Ursula von der Leyen

Al via il vertice Ue-Balcani a Tirana: focus su energia, gas e ambiente

Tutto pronto per il nuovo appuntamento-chiave nelle relazioni tra l’Unione europea e i suoi partner più vicini, reso ancora più cruciale dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina sul piano economico ed energetico. A Tirana, capitale dell’Albania, si tiene oggi il vertice Ue-Balcani occidentali, a cui parteciperanno i 27 leader dei Paesi membri dell’Unione, i 6 balcanici e i leader delle istituzioni comunitarie (i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen).

Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni del vertice, l’Unione europea ribadisce il suo sostegno ai partner balcanici “nell’affrontare gli effetti negativi sulle loro economie e società” della guerra russa in Ucraina, per cui Mosca è “l‘unica responsabile” della crisi energetica ed economica. Bruxelles ha risposto a queste crisi con un piano di sostegno da un miliardo di euro complessivo per l’intera regione, come anticipato dalla presidente von der Leyen nel corso del suo viaggio nelle sei capitali (fatta eccezione per quella del Montenegro, rinviata a data da destinarsi) di fine ottobre.

Un piano che dovrebbe mobilitare 2,5 ulteriori miliardi di euro in investimenti, aiutando i sei Paesi partner a “mitigare l’impatto della crisi energetica e ad accelerare la transizione energetica“. Il pacchetto sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III) e sarà diviso in due parti, ciascuna da mezzo miliardo di euro. Da una parte un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, 75 per il Kosovo, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 165 per la Serbia (per il Montenegro sarà comunicato al momento della nuova visita di von der Leyen). Dall’altra parte, i restanti 500 milioni saranno dedicati al “miglioramento delle infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori, compreso il Gnl“, ma anche “nuovi progetti di energia rinnovabile, aggiornamenti dei sistemi di trasmissione dell’energia, teleriscaldamento e schemi per migliorare l’efficienza energetica dei vecchi condomini“.

A questo proposito i leader Ue ricordano la decisione di aprire gli acquisti comuni di gas, Gnl e idrogeno per i Balcani occidentali, chiedendo allo stesso tempo “rapida operatività di questa piattaforma” e incoraggiando i partner a “sfruttare questa opportunità“. Nella bozza si ribadisce anche che il piano RePowerEu è finalizzato a ridurre la dipendenza non solo dell’Ue, ma dell’intera regione balcanica dal gas russo e, attraverso la Comunità dell’energia, l’Unione sta aprendo il proprio mercato dell’elettricità – “anche per quanto riguarda le energie rinnovabili” – ai sei partner dei Balcani occidentali, “a condizione che vengano attuate riforme normative“.

Rivestirà un ruolo centrale nelle discussioni di Tirana l’attuazione del Piano economico e di investimenti delle Agende verde e digitale per i Balcani occidentali, “anche attraverso un ulteriore sostegno alla connettività, alla transizione energetica e alla diversificazione delle forniture energetiche“. Nel pacchetto approvato nell’ottobre 2020, che mobilita quasi 30 miliardi di euro tra sovvenzioni e investimenti, è già stato dato il via libera finanziamento di 27 progetti-faro per un valore totale di 3,8 miliardi di euro. Parallelamente, grazie all’Agenda verde per la regione i leader balcanici rinnoveranno gli impegni climatici presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi, anche per combattere l’inquinamento, migliorare la gestione dei rifiuti e accelerare la transizione energetica verde. L’Ue li sosterrà invece nello sviluppo di una politica di tariffazione del carbonio nel contesto del meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio (Cbam).

La lince balcanica a rischio estinzione: ne rimangono meno di 50 esemplari

Dai Balcani occidentali si alza un grido di allarme per la biodiversità globale. La lince balcanica rischia di scomparire definitivamente dal continente europeo. “Se non riusciamo ad aumentare il suo numero e la sua distribuzione molto rapidamente, lo perderemo per sempre“, avverte Manuela von Arx, scienziata della fondazione svizzera per la fauna selvatica Kora, che sta sponsorizzando un programma di salvataggio regionale.

Lynx lynx balkanicus‘ (questo il nome scientifico della lince balcanica) vive tra le montagne della catena delle Alpi Dinariche, tra Albania, Kosovo e Macedonia del Nord, ed è uno mammiferi più minacciati al mondo. Un rapporto del Balkan Lynx Recovery Programme ha reso noto che le 151 foto-trappole sparse in tutta la penisola hanno ripreso nel 2021 una sola lince balcanica in Kosovo, 4 in Albania e 5 in Macedonia del Nord: secondo gli esperti, in quest’area-chiave per la sopravvivenza della specie sono rimasti in vita tra i 30 e i 50 esemplari della sottospecie di lince eurasiatica protetta da tutte le convenzioni internazionali sulla fauna selvatica.

L’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (Iucn) considera l’animale in “pericolo critico” dal 2015: si tratta dell’ultimo stadio prima dell’estinzione in natura. Bracconaggio, caccia intensiva delle prede, degradazione dell’habitat naturale e deforestazione estensiva sono le cause della rapida scomparsa della lince balcanica. Cent’anni fa si trovavano popolazioni di questo animale anche in Slovenia, ma già allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale era a rischio di estinzione. Nel 1949 la Jugoslavia di Tito ne vietò la caccia e furono istituite riserve naturali per il popolamento anche in Albania. In circa 30 anni il numero crebbe fino a 300, oltre ai 200 esemplari in Albania (la soglia minima per la sopravvivenza della specie), prima di arrivare ai tragici anni Novanta, con la violenta dissoluzione della Jugoslavia e il collasso dello Stato albanese: il bracconaggio tornò in auge e ancora oggi si possono trovare di frequente linci balcaniche impagliate nelle case di montagna.

