Italgas-Coldiretti insieme per lo sviluppo del biometano. Gava: “Mondo agricolo protagonista”

Sviluppare la produzione del biometano in Italia. E’ l’obiettivo del protocollo d’intesa siglato da Coldiretti e Italgas. L’iniziativa si inserisce nel mutato scenario europeo che, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina, ha individuato nel biometano la fonte rinnovabile destinata a sostituire un quarto delle forniture di gas di origine fossile un tempo importate dalla Russia. Un obiettivo a sostegno del quale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato 1,7 miliardi di euro per raggiungere, entro il 2026, una produzione nazionale di circa 2 miliardi di metri cubi all’anno, pari a quattro volte quella attuale. Il protocollo impegna le parti a porre in essere azioni volte a sostenere la realizzazione di nuovi impianti di produzione di biometano, la conversione di quelli che attualmente producono biogas e il loro allacciamento alle reti di distribuzione del gas.

Nello specifico Coldiretti garantirà il coinvolgimento dei soci nei piani di informazione e formazione sul biometano e li sensibilizzerà sul suo utilizzo in diversi ambiti produttivi e industriali e realizzerà una mappatura degli impianti di biogas esistenti e potenzialmente oggetto di conversione a biometano. Italgas, a sua volta, si impegna a contenere i tempi di valutazione delle proposte di connessione dei nuovi impianti alle proprie reti; individuare e realizzare azioni volte a ridurre i costi di allacciamento; promuovere un approccio regolatorio e normativo teso a creare le condizioni per una più efficace ripartizione degli oneri di collegamento alla rete e a mettere in atto azioni volte a superare i limiti di capacità ricettiva delle reti di distribuzione locali.

La firma del protocollo è “un passo importante per l’Italia nel percorso di sviluppo del biometano”, secondo il sottosegretario dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Patrizio Giacomo La Pietra. Della stessa idea la viceministra dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Vannia Gava, secondo la quale si tratta di “un contributo decisivo a rafforzare la nostra autonomia di approvvigionamento” con cui “il mondo agricolo si rende protagonista della decarbonizzazione”.

Italgas crede fortemente nel valore del biometano, che secondo l’ad Paolo Gallo è “la soluzione ideale, e subito disponibile alla complessa equazione con cui fa i conti l’Europa: raggiungere una transizione ecologica che garantisca sicurezza degli approvvigionamenti e competitività dei costi dell’energia”. Una soluzione che, a sua volta, mette l’agricoltura al centro dello scenario energetico. Per questo secondo il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, “il ruolo del biogas nel perimetro delle energie pulite rappresenta, infatti, un punto di partenza ineludibile poiché dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano a livello nazionale per alimentare non solo i macchinari agricoli ma anche autobus, camion e navi oltre alle auto delle famiglie italiane. In questo modo sarà possibile generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica in materia di carburanti green”.

Biometano dalla grappa: inaugurato impianto Distilleria Bonollo collegato a rete Italgas

Produrre biometano a partire dai residui liquidi delle attività di distillazione per rifornire 3mila famiglie. E’ l’impresa delle Distillerie Bonollo Umberto che hanno inaugurato a Conselve (Padova) il loro impianto di biometano, il primo di questo genere in Italia, allacciato direttamente alla rete di distribuzione di Italgas. Il quantitativo medio prodotto giornaliero sarà di 10mila metri cubi, per un complessivo annuo di circa 2,5 milioni di metri cubi. Questo quantativo di gas rinnovabile consente di sostituire, in una logica di economia circolare, un ammontare equivalente di gas di origine fossile e di distribuirlo in rete a famiglie e imprese.

L’opera, nel suo complesso, ha richiesto 16 mesi di lavorazioni necessarie a effettuare l’upgrade tecnologico del precedente impianto di produzione di biogas e alla costruzione del collegamento per l’immissione del biometano nella rete Italgas. Un risultato reso possibile dalla volontà di Bonollo unita alla trasformazione digitale della rete di distribuzione di Italgas, elemento fondamentale per lo sviluppo dei gas rinnovabili e sul quale il Gruppo ha iniziato a investire nel 2018. Fra i motivi, spiega l’ad di Italgas Reti Pier Lorenzo Dell’Orco, la chiara direzione indicata dall’Unione Europea con il RePowerEU: “Aumentare di sette volte la produzione attuale di biometano entro il 2035, per arrivare a 35 miliardi di metri cubi. Ad oggi i Paesi leader sono Germania e Francia, l’Italia è indietro e si ferma al 5% della produzione europea. Ma è un’opportunità, un obiettivo sfidante”. Ecco perché Italgas sposta il paletto molto più in alto, con l’obiettivo di realizzare entro il 2028 almeno 150 connessioni come quella della Bonollo. “Sono già in lavorazione altre 140 richieste – spiega Dell’Orco -, ne abbiamo vagliate positivamente una cinquantina. Sono tutte al Centro e al Nord Italia, in pole position c’è il Piemonte con 70 richieste”. 

