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Gallo (Italgas): Con biometano e idrogeno sostituiremo gas russo

Paolo Gallo è un ingegnere aeronautico laureato al Politecnico di Torino che negli anni ha sviluppato un’altra passione (professionale) così intensa e così profonda da portarlo dov’è adesso, a capo di Italgas, la più antica e performante azienda italiana di distribuzione del gas. Non a caso, aerei e gas hanno spinto Gallo a scrivere un libro, ‘Diario di volo’, che può essere considerato il manifesto del futuro. Al centro di tutto, la digitalizzazione delle reti: “Nel breve-medio periodo dobbiamo realizzare delle reti intelligenti, digitali, flessibili che hanno come effetto immediato quello di migliorare il servizio che forniamo al cliente finale e di cambiare il modo in cui noi gestiamo le reti, in maniera meno passiva”, racconta. “Nel lungo termine questa digitalizzazione ha anche un altro uso: serve a gestire gas diversi, che non sia solo il metano. Penso al biometano e all’idrogeno, a zero contenuto di carbonio. Conoscere la miscela di gas che in un determinato momento attraversa la nostra rete è fondamentale”, dice tutto d’un fiato.

La location dell’intervista a GEA è quella della Digital Factory nella sede milanese di Italgas. Biometano e idrogeno solo il filo conduttore della chiacchierata con Gallo, classe 1961, torinese, una devozione per la montagna e la Juventus. “Il biometano è l’energia rinnovabile più pronta per un motivo semplice: perché il trattamento dei rifiuti nella sua forma più evoluta è sul mercato da più di 15 anni. La tecnologia per la trasformazione del rifiuto da biogas prima a biometano dopo è assolutamente consolidata. Noi abbiamo più di 2 miliardi di metri cubi di gas prodotto dal trattamento dei rifiuti che potrebbero diventare un miliardo e mezzo di metri cubi in più se facessimo l’upgrade degli impianti”, racconta. Con una pianificazione progettuale abbastanza secca: “Abbiamo un potenziale, non domani ma in qualche ora, di 2 miliardi di metri cubi di biometano. Se noi lo proiettiamo di qui a qualche anno, possono diventare 8-10 miliardi che rappresentano il traguardo del RepowerEu. Insomma, la tecnologia è provata, il potenziale c’è, l’ unico problema è l’aspetto delle autorizzazioni per sviluppare centinaia di impianti di biometano”.

L’idrogeno ha una prospettiva più in là nel tempo. E Gallo fissa delle scadenze. “Ci vanno ancora cinque, sette, dieci anni”. Il motivo? “La tecnologia di produzione dell’idrogeno verde esiste ma non è ottimizzata. E poi il costo dell’energia. L’idrogeno diventerà competitivo quando ci saranno talmente tante fonti da energia rinnovabile che avremo per tante ore dell’anno un surplus di produzione. Surplus che verrà utilizzato per produrre idrogeno”. In Sardegna, Italgas ci sta lavorando: “Stiamo facendo quell’attività di ricerca e sviluppo orientata sulle varietà di utilizzo dell’idrogeno. Un progetto pilota per dimostrare che l’idrogeno ha molteplicità e flessibilità di usi. Testeremo la parte di elettrolisi, lo stoccaggio e poi lo utilizzeremo per la mobilità – perché abbiamo un accordo con la locale società di trasporto pubblico -, per un’industria casearia che vuole rendere verde la propria produzione, infine miscelato nel gas naturale nelle nostre reti”. La strada è questa, ormai tracciatissima, dalla quale non si tornerà indietro. Anche perché, spiega Gallo, “nella visione della Comunità europea il 50% del gas che arrivava dalla Russia dovrà essere rimpiazzato di qui al 2030 da biometano e idrogeno in egual misura. Il 50% sono 75, quasi 80, miliardi di metri cubi di gas. Vuol dire che il ruolo di biometano e idrogeno diventa fondamentale. In più, accelera la transizione energetica perché metà di quel gas viene sostituito da gas che sono rinnovabili a zero contenuto di Co2”.

La guerra russo-ucraina ha inciso su Italgas (“Noi non abbiamo registrato extraprofitti perché non vendiamo gas, anzi sono aumentati i costi”) ma Gallo vuole vedere il bicchiere mezzo pieno: “Questa crisi sta accelerando i processi di efficienza energetica e di transizione energetica, che sarebbero comunque andati avanti ma che di fronte a una situazione economica difficile hanno subito una accelerazione”. Con l’obiettivo dichiarato da Italgas di tagliare del 34% le emissioni di gas serra entro il 2028: “Ma noi faremo meglio”, garantisce l’ad. Intanto l’azienda si sta espandendo all’estero, in particolare in Grecia: “Abbiamo acquisito quattro società”, evidenzia Gallo, con “un investimento di circa 1 miliardo di euro”. Aspettando qualche segnale di fumo da Bruxelles sul price cap, gli italiani stanno imparando a risparmiare. E Gallo confessa di aver colto questa inversione di rotta: “Credo che ci sia sensibilità sull’utilizzo del gas, soprattutto in questo periodo, dovuto al fatto che dovremmo riuscire a superare l’inverno grazie alle scorte e a un atteggiamento più consapevole e più giudizioso nei confronti non solo del gas ma anche energia elettrica. Lo vedo nei nostri comportamenti in azienda e nelle persone. Si tratta di un elemento positivo: tutto ciò che io riesco a risparmiare mi rimarrà per sempre, cioè non torna più indietro”, sintetizza l’ad di Italgas.