Negli ultimi anni, Albania, Kosovo e Macedonia del Nord hanno unito le forze in un Programma di recupero della lince balcanica (Blrp), con il sostegno di fondazioni straniere come Kora, Euronatur e Mava. I tre Paesi dei Balcani occidentali hanno “creato nuove aree di protezione dove la lince è presente e dove può riprodursi“, ha spiegato Aleksandër Trajçe, responsabile del programma. Rimane centrale il continuo tracciamento degli esemplari ancora in vita: gli esperti – come l’Ong per la Protezione e la conservazione dell’ambiente naturale in Albania (Ppnea) e la Società ecologica macedone – sono in grado di identificare gli animali dalle foto-trappole, grazie alle sottili differenze negli occhi a mandorla, il manto maculato e le orecchie affusolate tra un individuo all’altro. Ma è anche cruciale il lavoro dei governi sulla sensibilizzazione dei residenti e l’educazione dei cacciatori al rispetto delle legislazioni nazionali, che da anni vietano e puniscono penalmente la caccia di questo animale ormai a rischio estinzione.

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Come i Balcani possono spingere l’autonomia strategica dal gas russo

Trovare soluzioni per l’indipendenza energetica dalla Russia è una priorità per l’Europa, dentro e fuori i confini dell’Unione Europea. La guerra in Ucraina sta aumentando la pressione anche sui Balcani Occidentali, la regione che aspira ad accedere nel prossimo futuro nell’Ue e che è alla ricerca di nuove forniture di gas per liberarsi dalla dipendenza russa. Una strategia che potrebbe rappresentare un punto di forza anche per il resto del continente, nonostante non siano da sottovalutare le complessità.

Per i Balcani questo discorso vale doppio. Mentre per l’Unione Europea la dipendenza dal gas russo si attesta mediamente attorno al 40%, alcuni Paesi della regione – come Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia del Nord – dipendono quasi totalmente dal Cremlino. È per questa ragione che i Paesi balcanici sono scettici sulla possibilità che Bruxelles adotti un embargo sulle importazioni di gas dalla Russia. Non va dimenticato che il sesto pacchetto di sanzioni sta però creando per la prima volta tensioni e ritardi all’interno dei Ventisette: il premier ungherese, Viktor Orbán, guida il fronte dei contrari, mentre l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, ha avvertito che “un embargo energetico non deve essere più doloroso per gli europei che per la Russia”.

Nello sforzo di indipendenza dalle fonti energetiche russe, se si considera l’Europa sud-orientale le vie praticabili sono tre: il collegamento con fornitori alternativi di gas, l’espansione della produzione locale e l’aumento delle consegne di gas naturale liquefatto (GNL). Un ruolo cruciale lo gioca il Paese membro Ue più importante della penisola balcanica, la Grecia. “Il Mediterraneo orientale diventa ancora più importante ora che si cerca una diversificazione delle fonti per allontanarci dal petrolio e dal gas russo”, aveva spiegato a inizio aprile il premier greco Mitsotakis sottolineando che “dovremmo studiare tutti i progetti di interconnessione in quest’area, attraverso oleodotti, gasdotti e GNL”.

La chiave è la diversificazione. Nei prossimi cinque anni il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP), che dall’Azerbaijan corre attraverso la Grecia e l’Albania e sotto l’Adriatico fino all’Italia, dovrebbe essere in grado di raddoppiare la propria capacità, dagli attuali 10 miliardi di metri cubi a 20: il gasdotto di interconnessione Grecia-Bulgaria entrerà in funzione a settembre di quest’anno, mentre è in costruzione quello che da Salonicco trasporterà il gas verso la Macedonia settentrionale, con la prospettiva di raggiungere anche Kosovo e Serbia. Ad Alessandropoli, città della Grecia nord-orientale, entro la fine del 2023 dovrebbe entrare in funzione un terminale di GNL con una capacità di 5,5 miliardi di metri cubi, che rappresenterà un punto di riferimento anche per Paesi come Macedonia del Nord e Bulgaria. Le riserve sottomarine di gas nel Mediterraneo orientale potrebbero fornire all’Europa circa 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma si dovranno trovare modalità per risolvere le tensioni geopolitiche nell’area e per riprendere i discorsi sul gasdotto EastMed, un progetto da 6 miliardi di euro che dovrebbe trasportare il gas dai depositi al largo di Israele e dell’Egitto attraverso Cipro e Grecia.

Nonostante sembri quasi impossibile rinunciare sul breve periodo ai gasdotti di Gazprom, la strategia di diversificazione potrebbe essere vincente nei Balcani. Sviluppando questa triplice strategia, si potrebbero coprire quasi completamente i volumi modesti di gas richiesti dalle economie e dalle società della regione. Come esempio, è sufficiente pensare che la Grecia, il Paese più sviluppato della penisola, consuma 5,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno (l’Italia 76,1). In uno scenario di lungo periodo, la penisola balcanica e il continente europeo potranno ancora aver necessità delle fonti energetiche russe, ma non esserne dipendenti, sviluppando dialoghi e partnership strategiche con attori geopolitici dall’Asia al Medioriente, fino all’Africa.