Oceano

Papa: Proteggiamo il mare da inquinamento ed estrazioni

Proteggere il mare dalle mani dell’uomo. E’ la supplica di Papa Francesco in un messaggio inviato all’ottava conferenza ‘Our Ocean‘ di Panama. L’alto mare è considerato “patrimonio comune” dell’umanità, osserva il Papa, e a noi viene chiesto e richiesto di utilizzare gli oceani “in modo equo e sostenibile“, di trasmetterli alle generazioni future “in buone condizioni“.

Il messaggio porta la firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e tra le righe tutta l’apprensione del Pontefice: “L’inquinamento degli oceani, l’acidificazione, la pesca illegale sono allarmanti e c’è grande preoccupazione per lo sviluppo dell’industria estrattiva sui fondali marini“, si legge. Sono fenomeni che hanno effetti sulla biodiversità, sulla produzione alimentare e sulla salute anche dell’uomo. Sulla terra, l’innalzamento del livello del mare e l’erosione delle coste “minacciano diversi Paesi e i mezzi di sussistenza di molte comunità“, osserva Francesco.

Cosa si può fare di più, meglio, in modo diverso? “Prendere sul serio le implicazioni di ‘Our Connection’ sarebbe saggio e potrebbe offrire spunti di riflessione e di azione“, scandisce, proponendo una visione integrale dell’ecologia, come nell’enciclica Laudato si’.

L’acqua come fattore di connessione. “Vale per i fiumi che irrigano un continente, per le falde acquifere, per gli oceani“. Vale per “il Nostro Oceano“, ribadisce il Papa, quello che non ha confini politici o culturali: “Le sue correnti attraversano il pianeta, evidenziando l’interconnessione e l’interdipendenza tra comunità e Paesi. In molte antiche saggezze e tradizioni religiose esiste un profondo legame tra l’umanità e gli oceani. Siamo una sola famiglia, condividiamo la stessa inalienabile dignità umana, abitiamo una casa comune di cui siamo chiamati a prenderci cura“.

Accordo storico all’Onu: approvato Trattato per protezione Alto Mare

Gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo, nella notte italiana fra sabato e domenica, sul primo Trattato internazionale per la protezione dell’Alto Mare, volto a contrastare le minacce agli ecosistemi vitali per l’umanità. “La nave ha raggiunto la riva“, ha annunciato la presidente della conferenza Rena Lee presso la sede delle Nazioni Unite a New York, tra gli applausi prolungati dei delegati. Dopo oltre 15 anni di discussioni, compresi quattro anni di negoziati formali, la terza sessione finale di New York è stata finalmente quella giusta, o quasi.

I delegati hanno messo a punto il testo, che ora è congelato nella sostanza, ma sarà formalmente adottato in un secondo momento, dopo essere stato controllato dai servizi legali e tradotto nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni Unite. Il contenuto esatto del testo non è stato reso noto immediatamente, ma gli attivisti lo hanno salutato come un momento di svolta per la protezione della biodiversità. L’accordo prevede infatti di collocare il 30% dei mari in aree protette entro il 2030 in modo da salvaguardare migliaia di specie e aiutare gli ecosistemi. “È una giornata storica per la conservazione e un segno che in un mondo diviso la protezione della natura e delle persone può trionfare sulla geopolitica“, ha dichiarato Laura Meller di Greenpeace.

Dopo due settimane di intense discussioni, compresa una maratona di venerdì sera, i delegati hanno finalizzato un testo che non può più essere modificato in modo significativo. “Non ci saranno riaperture o discussioni sostanziali” su questo tema, ha detto Lee ai negoziatori. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si è congratulato con i delegati, salutando una “vittoria del multilateralismo e degli sforzi globali per contrastare le tendenze distruttive che minacciano la salute degli oceani, ora e per le generazioni a venire“.

Anche l’Unione Europea ha accolto con favore questo “passo cruciale per preservare la vita marina e la biodiversità che sono essenziali per noi e per le generazioni future”, attraverso il Commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, che si è detto “molto orgoglioso” del risultato.

L’alto mare inizia dove finiscono le zone economiche esclusive (ZEE) degli Stati, a un massimo di 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa e non è quindi sotto la giurisdizione di nessuno Stato. Pur rappresentando oltre il 60% degli oceani e quasi la metà del pianeta, l’alto mare è stato a lungo ignorato nella battaglia ambientale, a favore delle aree costiere e di alcune specie emblematiche. Con il progredire della scienza, è stata dimostrata l’importanza di proteggere gli oceani nel loro complesso, che pullulano di biodiversità spesso microscopica, forniscono metà dell’ossigeno che respiriamo e limitano il riscaldamento globale assorbendo gran parte della CO2 emessa dalle attività umane. Ma gli oceani si stanno indebolendo, vittime di queste emissioni (riscaldamento, acidificazione delle acque, ecc.), dell’inquinamento di ogni tipo e della pesca eccessiva. Per questo il nuovo trattato, quando entrerà in vigore dopo essere stato formalmente adottato, firmato e ratificato da un numero sufficiente di Paesi, consentirà la creazione di aree marine protette in queste acque internazionali.

