Pitto (Fedespedi): “Servono nuove infrastrutture per trasporto merci e tutela export”

Il 27 settembre si terrà a Roma l’assemblea di Fedespedi, la Federazione guidata da Alessandro Pitto che rappresenta le imprese di spedizioni internazionali in Italia: un settore che genera un fatturato di oltre 15 miliardi di euro l’anno – circa il 20% del giro d’affari dell’intero settore dei trasporti e della logistica – e impiega circa 50.000 addetti. Il titolo dell’assemblea di quest’anno è ‘La merce al centro: politiche e prospettive di sviluppo del commercio internazionale’’. “Al centro” di una transizione e di un cambiamento storico, legato alle direttive ambientali europee e internazionali. “Al centro”, spiega Pitto, “per risvegliare l’attenzione istituzionale sull’importanza del made in Italy“. “Servono nuove infrastrutture per consentire lo spostamento di persone, ma anche di merci considerando la strategicità dell’export per l’Italia e serve una semplificazione amministrativa e burocratica. Questa è la vera sostenibilità”.

Presidente, la transizione energetica e il boom della mobilità possono andare di pari passo o si rischia di non fare bene l’una o l’altra?

“A me piace parlare di ottimismo ambientale, non di catastrofismo ambientale. Dobbiamo essere spinti da ottimismo, anche perché, non da oggi, stiamo già facendo molto per cambiare il nostro mondo. Gli Usa oggi, ad esempio, producono la stessa quantità di CO2 del 1970, ma l’economia americana oggi è 30 volte più grande. Un altro esempio è che con la quantità di plastica necessaria oggi per realizzare 10 bottigliette, dieci anni se ne produceva una. Per questo affermo che occorre essere animati da un sano ottimismo ambientale. Certo, la sfida non è semplice: da una parte il contesto normativo e di indirizzo dato dalla Ue ci spinge a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, dall’altra parte abbiamo previsione di aumento del trasporto che incrementerà le emissioni. Noi spedizionieri siamo un punto di contatto privilegiato con le imprese esportatrici e importatrici e possiamo incidere fornendo loro un servizio consulenziale che le orienti a scelte di sostenibilità anche nella gestione della logistica. A conferma di questa consapevolezza, la Federazione, e in particolare Fedespedi Giovani, ha avviato fin dal 2019 un percorso di sensibilizzazione della categoria rispetto al ruolo che le imprese di spedizioni possono giocare nella transizione green del settore logistico. Questo impegno si è concretizzato nel 2023 con il progetto ‘KPI di sostenibilità ambientale’, realizzato in partnership con il Green Transition Hub dell’Università LIUC e volto a individuare una serie di indicatori di misurazione delle performance ambientali derivanti dall’attività delle imprese di spedizioni”.

A proposito di sfide: l’Italia vale 600 miliardi di export. Saremo in grado di sostenere la domanda innanzitutto europea seguendo le direttive di Bruxelles su ambiente e trasporti? La tempistica non è troppo stringente?

“Trovo che sia corretto darsi obiettivi ambiziosi e sfidanti, che ci spronino a un cambio di mentalità, anche correndo il rischio di non centrarli in pieno. Un cambiamento è già in atto: abbiamo clienti che ci chiedono di ridurre le emissioni nel trasporto di merci, c’è un movimento di pensiero che si è messo in moto. La cosa importante è che non è più in discussione, ma in pratica”.

La lotta alle emissioni rivoluzionerà il mondo dei trasporti. Vedete più opportunità o più criticità sui costi?

“Ci sono due temi sul tavolo. C’è un tema di investimenti per essere più sostenibili e qui le risorse non mancano, sia a livello pubblico che privato: penso all’incremento di mezzi a propulsione alternativa, allo sviluppo porti più green, allo switch modale da strada a treno molti di questi punti ad esempio sono oggetto del Pnrr. Da questo punto di vista la preoccupazione è semmai più sui tempi che sui costi viste le scadenze del 2026. Indubbiamente per le aziende ci sono costi da sostenere nell’immediato ma credo che si tratti di un tema di scala: se si inizia a usarli di più ci sarà un progressivo allineamento. L’altro tema è scegliere la tecnologia su cui puntare – su cui l’Unione Europea ha dato obiettivi ben precisi – e soprattutto trovare standard universalmente riconosciuti per orientare le scelte”.

