I prezzi di cacao e succo d’arancia passano dal boom allo sboom

I mercati globali stanno assistendo a un drastico crollo dei prezzi di due materie prime che avevano recentemente raggiunto picchi storici: il cacao e il succo d’arancia. Fino a poco tempo fa rappresentavano il motore di una crescita inarrestabile nei mercati delle materie prime, mentre sono ora in una fase di inversione che lascia molti analisti e investitori sorpresi, che vedono il boom diventare sboom.

Nel caso del succo d’arancia, uno degli eventi più significativi è il ritiro massiccio degli hedge funds, che, dopo aver scommesso pesantemente sul rialzo dei prezzi, ora stanno liquidando le loro posizioni. Secondo i dati riportati dal Wall Street Journal, i prezzi del succo d’arancia concentrato surgelato sono crollati del 46% rispetto ai massimi record registrati a dicembre. Un calo che, da inizio anno, ha raggiunto il 42%, con un ulteriore declino del 5% solo nell’ultimo giorno di contrattazione. I futures sul succo d’arancia avevano visto un’impennata nel 2022, in gran parte a causa delle preoccupazioni per la diminuzione del raccolto in Florida, la principale regione produttrice degli Stati Uniti. Questo aveva spinto i prezzi a toccare picchi mai visti, arrivando quasi a 5,50 dollari per libbra. Tuttavia, nonostante la Florida stia affrontando una stagione difficile, con un calo significativo della produzione, gli investitori non sono riusciti a ottenere i guadagni sperati, e ora stanno accelerando il declino dei prezzi.

All’inizio di quest’anno, gli investitori cosiddetti “managed money” (cioè gli speculatori, diversamente dai coltivatori di arance e dai produttori di succo che usano i futures per fissare i prezzi) avevano accumulato una posizione da record, scommettendo che i prezzi avrebbero continuato a salire. Ma la realtà si è rivelata ben diversa. Come spiega Dave Whitcomb, esperto di trading, “Non hanno ottenuto il rialzo che si aspettavano e ora stanno liquidando le posizioni, accelerando il calo dei prezzi”. I futures sono così scesi a 2,8 dollari per libbra, nonostante la previsione di una riduzione del 25% nella produzione di arance Valencia negli Stati Uniti. In Florida, dove la malattia del greening e l’espansione urbana hanno distrutto gran parte dei frutteti, il raccolto di Valencia è previsto in calo del 38% rispetto all’anno scorso.

Anche il mercato del cacao sta vivendo una situazione simile. Dopo aver raggiunto il massimo a fine 2024, i prezzi del cacao hanno subito un calo del 30% da inizio anno, con i futures che sono scesi a 8.000 dollari per tonnellata. La causa di questo crollo è legata principalmente alle previsioni rilasciate dall’Organizzazione Internazionale del Cacao (Icco), che ha stimato un aumento della produzione mondiale di cacao del 7,8% per la stagione 2024/25. Questo, insieme a una domanda in calo, ha fatto scivolare i prezzi.

Nel dettaglio l’Icco ha previsto che, nonostante le difficoltà dovute a condizioni climatiche avverse, malattie, parassiti e alberi vecchi, la produzione di cacao sarà maggiore rispetto alla stagione 2023/24. Tuttavia, la domanda globale di cacao è destinata a diminuire di quasi il 4,8%, un effetto negativo che è stato innescato dall’alto costo delle materie prime. “Gli alti prezzi del cacao degli ultimi anni hanno incentivato gli agricoltori a investire maggiormente nella coltivazione, ma l’alto costo delle materie prime ha ridotto la domanda”, ha scritto l’Icco nel suo report che indica un aumento della produzione mondiale di cacao verso quota 4,84 milioni di tonnellate. Tuttavia, la domanda dovrebbe scendere a 4,65 milioni di tonnellate. Insomma, surplus e prezzi giù.