Secondo l’ad di Italgas reti, però, si potrebbe fare di più per favorire iniziative come quella di Bonollo, e quindi ampliare le possibilità di allaccio alla rete da parte degli impianti di biometano. Per esempio modificando il carico economico, come succede nel resto d’Europa. “Oggi in Italia – spiega – l’80% dei costi è a carico del titolare dell’impianto e il 20% a carico del gestore della rete. Noi siamo favorevoli a ribaltarlo, vorremmo fosse il contrario”, perché “è una sfida che va a favore della filiera industriale italiana oltre che della sostenibilità”.

Musi (ad Landi Renzo): “Dal 2035 non solo auto elettriche ma spazio anche a idrogeno e biometano”

Dal 2035, in base al voto dell’Europarlamento, non si potranno più vendere auto a combustione. Tutti parlano dell’elettrico però in teoria c’è spazio per i veicoli ad idrogeno. Cristiano Musi è amministratore delegato di Landi Renzo, una società presente in oltre 50 Paesi, una eccellenza italiana nei settori della mobilità sostenibile e delle infrastrutture per il gas naturale, biometano e appunto idrogeno.

Dottor Musi, come vede questa svolta?

“C’è un tema di fondo, ovvero è necessario rendere il nostro pianeta più sostenibile, quindi bisogna ridurre gli agenti inquinanti e decarbonizzare, soprattutto pensando alle generazioni future. Questo obiettivo però si può perseguire in diversi modi, io ritengo che il modo migliore per ottenere risultati veri, in una logica di neutralità tecnologica, sia affrontare pro e contro delle diverse strade e tecnologie, senza farsi guidare da una ideologia. E su questo serve uno sforzo globale. Noi abbiamo la fortuna di essere un operatore internazionale attivo lungo tutta la catena del valore della transizione energetica, dal business infrastrutturale a quello dell’automotive, e questo ci permette di avere una visione ad ampio spettro. Ritengo sia necessario sfatare un messaggio che è passato,: non è vero che si potranno vendere solo auto a batteria, perché il fuel cell electric vehicle è elettrico quanto uno a batteria”.

Che differenza c’è tra elettrico a batteria e fuel cell electric vehicle?

“La differenza è che nel Bev a motore elettrico l’energia viene stoccata a bordo veicolo nella batteria, mentre in un fuel cell electric vehicle l’energia elettrica viene generata a bordo veicolo. Stoccato nella bombola, l’idrogeno viene mixato all’interno della fuel cell con l’ossigeno che il veicolo prende dall’aria esterna, tramite un processo chimico di elettrolisi inversa che genera energia elettrica che alimenta un motore elettrico e vapore. Si potranno quindi vendere fuel cell electric vehicle. Secondo noi c’è spazio per entrambe le tecnologie e infatti i carmaker, i produttori, le stanno studiando entrambe, dipenderà poi tipo dal tipo di applicazione. Il veicolo a batteria è pesante, con lunghi tempi di ricarica, senza contare il tema dello smaltimento della batteria. Tutte tematiche che si presentano con un fuel cell electric vehicle”.

In Europa però si parla poco di metano o idrogeno per le auto. Visto che fatturate oltre l’80% all’estero, com’è la posizione nel resto del mondo?

“In Cina nel segmento trasporto pesante e nei bus, idrogeno e gas naturale hanno un ruolo sempre più importante. In India il governo ha deciso di puntare su gas naturale e biometano e ora sull’idrogeno. E poi c’è l’esempio Usa dove si ragiona in termini di neutralità tecnologica e viene fatta una valutazione sulle emissioni, per cui il biometano viene considerato addirittura carbon negative. Anche l’IRA di Biden prevede grandi investimenti nella decarbonizzazione. Però la fonte energetica viene sussidiata sulla base della riduzione di emissioni, quindi anche l’idrogeno blu prodotto attraverso la carbon capture dal metano”.

