solo 11,7. Le imprese agricole femminili hanno sopportato meglio gli effetti derivanti dalla pandemia e il 28% ha aumentato il proprio fatturato rispetto al 20% delle imprese agricole non femminili. Eppure, il ruolo della donna nel settore è spesso invisibile. Soprattutto, ricordano le associazioni, per quanto riguarda i diritti. Alle agricoltrici, come a tutte le lavoratrici autonome, viene riconosciuta solo la maternità obbligatoria (5 mesi), con un’indennità economica insufficiente a coprire le spese di una sostituzione in azienda. Ma, a loro “non vengono riconosciute né la maternità a rischio né il congedo parentale per assistere parenti disabili. Senza dimenticare che il lavoro agricolo non è considerato un’attività usurante”.

Inoltre, a livello globale, secondo la Fao, il numero delle persone che soffrono la fame potrebbe ridursi del 12-17% se le donne delle zone rurali avessero le stesse opportunità degli uomini in termini di accesso alla terra, alla tecnologia, ai servizi finanziari, alla scolarizzazione e ai mercati. Ad affermarlo è stato il ‘Rapporto sullo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura’ del 2011 focalizzato proprio sul ruolo delle donne nell’economia agricola. Secondo quanto riportato dall’analisi, se nei paesi in via di sviluppo ci fosse parità tra i sessi nel settore agricolo la produzione potrebbe aumentare tra il 2,5 e il 4%. Fattore che a sua volta permetterebbe a 100-150 milioni di persone di non soffrire più la fame, con una diminuzione del 12-17% rispetto ai 925 milioni di oggi (906 milioni solo nei paesi in via di sviluppo). Sempre secondo i dati Fao, aggiornati al 2022, le donne rappresentano quasi la metà della forza lavoro in agricoltura, sono le principali responsabili per la cura della casa e dei figli e svolgono spesso compiti poco produttivi, ma molto onerosi, come raccogliere l’acqua e la legna. Di conseguenza, il carico lavorativo della popolazione rurale femminile risulta spesso sproporzionato, poco riconosciuto e in gran parte non retribuito.

Le donne in agricoltura affrontano anche notevoli disparità in termini di accesso alle risorse e condizioni lavorative. Il rapporto della Fao evidenzia, ad esempio, che esse tendono a coltivare terreni più piccoli e di più bassa qualità e possedere un numero inferiore di capi di bestiame; fare minore utilizzo di input quali fertilizzanti macchinari e di servizi finanziari; avere un accesso limitato alle informazioni di mercato e alla formazione; essere impiegate in posizioni meno remunerative e più precarie; non essere adeguatamente rappresentate negli organi decisionali. Come ha concluso la Commissione sulla condizione delle donne delle Nazioni Unite “senza l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne non si possono contrastare il cambiamento climatico e i rischi di catastrofi ambientali.”

Gli uomini inquinano più delle donne: colpa dello stile di vita

Le donne hanno stili di vita che emettono in media meno gas serra degli uomini, ma sono più vittime del cambiamento climatico, secondo il parere di un’economista. “Se a prima vista può sembrare che il cambiamento climatico (di cui i gas serra sono in gran parte responsabili, ndr) colpisca tutta la popolazione allo stesso modo, gli studi evidenziano le disparità di genere nei comportamenti che causano le emissioni di gas serra e nelle conseguenze degli sconvolgimenti climatici”, si legge in una nota di Oriane Wegner citata dal quotidiano Libération e che sarà pubblicata integralmente sul sito della Banque de France.

Specializzata in economia del clima presso questa istituzione, la Wegner si basa su uno studio svedese del 2021 per affermare che “le voci di consumo degli uomini sono la fonte di un 16% in più di gas serra in media” rispetto a quelle delle donne. La differenza si spiega con la propensione degli uomini a consumare beni e servizi che emettono di più, come i carburanti. Anche la dieta potrebbe giocare un ruolo, nella misura in cui “una dieta meno ricca di carne genera una minore quantità di emissioni“. Secondo un sondaggio Ifop del maggio 2021, due terzi dei vegetariani in Francia (67%) sono donne.