Ennesimo record: il cacao arriva a 10 euro al kg. Pronta una raffica di rincari

Il prezzo del cacao ha toccato i 10mila dollari a tonnellata nella piazza finanziaria di New York. Più o meno 10 euro al kg. Infranto l’ennesimo record storico. In un anno le quotazioni sono salite del 250%. A livello nominale i futures un anno fa erano scambiati a 2.500 dollari e dieci anni fa il prezzo era attorno ai 650 dollari. In termini reali, adeguando dunque l’impatto cumulativo dell’inflazione, il cacao è comunque ancora scambiato ben al di sotto del picco raggiunto negli anni ’70. Il livello record stabilito 46 anni fa equivarrebbe infatti oggi a 27.000 dollari la tonnellata in termini nominali. Tuttavia l’impennata degli ultimi mesi resta storica.

Per comprendere la crisi, bisogna guardare alla sua genesi: anni di investimenti insufficienti nella coltivazione del cacao nell’Africa occidentale, che ospita circa il 75% della fornitura mondiale. A ciò vanno aggiunti maltempo e malattie. Nell’Africa occidentale, il cacao viene ancora coltivato prevalentemente da piccoli proprietari terrieri poveri. Guadagnano solo quanto basta per sopravvivere, così la maggior parte di loro non ha i mezzi per reinvestire nei propri appezzamenti, piantando nuovi alberi o investendo in fertilizzanti e pesticidi. I vecchi alberi di cacao comportano due problemi: rese inferiori e piante particolarmente vulnerabili alle intemperie e alle malattie.

Se l’offerta soffre, la domanda invece è più che in forma. Il risultato è dunque un brutale divario tra domanda e offerta. Anche tenendo conto dell’impatto frenante dei prezzi elevati sui consumi, il mercato si dirige verso un deficit compreso tra 300.000 e 500.000 tonnellate. Se confermato, si tratterebbe del deficit più grande degli ultimi 65 anni. L’attuale deficit sarebbe però un problema minore se la domanda globale di cacao non fosse raddoppiata negli ultimi 30 anni, poiché l’ascesa della classe media mondiale crea più consumatori. E ne stanno arrivando altre, poiché la domanda pro capite è ancora bassa in luoghi come la Cina. Il consumo annuo in Svizzera è di circa 12 kg, negli Usa sono 9 i chilogrammi mangiati, 6 kg in Germania, 1,5 Kg in Brasile, 1 in India e appunto appena 200 grammi in Cina.

Ovviamente a infiammare il rally ci ha pensato la finanza, quando ha odorato le potenziali criticità nell’offerta, facendo salire ancora di più i futures. Secondo Javier Blas, columnist di Bloomberg su energia e commodities, “una volta che i prezzi si svincolano dai fondamentali, è quasi impossibile fermare un mercato rialzista, finché qualcosa non si rompe. Preparatevi all’attuale impennata del cacao per avere ramificazioni più ampie rispetto all’inflazione del costo del vostro uovo di Pasqua. I mercati in disordine possono portare le imprese commerciali in difficoltà e persino al collasso. Questo è quello che è successo nei mercati europei dell’elettricità e del gas naturale nel 2022 – continua Blas – ed è successo anche nel mercato del cotone nel 2008 e di nuovo nel 2011″. Un segno di difficoltà – conclude l’opinionista di Bloomberg – è il calo della liquidità nel mercato finanziario del cacao da gennaio: il numero aggregato di contratti in essere, noti come open interest, nel mercato dei futures sul cacao di New York e Londra è diminuito del 35% circa negli ultimi tre mesi”.