State tornando a casa da Egyps 2023, la fiera più importante del bacino mediterraneo dedicata alle fonti di energia sostenibili ed ai carburanti per trazione. Che aria avete respirato?

“C’è una grande attenzione per il biofuel soprattutto per il segmento dei veicoli commerciali o bus. Proprio l’Egitto è un Paese che ha puntato molto su gas naturale ma ha anche l’aspirazione di essere hub di produzione idrogeno: è ricco di gas naturale e sta studiando la carbon capture dall’idrogeno blu. Inoltre, vista l’importante esposizione solare del Paese, è naturale pensare di produrre energia elettrica dal solare e utilizzarla per arrivare all’idrogeno verde”.

L’idrogeno può essere una alternativa concreta all’elettrico? Che costi ha?

“Ad oggi è ancora caro, ma lo stesso vale anche per i veicoli a batteria rispetto a quelli a benzina o diesel. E’ chiaro che le fonti energetiche convenienti sono quelle fossili. Noi lavoriamo sull’idrogeno dal 2007 con Hyundai e Gm a livello americano, in Europa se ne parla molto dal 2019-2020. Oggi vediamo centinaia di miliardi di dollari di investimento a livello globale per la produzione di idrogeno, il che porterà a una riduzione dei costi”.

C’è una data prevista per un idrogeno conveniente?

“E’ sempre difficile dare delle date però è previsto che l’idrogeno arrivi intorno al 2027 a 1,5 al kg, prezzo che può essere più conveniente del diesel”.

C’è un tema infrastrutture importante legato all’elettrificazione. Colonnine, batterie, etc… Con l’idrogeno sarebbe più facile la transizione?

“Assolutamente. Basta che la stazione di rifornimento a benzina, diesel e gas naturale/biometano aggiunga un sistema di compressione idrogeno”.

Sicurezza e tempi di rifornimento dell’idrogeno?

“Servono 3 minuti per rifornire un veicolo per 700 km, mentre la sicurezza è uguale a mezzi a benzina, diesel o gas, sia per il rifornimento che per eventuali incidenti”.

La Ue comunque è disposta ad aprire ai biocarburanti, se ne riparlerà nei prossimi anni. Che spazio c’è per il biometano?

“Quello che crediamo è che la mobilità del passato dipendeva da benzina e diesel. La mobilità del futuro, anche per arrivare a ridurre le emissioni, dovrà invece dipendere da diverse fonti energetiche, utilizzabili in base agli usi… La city car a batteria ha assolutamente senso. Ma in altri ambiti, biocarburanti o idrogeno devono avere spazio. C’è spazio per tutti, sempre nell’ottica di arrivare a zero emissioni. Bisogna essere pratici. L’Europa nell’ultimo anno ha dibattuto sul tema del gas, però la siccità ha mandato in crisi le centrali idroelettriche. Ragionare in termini di neutralità tecnologica è secondo noi la via da perseguire”.

Biometano, un mercato di nicchia in netta espansione

Biometano, fonte rinnovabile e programmabile che si ottiene dalle biomasse agricole e/o agroindustriali e che rappresenta un importante tassello di quella diversificazione delle fonti indispensabile per ridurre le emissioni di CO2

Il Piano europeo RepowerEu punta a produrre 35 miliardi di metri cubi di biometano entro il 2030. Oggi se ne producono 3 (miliardi)

L’Italia dovrebbe arrivare a produrne 5 mili ardi entro il 2030

A che punto è oggi il mercato del biometano? E quali le opportunità offerte da questa fonte? Ne parliamo con Marco Ortu, Managing Director di Bioenerys, società del gruppo Snam. Intervista di Marco Dipaola per WarRoom Business 

Guarda l’intervista completa 

 

