La polpetta (avvelenata) del ‘meat sounding’ altra grana europea

Se davvero di polpetta si tratta è sicuramente avvelenata. Perché intorno al ‘meat sounding’ si sta scatenando una battaglia tra Roma e Bruxelles. Qual è il nodo di questa vicenda che può sollevare qualche sorriso ma che in realtà cela una grana grande e grossa? Sintetizzando: si tratta di quei prodotti a base vegetale che vengono venduti con nomi che richiamano o citano espressamente prodotti a base di carne. Alzi la mano chi di noi non ha mai sentito parlare dell’hamburger vegetale, o della bistecca di soia, o delle polpette vegane, o – esagerando – della bresaola di grano? Ecco, tutti questi nomi che solleticano (in teoria) le papille gustative sono fuorilegge nel nostro Paese dall’anno scorso, in concomitanza con il ‘no’ alle carni sintetiche. Qui nasce il ‘meat sounding’, vietato peggio dei rave party, perché – lamentano – ti illudi di mangiare una chianina e invece ti trovi a ingurgitare soia.

Se da un lato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e il senatore leghista Gianmarco Centinaio sono scesi in campo per contrastare questo presunto ‘tarocco’ alimentare a tutela dei consumatori, dall’altro le aziende che producono alimenti vegetariani sono sul piede di guerra e hanno scritto una lettera alla Ue per modificare la legge italiana e lasciare così alla polpetta la possibilità di esistere sia sotto forma di carne sia di proteine vegetali. La tanto vituperata Bruxelles, questa volta viene invocata per sanare un contrasto interno. Che succederà? In teoria dovrebbe essere l’etichettatura a fare da spartiacque tra i due prodotti anche per quelle persone che sono più svagate e magari tendono a confondersi.

E’ chiaro che di fronte alla guerra tra Israele e Hamas, alla crisi del Mar Rosso e al conflitto tra Russia e Ucraina, la vexata quaestio del ‘meat sounding’ è una briciola (il pane non rientra nella contesa…) ma i numeri fanno riflettere. Solo in Italia sono 22 milioni le persone che consumano abitualmente prodotti di natura vegetale, mentre quel 25% di italiani che ancora non ha testato le prelibatezze vegetariane/vegane ha confessato di essere intenzionata a farlo. Insomma, non proprio riscontri trascurabili. “Speriamo che usino un po’ di fantasia”, l’auspicio rivolto da centinaio a Unionfood. Una battuta che non ha fatto ridere i produttori ma che rischia di sollevare un ulteriore polverone. Nemmeno un ‘buon appetito’ ci sta bene in mezzo a tanta tensione. Insomma, a questo giro deve apparecchiare tavola Bruxelles

Distribuzione Moderna protagonista dello sviluppo sostenibile del Paese

La Distribuzione Moderna è sempre più attenta alla sostenibilità.

Il Report di Sostenibilità di Federdistribuzione, curato con il supporto di Altis – Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è giunto alla sua quinta edizione e descrive un quadro molto chiaro: le aziende del settore contribuiscono concretamente allo sviluppo ambientale, sociale ed economico del Paese.

“Sulle tematiche ambientali si sta facendo molto da tempo”, osserva il presidente, Carlo Alberto Buttarelli, che durante la presentazione in Senato parla di una “grande attenzione” per la alla rigenerazione urbana e il recupero di aree dismesse, oltre agli interventi sui punti vendita esistenti per l’efficientamento energetico. Crescita sostenibile, responsabilità sociale e attenzione all’ambiente sono, assicura Buttarelli, “valori di riferimento che guidano quotidianamente le aziende del settore distributivo, che si riflettono nel servizio essenziale di cui beneficiano quotidianamente milioni di persone, così come nel ruolo fondamentale a sostegno delle filiere di eccellenza del Made in Italy e nello sviluppo di iniziative che contribuiscono all’economia circolare e alla riduzione delle emissioni“.

Il settore guarda al futuro e investe in innovazione. Per ridurre l’impatto ambientale, oggi il 53% delle aziende ha adottato policy formalizzate, il 42% investe in tecnologie innovative per ridurre le emissioni e circa un terzo ha implementato attività di compensazione e campagne informative rivolte a dipendenti e consumatori.

In ambito di mobilità sostenibile, il 79% delle aziende ha intrapreso azioni concrete, tra le quali l’installazione di colonnine di ricarica per auto elettriche, l’efficientamento della localizzazione dei depositi e l’uso di mezzi elettrici. Le imprese della distribuzione svolgono un ruolo di primo piano nella riduzione dei consumi energetici: il 95% delle aziende impiega energia rinnovabile, l’89% autoproduce elettricità da fonti rinnovabili e il 58% acquista energia green da fornitori terzi.

Per quanto riguarda l’impegno a incrementare la circolarità, tracciabilità e trasparenza relativa ai prodotti, le aziende dimostrano una crescente attenzione: il 74% ha in essere azioni di sensibilizzazione dei propri dipendenti rispetto alla gestione dei rifiuti non alimentari e il 63% ha in essere iniziative per incrementare la percentuale di rifiuti destinati al recupero. L’89% delle imprese è impegnata a ridurre l’uso di plastica e a introdurre materiali più sostenibili negli imballaggi.

Sul tema imballaggi, c’è un dibattito aperto in Europa per la riduzione della plastica. Però il regolamento “non ci convince“, fa sapere Buttarelli. Perché, spiega, come strumento normativo “riteniamo non sia adatto, tende a sostenere fortemente dinamiche di riuso limitando il riciclo, in cui il nostro paese e leader“. Bene gli obiettivi 2030, dunque, ma “dobbiamo perseguirli conservando le buone pratiche dei singoli Paesi”. “L’Europa parla di sostenibilità, l’Italia c’è ma facciamo ragionamenti per andare oltre il dibattito ideologico, che è all’ordine del giorno a Bruxelles – gli fa eco il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio -. Non possiamo pensare ad esempio che, nell’alimentare, si passi dall’oggi al domani dall’uso della plastica al plastic free. Nel settore del fresco è impossibile”.

Di fondamentale rilevanza per il settore della distribuzione sono i temi che riguardano la lotta allo spreco, l’educazione e la sicurezza alimentare: il 92% delle aziende dispone di una politica formalizzata sulla sicurezza dei prodotti alimentari e il 67% effettua rigorosi audit in fase di approvvigionamento dai fornitori. Il 58% promuove iniziative di sensibilizzazione a studenti delle scuole sui temi della corretta alimentazione. Quasi la totalità delle aziende della distribuzione (92%) ha in essere una collaborazione con il Banco Alimentare e l’83% collaborazioni con enti per gestire la donazione e la redistribuzione delle eccedenze alimentari. “L’analisi quali-quantitativa condotta, con riferimento al biennio 2021-22, ha evidenziato come i Sustainable Development Goals, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile previsti dall’Agenda 2030 dell’Onu, siano ormai stati adottati dalle imprese come elemento guida del proprio impegno“, riflette Stella Gubelli, Ad di Altis Advisory. “Lo mettono in luce i dati raccolti sui sei principali SDGs che sono emersi come i più rilevanti per il contributo fornito dalle aziende grazie alle numerose attività e iniziative in essere, che si configurano come best practice“.