A livello di economia reale, intanto, si sta assistendo a un aumento dei prezzi al dettaglio del cioccolato e alla contrazione dell’inflazione. Per Michele Buck, numero uno di Hershey, i rincari potrebbero essere solo all’inizio: “Utilizzeremo tutti gli strumenti a nostra disposizione, compresi i prezzi”. La crescita delle quotazioni del cacao registrata nell’ultimo anno ha determinato rincari generalizzati per le uova di Pasqua, con i marchi più noti che hanno aumentano i listini al pubblico tra il +16% e il +24% rispetto allo scorso anno, con punte in alcune catene commerciali del +40%, sottolinea il Codacons. Tuttavia il boom del nuovo ‘oro nero’ rischia di avere conseguenze negative sui prezzi al pubblico di una moltitudine di prodotti di largo consumo: dalle tavolette di cioccolata ai cioccolatini, dalle bevande al cacao alle merendine o ai biscotti farciti di cioccolato, passando per le creme spalmabili. Ma anche gelati, torte, pasticcini e altri prodotti freschi che utilizzano la materia prima cacao risentiranno della crisi in atto e subiranno un incremento di prezzo. Per chi capire gli effetti sulle tasche dei consumatori basti pensare che tre italiani su quattro consumano abitualmente prodotti a base di cioccolato – conclude il Codacons – con un consumo procapite di circa 2 kg e un giro d’affari che nel nostro Paese supera i 2 miliardi di euro annui.

Scoperto il ‘viaggio’ millenario dell’albero di cacao dall’Amazzonia all’America Centrale

(Photo credit: Claire Lanaud)

L’albero del cacao (Theobroma cacao), i cui semi sono utilizzati per produrre prodotti come il cioccolato, il liquore e il burro di cacao, potrebbe essersi diffuso dal bacino amazzonico alle altre regioni dell’America meridionale e centrale almeno 5.000 anni fa attraverso le rotte commerciali. E’ quanto suggerisce un articolo pubblicato su Scientific Reports. Queste scoperte, basate su residui in antichi vasi, suggeriscono che i prodotti a base di cacao erano più ampiamente utilizzati tra le antiche culture del Sud e del Centro America di quanto si pensasse in precedenza.

Il moderno albero del cacao – il cui nome scientifico significa “cibo degli dei” – è una delle colture più importanti del mondo. Esistono undici gruppi genetici conosciuti, tra cui i Criollo e Nacional. Sebbene sia ormai certo che l’albero del cacao sia stato originariamente domesticato nell’alto bacino amazzonico, finora non era chiaro come il suo uso da parte di altre culture si fosse diffuso in tutto il Sud e Centro America.

Claire Lanaud e colleghi dell’Agap Institut dell’Università di Montpellier hanno analizzato i residui di 352 oggetti in ceramica provenienti da 19 culture precolombiane che vanno da circa 5.900 a 400 anni fa in Ecuador, Colombia, Perù, Messico, Belize e Panama. Gli autori hanno analizzato la presenza di Dna di cacao antico e di tre componenti metilxantine (blandi stimolanti) presenti nei ceppi di T. cacao moderni – teobromina, teofillina e caffeina – per identificare i residui di T. cacao antico. Gli autori hanno anche utilizzato informazioni genetiche provenienti da 76 campioni moderni per stabilire l’ascendenza del cacao antico presente negli oggetti di ceramica, che potrebbe rivelare come i ceppi antichi si siano diversificati e diffusi.

I risultati dimostrano che il cacao è stato ampiamente coltivato lungo la costa del Pacifico subito dopo la sua domesticazione in Amazzonia, almeno 5.000 anni fa, con alti livelli di diversità tra i ceppi antichi. Secondo gli autori, la presenza di genotipi di cacao originari dell’Amazzonia peruviana nella regione costiera di Valdivia, in Ecuador, suggerisce che queste culture hanno avuto contatti di lunga data. Ceppi peruviani sono stati rilevati anche in manufatti provenienti dalla costa caraibica colombiana.

L’insieme di questi dati indica che i ceppi di cacao hanno subito un’ampia diffusione tra i Paesi e sono stati incrociati per adattarsi a nuovi ambienti man mano che le diverse culture ne adottavano l’uso, suggeriscono gli autori.

Per gli scienziati “una maggiore comprensione della storia genetica e della diversità del cacao può aiutare a contrastare le minacce, come le malattie e i cambiamenti climatici, che incombono sui ceppi di cacao moderni”.