Il settore agricolo è sempre più green e con donne ai vertici

Un’agricoltura sempre più giovane e dinamica, con tantissime imprese a conduzione femminile e con una crescente attenzione agli sviluppi della ricerca e alle sue applicazioni, ma anche alla digitalizzazione“. Le parole del presidente di Copagri, Franco Verrascina, inquadrano efficacemente i primi risultati del settimo censimento dell’agricoltura dell’Istat relativo all’annata 2019-2020 (in confronto con il 2010 e il 1982). Il report infatti fotografa un settore in buona salute, sia per quanto riguarda le coltivazioni sia per gli allevamenti, e conferma il sostegno al Pil nazionale da parte del Made in Italy agroalimentare. Tuttavia è il dato storico a preoccupare: a ottobre 2020 risultano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole, ma nell’arco di 38 anni sono scomparse quasi due aziende agricole su tre. Rispetto al 1982 c’è stata una flessione del 63,8% e la riduzione è stata più accentuata negli ultimi 20 anni: il numero di aziende agricole si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era a circa 2,4 milioni.

Secondo il CensiAgri, inoltre, dal 2010 le aziende agricole sono in netto calo e soprattutto al Centro-Sud: almeno -22,6% in tutte le regioni, ad eccezione delle province autonome di Bolzano (-1,1%) e di Trento (-13,4%) e della Lombardia (-13,7%). Il calo più deciso si registra in Campania (-42,0%). Nel decennio la riduzione del numero di aziende è maggiore nel Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%) mentre nelle altre ripartizioni geografiche si attesta sotto la media nazionale.

LE COLTIVAZIONI

Dal censimento emerge che oltre la metà della Superficie agricola utilizzata (Sau) continua a essere coltivata a seminativi (57,4%), seguono i prati permanenti e pascoli (25,0%), le legnose agrarie (17,4%) e gli orti familiari (0,1%). Più nel dettaglio, i seminativi sono coltivati in oltre la metà delle aziende italiane, ossia più di 700mila (-12,9% rispetto al 2010), per una superficie di oltre 7 milioni di ettari (+2,7%) e una dimensione media di 10 ettari. In Emilia-Romagna, Lombardia, Sicilia e Puglia è concentrato il 41,4% della superficie nazionale dedicata a queste colture. Tra i seminativi, i più diffusi sono i cereali per la produzione di granella (44% della superficie a seminativi). In particolare, il frumento duro è coltivato in oltre 135mila aziende per una superficie di oltre 1 milione di ettari.

ALLEVAMENTI

Quanto all’allevamento, la Sardegna primeggia in Italia con circa 24mila aziende (10% del totale italiano), seguita da Veneto (8,3%) e Lombardia (8,2%), con circa 20mila aziende, e dal Piemonte (7,6%) con 18mila. Il contributo minore è dato invece dalle regioni dove predomina la catena alpina o la costa rocciosa, ossia la Valle d’Aosta (circa 1.400 aziende, lo 0,7% del totale), la Liguria e Trentino, entrambe con circa 4mila aziende (il 2% del totale). All’1 dicembre 2020 in Italia si contano 213.9841 aziende agricole con capi di bestiame (18,9% delle aziende attive). In termini assoluti, i capi allevati in Italia sono 203 milioni, dei quali 8,7 milioni suini, 7 milioni ovini e 5,7 milioni bovini (a cui si aggiungono ovviamente galline, tacchini, conigli etc…). Il contributo maggiore di animali allevati spetta al Nord-est, dove si trova la metà di tutti i capi censiti (quasi un terzo nel solo Veneto).

DONNE E GIOVANI

Il CensiAgri Istat si concentra anche sulla demografia delle imprese agricole italiane. Spicca ad esempio il dato sulla presenza femminile, che in termini numerici diminuisce tra il 2010 (36,8%) e il 2020 (30%) mentre aumenta la partecipazione in ruoli manageriale: i capi azienda sono donne nel 31,5% dei casi (era il 30,7% nel 2010). A livello anagrafico, è ancora limitata la presenza di capi azienda nelle fasce di età più giovanili: nel 2020 i capi azienda fino a 44 anni sono il 13%, in calo rispetto al 2010 (17,6%). Ad ogni modo il CensiAgri sottolinea che le aziende con a capo un under45 sono 4 volte più informatizzate rispetto a quelle gestite da un capo over 64 (32,2% e 7,6%). E l’incidenza delle aziende digitalizzate è maggiore nel caso in cui esse siano gestite da un capo azienda istruito e ancora di più nel caso in cui il percorso di studi sia orientato verso specializzazioni di tipo agrario. A proposito di innovazione, l’11% delle aziende agricole coinvolte nel censimento ha dichiarato di aver effettuato almeno un investimento innovativo tra il 2018 e il 2020. I maggiori investimenti innovativi sono stati rivolti alla meccanizzazione (55,6% delle aziende che innovano), seguono l’impianto e la semina (23,2%), la lavorazione del suolo (17,4%) e l’irrigazione (16,5%).