Nel 2021, gli uomini single hanno emesso in media dieci tonnellate di gas serra, contro poco più di 8 tonnellate delle donne single, anche se la spesa dei primi è superiore di “appena il 2%” a quella delle seconde. Tuttavia, se il genere è un criterio “rilevante” per spiegare le disparità in termini di emissioni, “il livello di reddito gioca spesso un ruolo più importante“, avverte Oriane Wegner. Di fronte alle conseguenze del cambiamento climatico, uomini e donne non sono uguali. Secondo una ricerca delle Nazioni Unite citata da Wegner, l’80% delle persone allontanate dalle proprie case a causa di eventi meteorologici estremi sono donne, e negli Stati Uniti, dopo l’uragano Katrina del 2005, sono morte più donne che uomini. “Le politiche pubbliche nazionali e i quadri d’azione internazionali potrebbero trarre beneficio dal prendere in considerazione le interazioni tra genere e ambiente per rafforzare la loro efficacia e la loro articolazione con gli obiettivi di giustizia climatica“, conclude l’autrice.

8 marzo, allarme Coldiretti: “Addio alle mimose, è colpa della siccità”

Addio a 1 mimosa su 3 in Italia a causa della siccità. La carenza sistemica di acqua ha fatto crollare la produzione di almeno il 30% e gli sbalzi di temperature causati dai cambiamenti climatici  hanno fatto anticipare la raccolta. E’ quanto emerge dal monitoraggio della Coldiretti alla vigilia della Giornata internazionale della donna. “Nell’ultimo anno la siccità e le alte temperature – sottolinea la Coldiretti – hanno tagliato la raccolta, come mai avvenuto a memoria dei florovivaisti. Il 2022 infatti è stato l’anno più caldo mai registrato prima con la temperatura media superiore di quasi un grado (+0,98°) con il 30% di precipitazioni in meno rispetto alla media storica del periodo 1991-2020, secondo le elaborazioni Coldiretti sulla banca dati Isac Cnr che evidenziano come la stessa anomalia si conferma anche nei primi mesi di quest’anno”.

La scarsità di mimose nel 2023 ha fatto aumentare le quotazioni con prezzi che vanno dai 5 ai 10 euro per i rametti più piccoli, per salire fino ai 20 euro e oltre per i mazzi più grandi o per le piante in vaso. Una situazione che sta attirando i ‘ladri di fiori’ “tanto che – sottolinea la Coldiretti – si moltiplicano le segnalazioni di furti e tentati furti nelle aree di coltivazione ed esplode in vista dell’8 marzo il mercato nero dei venditori abusivi in strade e piazze che vanno assolutamente evitati per non alimentare il business dell’illegalità”. “Oltre a essere il simbolo della presenza femminile nel mondo, l’acquisto della mimosa esprime anche un importante attenzione all’ambiente perché – spiega la Coldiretti – si salva così una coltivazione realizzata in Italia con tecniche eco-compatibili soprattutto nei tipici terrazzamenti che si affacciano sul mare, altrimenti destinati al degrado e all’abbandono”.

La mimosa venne introdotta in Europa intorno al 1820 trovando in Italia ottime condizioni di coltivazione e clima e dal 1946 è il simbolo dell’8 marzo nel nostro Paese. Le varietà più diffuse sono la Floribunda e la Gaulois che è più rigogliosa. Le foglie di mimosa, composte da tante foglioline verde chiaro, in caso di pericolo (per esempio se vengono sfiorate o la temperatura supera i 20 gradi) si ritraggono, ed è per questo particolare reazione che ha preso il nome scientifico “mimus”, dal latino attore mimico.

“Per conservare al meglio i rametti di mimosa con i loro fiori gialli – consiglia la Coldiretti – è bene tagliare quanto prima gli steli che devono rimanere per due ore in acqua pulita e inacidita con due gocce di limone. Vanno quindi collocati in penombra e mantenuti in ambiente fresco e umido perché la mimosa rilascia molta acqua attraverso la traspirazione e bisogna evitare che la perdita di liquidi faccia seccare rapidamente il fiore”.