Guerra del cacao: Costa d’Avorio e Ghana contro le multinazionali

Si alzano i toni tra i due maggiori produttori di cacao al mondo e le multinazionali: Costa d’Avorio e Ghana hanno dato tempo fino a oggi ai produttori per pagare un bonus promesso ai contadini, un braccio di ferro sintomatico delle tensioni ricorrenti in questo settore. “Il coltivatore di cacao ivoriano non vive decentemente della sua produzione. Chiedo ai produttori di cioccolato di rispettare il prezzo stabilito per i contadini“, dice Venance Brou Kouadio, nel mezzo della sua piantagione di cinque ettari a Bringakro.

Come questo quarantenne, in un villaggio a 200 km a nord di Abidjan, molti agricoltori lamentano di non ricevere il prezzo promesso per un chilo di cacao, fissato quest’anno in Costa d’Avorio a 900 franchi CFA (1,3 euro). Al centro del malcontento c’è il differenziale di reddito dignitoso (DRD), un meccanismo di bonus introdotto nel 2019 con l’obiettivo di far pagare ai produttori di cioccolato un bonus di 400 dollari per tonnellata di cacao. L’obiettivo auspicato è quello di remunerare meglio gli agricoltori, che si stima ricevano circa il 6% del valore generato dal mercato del cioccolato. Ma secondo il Consiglio ivoriano del caffè e del cacao (CCC) e il Consiglio del cacao del Ghana (Cocobod), gli organi nazionali di gestione del cacao dei due maggiori produttori mondiali (60% della produzione tra loro), la situazione non è soddisfacente.

Il Covid è stato un “pretesto per non pagare“, “ma le multinazionali hanno aumentato i loro profitti e sono in grado di pagare“, afferma Yves Brahima Koné, presidente della CCC. Senza il DRD, spiega, sarebbe difficile per il coltivatore ottenere il suo margine, circa 100 franchi CFA al chilo. Un premio che mira a migliorare il reddito degli agricoltori, ma le aziende “aggirano questo processo“, deplora Fiifi Boafo, portavoce di Cocobod.

Secondo alcuni esperti, se da un lato le aziende produttrici di cioccolato hanno tenuto conto della Drd nei costi, dall’altro stanno compensando facendo pressione sul premio che dovrebbe ricompensare la qualità dei chicchi. Dopo aver boicottato un incontro a Bruxelles alla fine di ottobre, la Costa d’Avorio e il Ghana hanno mostrato i muscoli. Se le multinazionali non rispetteranno i loro impegni entro il 20 novembre, i due Paesi minacciano di “vietare l’accesso alle piantagioni per effettuare le previsioni sui raccolti” e di “sospendere i programmi di sostenibilità“.

Questi programmi, che mirano a combattere la deforestazione e il lavoro minorile, consentono ai produttori di affermare che il loro cioccolato è prodotto in modo sostenibile, un criterio favorito dai consumatori. “Questo ultimatum ci permette di attirare l’attenzione sul fatto che, per quanto siano importanti le questioni della deforestazione e del lavoro minorile, la questione del reddito degli agricoltori è altrettanto importante“, afferma Fiifi Boafo. “Se il cacao è ben pagato, possiamo mandare i nostri figli a scuola e modernizzare il nostro villaggio costruendo ospedali“, chiede Apolline Yao Ahou, un agricoltore della piantagione di Bringakro.

Diverse multinazionali, come Barry Callebaut, Olam, Cargill, Ecom, Sucgen, Nestlé e Touton, dominano il mercato ivoriano e acquistano la quasi totalità della produzione di cacao del Paese, di cui oltre l’80% viene inviato in Europa. La World Cocoa Foundation, che raggruppa le aziende produttrici di cioccolato e cacao, non ha voluto commentare. Ma alcuni produttori, come Nestlé, dicono di fare la loro parte. “Riteniamo che i coltivatori di cacao debbano percepire un reddito che consenta loro di mantenere un tenore di vita dignitos. Nestlé paga la Drd fin dall’inizio in Costa d’Avorio e in Ghana“, ha dichiarato un portavoce del gruppo. Entro il 2024, un regolamento europeo dovrebbe impedire l’ingresso nell’Ue di cacao proveniente dalla deforestazione.