INNOVAZIONE E TRANSIZIONE GREEN

In tema di innovazione e investimenti le aziende agricole guardano sempre di più alle fonti di energia alternative e pulite. Secondo un’analisi Coldiretti, dal 2010 è triplicato il numero di imprese del settore che producono energia, dal biometano al solare. La crescita è monstre: +198% nel giro di un decennio. “L’obiettivo – spiega la Coldiretti – è ridurre la dipendenza del Paese dall’estero e fermare i rincari che stanno mettendo in ginocchio famiglie e imprese, mentre il prezzo della benzina sale ancora arrivando a 2,073 al litro e al G7 si discute sul tetto al gas e al petrolio da Mosca”. Partendo dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano a livello nazionale per alimentare le flotte del trasporto pubblico come autobus, camion e navi oltre alle stesse auto dei cittadini.

In questo modo – spiega una nota dell’associazione agricola – sarà possibile generare un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni inquinanti, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica in materia di carburanti green“. Gli impianti di biogas in Italia – spiega la Coldiretti – oggi producono 1,7 miliardi di metri cubi di biometano ma è possibile quadruplicare questa cifra in meno di dieci anni con la trasformazione del 65% dei reflui degli allevamenti. Ma un aiuto importante potrebbe venire anche dal fotovoltaico pulito ed ecosostenibile per il quale – ricorda Coldiretti – sono tra l’altro previsti 1,5 miliardi di euro di fondi nell’ambio del Pnrr. Secondo uno studio di Coldiretti Giovani Impresa solo utilizzando i tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili, laboratori di trasformazione e strutture agricole sarebbe possibile recuperare una superficie utile di 155 milioni di metri quadri di pannelli con la produzione di 28.400Gwh di energia solare, pari al consumo energetico complessivo annuo di una regione come il Veneto.

agricoltura

Il biogas è tra le dieci azioni di Farming For Future

Garantire un sistema alimentare sostenibile che permetta di utilizzare meno risorse tutelando la biodiversità e producendo di più con maggiore qualità e a costi più accessibili. Sono questi gli obiettivi di Farming For Future, il progetto avviato dal Consorzio Italiano Biogas per la conversione agroecologica dell’agricoltura italiana stimolata dalla diffusione del biogas agricolo, in accordo con gli obiettivi del Green Deal e le relative strategie di settore.

Farming For Future è una proposta che si declina in 10 azioni, delle quali 8 strettamente connesse all’agricoltura e ai suoi investimenti, mentre 2 sono di pertinenza dell’industria, quella del gas in primis.

  1. Energie rinnovabili in agricoltura: sostituire i combustibili fossili con fonti di energia rinnovabili per ridurre l’inquinamento e le emissioni;
  2. Azienda agricola 4.0: adottare tecniche di agricoltura e zootecnia avanzate per calibrare le risorse necessarie alle colture e allevamenti;
  3. Gestione dei liquami da allevamento: impiegare effluenti zootecnici e scarti agricoli nella digestione anaerobica per ridurre le emissioni e produrre bioenergie rinnovabili;
  4. Fertilizzazione organica: utilizzare fertilizzante organico (digestato) per restituire nutrienti al suolo e ridurre l’uso di fertilizzanti chimici;
  5. Lavorazioni agricole innovative: adottare tecniche avanzate di lavorazione del suolo e fertilizzazione organica per ridurre le emissioni dai suoli;
  6. Qualità e benessere animale: implementare tecniche agricole e zootecniche di eccellenza per migliorare la qualità e il benessere degli allevamenti;
  7. Incremento fertilità dei suoli: adottare le doppie colture per incrementare la cattura della Co2 e la fertilità dei suoli;
  8. Agroforestazione: integrare coltivazioni suoli legnose nei campi coltivati per aumentare la fotosintesi e la sostanza organica nei suoli;
  9. Produzione e uso di biomateriali: sviluppare e utilizzare materiali di origine biologica, naturali e rinnovabili;
  10. Biogas e altri gas rinnovabili: produrre metano e idrogeno rinnovabili dal biogas agricolo.