Si riferisce alle certificazione ambientale o Esg?

“Certo, ci preme sottolineare la strategicità dell’elaborazione di standard di misurazione che possano uniformare le numeriche di sostenibilità su cui costruire strategie concrete di transizione verde. Per questo apprezziamo gli ultimi sviluppi a livello europeo con cui la Commissione ha riconosciuto il nuovo standard internazionale ISO 14083 per il calcolo delle emissioni dell’attività di trasporto merci”.

Camion, treno, aereo, nave: quale tipo di mobilità vedete più sulla retta via per gli obiettivi del 2030?

“Il trasporto su ferro è indubbiamente la modalità di trasporto più sostenibile e che consente di movimentare ingenti quantità di merci, peraltro riducendo la congestione delle arterie stradali. Il trasporto su strada, come detto, è il classico settore cosiddetto ‘hard to abate’, in cui diverse tecnologie si profilano all’orizzonte, ma non è ancora chiara la strada che le aziende dovranno seguire e su cui investire. Il trasporto marittimo ha un notevole impatto in termini assoluti sull’ambiente, per via dei volumi trasportati, ma è anche quello che risulta più sostenibile per tonnellata trasportata, soprattutto dove si pone in alternativa alla strada. in vantaggio, grazie a motrici elettrici, segue il trasporto aereo considerato che ci sono già sperimentazioni in corso su Saf, il biocarburante che impatta meno che si sta proponendo anche al trasporto marittimo. Porto poi l’esempio italiano: le autostrade del mare. Un recente studio ha rilevato che contribuiscono a togliere 1,7 milioni di camion dalla strada all’anno”.

Per quanto riguarda la strada, in Europa si punta tutto sull’elettrico, in altri continenti si portano invece avanti tutte le tecnologie, idrogeno compreso, o semplicemente spingendo sui biocarburanti. Qual è la vostra visione o preoccupazione?

“Dal mio punto di vista sarebbe stato preferibile un approccio di neutralità tecnologica: porre l’obiettivo e lasciare libere le aziende di raggiungere il target di emissioni zero. Credo che la strada intrapresa sui biocarburanti rappresenti una soluzione transitoria, in attesa che si affaccino tecnologie che risolvano definitivamente il problema, ma che oggi non sono ancora percorribili, come ad esempio l’elettrico. Sull’utilizzo in larga scala dei mezzi pesanti pesa il tema dei tempi di ricarica ancora troppo lunghi: è una questione che impatta a sua vota sui tempi di guida degli autisti. E poi la sostenibilità della rete: come viene prodotta l’energia?”

Ci saranno maggiori costi?

“Nel breve termine probabilmente sì, ma credo che tutti gli stakeholders siano consapevoli di dover fare uno sforzo oggi per evitare di avere costi ancora maggiori in futuro. Il vero costo della transizione non è però oggi rappresentato dai costi espliciti, ovvero dall’uso di carburanti più costosi, quanto da quelli impliciti legati a soluzioni che potrebbero creare ritardi o disservizi su larga scala, come ad esempio i tempi di ricarica”.

Tutto ciò potrebbe alimentare un’inflazione alta?

“Penso sia un rischio di breve periodo. Il mercato dei noli marittimi e dei noli aerei è stato molto oscillante negli ultimi tempi, toccando livelli mai sperimentati in precedenza. Oggi i livelli sono mediamente molto bassi, per cui non penso che un cosiddetto costo ambientale potrebbe avere un grande riflesso su prezzi al consumo”.

C’è il rischio, con le regole che si sta dando l’Unione Europea, di favorire operatori extra-Ue che non sono soggetti alle nostre norme?

“La Ue ha pensato a misure a contrasto del rischio, attraverso il Cbam, una carbon tax su prodotti realizzati ad alta intensità di Co2. La normativa entrerà in vigore l’1 ottobre in via sperimentale e transitoria fino a fine 2025. Per ora l’applicazione sarà informativa, ovvero gli importatori dovranno comunicare le emissioni legate a merci importate. Dal 2026 scatterà il dazio e dovranno essere eventualmente acquistati certificati ambientali come compensazione. Una misura che ritengo corretta. Occorre tuttavia monitorarne da vicino l’applicazione per evitare che si trasformi solo in un nuovo onere burocratico a carico delle imprese di spedizioni”.