E’ stato un capitolo molto delicato a cristallizzare le tensioni fino all’ultimo minuto: il principio della condivisione dei benefici per le risorse genetiche marine raccolte in alto mare. I Paesi in via di sviluppo, che non hanno i mezzi per finanziare spedizioni e ricerche molto costose, si sono battuti affinché non fossero esclusi dall’accesso alle risorse genetiche marine e dalla condivisione dei benefici previsti dalla commercializzazione di queste risorse – che non appartengono a nessuno – da cui le aziende farmaceutiche o cosmetiche sperano di ottenere molecole miracolose. Come in altri forum internazionali, in particolare i negoziati sul clima, il dibattito ha finito per essere una questione di equità Nord-Sud, secondo gli osservatori.

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Trattato protezione dell’alto mare: al via negoziati all’Onu

Gli Stati membri delle Nazioni Unite si riuniranno lunedì a New York con la speranza di raggiungere finalmente un trattato per la protezione dell’alto mare, un passo cruciale verso l’obiettivo di difendere il 30% del pianeta entro il 2030. Dopo oltre 15 anni di discussioni informali e poi formali, questa è la terza volta in meno di un anno che i negoziatori si incontrano per quella che dovrebbe essere l’ultima sessione. Ma questa volta, con l’avvicinarsi di altre due settimane di colloqui, un cauto ottimismo sembra d’obbligo.
Dopo il fallimento della scorsa estate, “tra le delegazioni si sono svolte molte discussioni, per cercare di trovare un compromesso sugli spinosi problemi che non si sono potuti risolvere ad agosto, a un livello mai visto“, assicura Liz Karan, dell’Ong Fondi di beneficenza Pew. “Quindi questo mi dà molta speranza che (…) questo incontro sarà l’ultimo ultimo.” Una speranza rafforzata dall’adesione a gennaio degli Stati Uniti alla coalizione per la “grande ambizione” del trattato, guidata dall’Unione Europea. Una coalizione di 51 Paesi che condivide “l’obiettivo di proteggere urgentemente gli oceani“, ha poi sottolineato il commissario europeo all’Ambiente Virginijus Sinkevičius, giudicando “cruciale” questa nuova sessione.

L’alto mare inizia dove finiscono le Zone Economiche Esclusive (ZEE) degli Stati, a un massimo di 200 miglia nautiche (370 km) dalle coste, e quindi non è sotto la giurisdizione di alcun Paese. Anche se rappresenta più del 60% degli oceani e quasi la metà del pianeta, è stata una zona a lungo ignorata, a favore di quelle costiere e di poche specie emblematiche. Eppure “c’è un solo oceano, e un oceano sano significa un pianeta sano“, ha detto Nathalie Rey, della High Seas Alliance, che riunisce una quarantina di ong. Gli ecosistemi oceanici, minacciati dall’inquinamento di ogni tipo o dalla pesca eccessiva, producono in particolare la metà dell’ossigeno che respiriamo e limitano il riscaldamento globale assorbendo una parte significativa della CO2 emessa dalle attività umane. Quindi “non possiamo garantire la buona salute dell’oceano ignorandone i due terzi“, osserva Rey, ritenendo che sarebbe un “disastro assoluto” non riuscire a far nascere finalmente questo testo. Tanto più che il futuro trattato “sarà un passo fondamentale per garantire l’obiettivo del 30% (di protezione del pianeta) entro il 2030“, prosegue.

In uno storico accordo di dicembre, tutti i paesi del mondo si sono impegnati a proteggere il 30% di tutte le terre emerse e degli oceani entro il 2030. Una sfida quasi insormontabile senza includere l’alto mare, di cui oggi solo l’1% circa è protetto. Uno dei pilastri del futuro trattato sulla “conservazione e uso sostenibile della biodiversità marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale” è consentire la creazione di aree marine protette in acque internazionali.
Questo principio è incluso nel mandato negoziale votato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2017, ma le delegazioni sono ancora divise sul processo di creazione di questi ‘santuari’, nonché sulle modalità di applicazione dell’obbligo di valutare l’impatto ambientale delle attività proposte in alto mare.
Altra questione controversa è la distribuzione dei possibili profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche d’alto mare, dove le industrie farmaceutiche, chimiche e cosmetiche sperano di scoprire molecole miracolose. Senza essere in grado di condurre questa costosa ricerca, i paesi in via di sviluppo temono di perdere potenziali benefici. E durante la sessione di agosto, gli osservatori hanno accusato i paesi ricchi, in particolare l’UE, di aspettare fino all’ultimo minuto per fare una mossa.