Il progetto punta a raggiungere un potenziale di produzione di 6,5 miliardi mc di biometano agricolo entro il 2030, all’abbattimento delle emissioni del settore agricolo del 32%, oltre a una ulteriore riduzione del 6% delle emissioni nazionali di Co2 legate all’uso di energia fossile.

Agricoltura come soluzione alla crisi energetica. Più biogas e biometano

Il superamento della crisi energetica può passare anche dall’agricoltura? Sì, ma è necessario l’allentamento dei vincoli burocratici che, da un lato costringono le imprese a produrre meno energia di quanto potrebbero e, dall’altro, rendono difficile lo sviluppo del biogas e del biometano. Ne è certo Piero Gattoni, presidente del Consorzio Italiano Biogas (CIB) – che rappresenta tutta la filiera della produzione di biogas e biometano in agricoltura – secondo il quale rimuovendo alcuni limiti burocratici, “gli impianti agricoli esistenti potrebbero garantire un incremento di produzione di 600 milioni di metri cubi di biogas nel mix energetico (pari a circa 15% dell’attuale produzione) da destinare al mercato elettrico”. L’immediata applicazione delle misure previste dal Pnrr, inoltre, spiega, “potrebbe garantire la produzione di oltre 4 miliardi di metri cubi di biometano al 2026, pari a circa il 30% dell’obiettivo del nostro Governo di sostituzione delle forniture di gas naturale importato dalla Russia”.

Secondo i dati dello Statistical report 2021 di EBA (European Biogas Association), inoltre, dal 2019 al 2020 c’è stata una crescita notevole del biometano in Europa e le previsioni sono rosee. Oggi, la produzione di biogas e biometano potrebbe coprire il 4,6% del fabbisogno in Ue ed entro il 2050 la percentuale potrebbe salire al 30%.

LA DIFFUSIONE DEL BIOGAS AGRICOLO

Attualmente in Italia ci sono 1700 impianti agricoli, che rappresentano l’84% degli impianti di biogas sul nostro territorio, per un potenza installata agricola di 1014 MW. Negli ultimi 10 anni lo sviluppo della digestione anaerobica ha fatto registrare 4,5 miliardi di euro di investimenti, creando 12mila posti di lavoro stabili.

SERVONO INVESTIMENTI

Ma allora cosa manca per agire? La filiera, assicura Gattoni, “è pronta a investire nel settore”, ma servono “misure ad hoc per aumentare la disponibilità di biogas da destinare alla produzione di energia elettrica degli impianti esistenti” e “accelerare l’emanazione dei decreti di attuazione del Pnrr sul biometano”.

LE OPPORTUNITÀ OFFERTE DAL PNRR

Il Pnrr rappresenta sicuramente una grande opportunità per il settore. Alla missione 2, la cosiddetta ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’, sono stati assegnati circa 60 miliardi di euro, cioè quasi un terzo (il 31%) dei 191 miliardi di euro del Piano complessivo. All’interno di questo capitolo, poco più di 23 miliardi di euro (il 34% del totale della missione 2) sono destinati alle energie rinnovabili e alla mobilità sostenibile. Ed è proprio qui che si inserisce lo sviluppo delle rinnovabili. Con il Pnrr si è aperta la possibilità di produrre biometano da destinare anche a settori diversi dai trasporti: per questo punto il piano di sviluppo prevede lo stanziamento di circa 1,92 miliardi di euro.

A PICCOLI PASSI

All’inizio di aprile nel decreto legge Energia è stata inserita una norma sul digestato equiparato, che ne ha riconosciuto il valore fertilizzante. “La possibilità di sostituire fertilizzanti chimici con digestato equiparato, un digestato agricolo utilizzato in modo ottimale – spiega Gattoni – consente di ridurre i costi a carico delle molte aziende agricole già fortemente provate dalla crisi economica in corso, di tutelare la fertilità dei suoli e di favorire davvero l’economia circolare in agricoltura, su cui il settore biogas e biometano è impegnato da oltre un decennio“. Ora si attende l’adozione del decreto FER 2, che introduce diversi incentivi per la realizzazione di impianti geotermici, a biomasse, a biogas, solare termodinamico ed eolico offshore.

biogas

La scommessa Ue sul biogas per l’indipendenza energetica

Diversificare i fornitori di gas, decarbonizzare le industrie e puntare sulle energie rinnovabili. Ma non solo. I piani della Commissione Europea per liberarsi dal gas e dagli altri combustibili fossili importati dalla Russia, prevedono anche di aumentare la produzione di biometano nell’UE, portando a 35 miliardi di metri cubi la produzione europea entro il 2030, sfruttando soprattutto fonti di biomassa sostenibili come i rifiuti e i residui agricoli. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata lo scorso 24 febbraio, la Commissione europea ha annunciato un piano ‘REPowerEU’ per rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi al più tardi entro il 2027, a cominciare proprio dal gas (che l’UE importa per oltre il 40% del proprio mix energetico). I “come e dove” di questa transizione saranno dettagliati in una comunicazione separata attesa a metà maggio da parte dell’Esecutivo comunitario, ma Bruxelles ha già anticipato nelle linee la sua strategia di attacco mettendo al centro di questo piano anche livelli più alti di biometano prodotto a livello europeo, nell’ottica dello sviluppo di un’economia più circolare.

Il biometano è un gas composto da metano ottenuto dalla purificazione del biogas. Un’alternativa ‘green’ e rinnovabile al gas naturale, che può essere usato tra le altre cose per la fornitura di riscaldamento ed elettricità per gli edifici e le industrie e la produzione di combustibili rinnovabili per i trasporti. L’ambizione di produrre 35 miliardi di metri cubi di biometano all’anno entro il 2030 in UE significa di fatto raddoppiare l’obiettivo proposto dall’Esecutivo europeo neanche un anno fa nel pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, che fissava la cifra a 17 miliardi di metri cubi/l’anno nel quadro della revisione prevista della direttiva europea sulle energie rinnovabili.

La proposta della Commissione deve ancora passare al vaglio dei co-legislatori – Parlamento e Consiglio – ma potrebbe essere modificata ancora prima di essere approvata. L’obiettivo di produrre in Europa 35 miliardi di metri cubi di biometano rappresenta oltre il 20% delle attuali importazioni di gas dell’UE dalla Russia e può svolgere un ruolo importante nella strategia di diversificazione delle forniture energetiche all’UE. Secondo le stime provvisorie dell’Esecutivo comunitario, 35 miliardi di metri cubi di biometano possono andare a sostituire fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas russo importato entro il 2030, a cui si aggiungono i 25-50 miliardi di metri cubi che potrebbero essere sostituiti con 15 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile prodotto nella Ue.

Secondo l’associazione europea del biogas (EBA), l’obiettivo di arrivare a 35 miliardi di metri cubi di biometano prodotto in Ue è realizzabile, anche se oggi secondo le loro stime gli Stati membri producono solo 3 miliardi di metri cubi di biometano all’anno. Un aumento fino a 35 miliardi di metri cubi richiede la mobilitazione di materie prime sostenibili di biomassa, principalmente rifiuti e residui, ma anche la costruzione di nuovi impianti per la produzione biometano. Nella strategia, che sarà dettagliata nella futura comunicazione, si legge che i piani strategici nazionali che gli Stati membri UE devono mettere a punto nel quadro della nuova politica agricola comune (la PAC) dovranno svolgere un ruolo chiave per sbloccare i finanziamenti al biometano prodotto da fonti di biomassa sostenibili, anche attraverso rifiuti e residui agricoli particolari.

Vannia Gava

Gava: “Per indipendenza occorre investire su fonti pulite e nucleare”

Transizione ecologica, sostenibilità e Green new deal: sono le parole chiave per i prossimi 30 anni. L’Italia vuole stare in questa partita, ma a che punto è lo stato dell’arte nel nostro Paese? Gea, che ha tra i suoi obiettivi fare informazione e divulgazione su temi che caratterizzeranno la nostra vita e quella dei nostri figli, lo ha chiesto alla sottosegretaria al Mite, Vannia Gava.

Sottosegretaria, l’Italia è all’avanguardia in questo percorso?

“Sì. Anche se abbiamo questa cattiva abitudine di sminuirci, l’Italia e gli italiani hanno fatto e continuano a fare un grande lavoro: la sensibilità ambientale è così diffusa che siamo in vetta alle classifiche europee sulle percentuali di riciclo dei rifiuti col 79%, mentre la Francia è ferma al 56% e il Regno Unito al 50%. Anche nel riciclo industriale, quello di acciaio, alluminio, carta, vetro, plastica, legno, tessili siamo il Paese europeo con la maggiore capacità di riciclo. Siamo assolutamente all’avanguardia ma non siamo certo arrivati al traguardo. Per questo dobbiamo fare di più, investendo e procedendo passo dopo passo, per diffondere tra i cittadini una maggior cultura ecologica e accompagnando le imprese nei processi per le riconversioni e verso un’economia sempre più sostenibile. Con i bandi sull’economia circolare, chiusi proprio una settimana fa, daremo grande impulso alla realizzazione di impianti capaci di risolvere l’emergenza dei rifiuti urbani che, ancora oggi, in molte aree del paese vengono trasportati fuori regione per la carenza di impianti”.

L’Europa si è data il 2050 per arrivare alla neutralità climatica. Secondo lei è un traguardo davvero realizzabile? E a quali costi?

“L’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop 26 è stata contraddistinta da maggior realismo rispetto alle precedenti. Tutti i partecipanti hanno condiviso un obiettivo, ma riconosciuto che deve essere raggiunto con realismo, senza mortificare le economie o regalare vantaggi competitivi ad alcuni Paesi. Purtroppo, quella conferenza non poteva tener conto della guerra energetica scoppiata subito dopo il conflitto in Ucraina, che sta sconquassando i rapporti internazionali e i contratti per le forniture energetiche. Speriamo che gli effetti siano soltanto temporanei, che non ci si debba arrendere a qualche rinvio. Resta inteso che ovviamente l’obiettivo delle emissioni zero rimane”.

Attualmente il nostro sistema comprende 5 tipi di energia: petrolio, gas naturale, rinnovabili, nucleare e carbone. Il Green Deal punta a ridurre le emissioni di gas serra dal 55% entro il 2030 portando le rinnovabili al 40% del consumo energetico totale della Ue. Biometano e idrogeno sono le strade da percorrere?

“Cambiare velocemente il nostro mix energetico è fondamentale e questa crisi lo ha reso evidente a tutti. È necessario ridurre la dipendenza dell’Italia da fonti straniere e liberarsi dal giogo di un unico fornitore, o fornitore principale, che può minacciare di chiudere i rubinetti da un momento all’altro. Per farlo stiamo diversificando, ma bisogna soprattutto incentivare tutte le fonti energetiche ‘pulite’: biometano, idrogeno e anche nucleare di quarta generazione, che è stato incluso dalla tassonomia Ue, senza esaltare o demonizzare nulla a priori. Intanto continueremo, come abbiamo iniziato a fare in questi mesi e poi in ultimo col decreto energia, lungo la strada delle semplificazioni del ‘permitting’ per gli impianti di energia rinnovabile. Bisogna evitare che, come accadeva in passato, burocrazia, lentezze e sindrome Nimby scoraggino gli investimenti”.

Biogas

Cos’è e come si produce il biogas

Il biogas è un vettore strategico per la transizione energetica e per favorire il raggiungimento degli obiettivi europei di decarbonizzazione. Ma come viene prodotto e utilizzato?
La produzione di biogas avviene attraverso la digestione anaerobica, un processo naturale nel quale, in assenza di ossigeno, le sostanze organiche – grazie all’azione di diversi tipi di microrganismi specializzati – vengono trasformate, appunto, in biogas. Per farlo è necessario utilizzare la biomassa, cioè materiali residui di origine organica, vegetale – come gli scarti di produzione agricola – o animale. Il biogas così prodotto può essere impiegato per ricavare energia termica ed elettrica.

Il biogas è composto mediamente da metano (50-65%), da anidride carbonica e tracce di altri gas. La trasformazione del biogas in biometano avviene attraverso la rimozione – chiamata purificazione – dei gas presenti in piccole quantità (per esempio composti a base di zolfo) e successivamente attraverso la separazione dell’anidride carbonica dal metano (upgrading). Tra i metodi più usati per la rimozione dell’anidride carbonica: le membrane polimeriche, il lavaggio ad acqua, l’assorbimento chimico o fisico. Il biometano ha le stesse caratteristiche del metano di origine fossile e può quindi essere immesso nelle reti di distribuzione del gas naturale e/o utilizzato nel settore trasporti.