petrolio russia

Svincolarsi dal gas russo? Per Oxford Institute il RePowerEU è (quasi) un libro dei sogni

Svincolarsi dal gas russo? Secondo l’Oxford Institute for Energy Studies il piano europeo RePowerEU in alcuni passaggi è un ‘libro dei sogni’, soprattutto nella parte inerente le misure da ottenere entro la fine dell’anno. Secondo gli economisti infatti c’è troppo poco tempo per raggiungere obiettivi così ambiziosi.

LA COMPARAZIONE DELL’OSSERVATORIO CPI

Un mese fa, a 10 giorni dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Commissione europea ha presentato un piano (RePowerEU) per ridurre drasticamente la dipendenza dell’Ue dal gas russo. Altre istituzioni (come l’international Energy Agency e l’Oxford Institute for Energy Studies) hanno poi offerto stime che, secondo l’Osservatorio CPI, appaiono più realistiche e che comportano nuovi investimenti in combustibili fossili, almeno nel breve periodo, per compensare le previste riduzioni di gas russo. L’8 marzo la Commissione europea ha pubblicato un piano, chiamato RePowerEU, per rendere l’Unione indipendente dai combustibili fossili russi (gas, petrolio e carbone) entro il 2030 e per ridurre già entro la fine di quest’anno le importazioni di gas russo di due terzi (da 155 a 50 miliardi di metri cubi). In più la Commissione intende chiedere agli Stati membri di rifornire gli stoccaggi di gas per almeno il 90% entro il 1° ottobre di ogni anno (al momento i serbatoi europei sono pieni al 26%).

L’Osservatorio dell’economista Carlo Cottarelli ha messo a confronto il piano europeo con le stime dell’Oxford Institute for Energy Studies e dell’Iea facendo emergere come quelle di Bruxelles siano molto ottimistiche (infatti a maggio dovrebbero essere riviste). Il decalogo di misure presentate dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) per ridurre la dipendenza delle importazioni di gas dalla Russia sono infatti più realistiche di quelle della Commissione europea. L’Iea prevede infatti la possibilità di tagliare entro quest’anno poco più di un terzo delle forniture di gas russo, incrementando le forniture da altri Paesi di 32,5 miliardi di m3 (contro le 63,5 del REPowerEU) e riducendo la domanda di 33 miliardi di m3 (rispetto ai 38 del RePowerEU). Anche l’Oxford Institute for Energy Studies (Oies) non concorda con il piano REPowerEU (Tab.1). Infatti, secondo l’Oies per soddisfare entrambi gli obiettivi della Commissione europea per il 2022 (livello di stoccaggio al 90% entro il 1° ottobre e sostituzione dell’import di gas russo), non basterà sostituire 101,5 miliardi di m3 di gas bensì 120,5-126,5. Questo perché secondo l’Oies l’Ue si ritroverà alla fine di questo inverno con circa 20-25 miliardi di m3 in meno rispetto allo scorso anno. Questi 20-25 miliardi di m3 si aggiungerebbero al fabbisogno sostitutivo di gas nel 2022 (101,5 miliardi di m3).
Consapevoli dell’importanza che i gasdotti russi hanno rivestito nel 2021 (circa il 43,2%o del gas allo stato gassoso importato dall’Ue proveniva dalla Russia nel 2021) – spiegano Giampaolo Galli e Michela Garlaschi nello studio per l’Osservatorio CPI -, sia la Commissione che l’Iea appaiono concordi circa l’incremento di 10 miliardi di metri cubi di gas allo stato gassoso da Paesi come Azerbaigian, Nord Africa (Algeria e Libia) e Norvegia. L’Oies ritiene possibile importare 4-5 miliardi di metri cubi aggiuntivi dalla Norvegia, 3 dall’Azerbaijan tramite l’Italia, 2-3 dall’Algeria, a patto che la produzione in ciascuno di questi Paesi venga aumentata”.

energia in eu

RISCHIO DI NON CENTRARE GLI OBIETTIVI DEL GREEN DEAL

Ma l’aspetto che più allontana il report dell’Iea e dell’Oies da quello della Commissione riguarda l’uso sostitutivo nel breve periodo di soluzioni ambientalmente poco sostenibili: per l’Iea, l’uso di combustibili insieme al decalogo, consentirebbero una riduzione totale annua delle importazioni di gas dell’Ue dalla Russia di circa 90 miliardi di m3. Secondo l’Agenzia, tale sostituzione avverrebbe: tramite l’incremento della produzione interna di gas naturale, ossia esplorando nuovi siti con trivellazioni; attraverso la riattivazione/potenziamento delle centrali elettriche a carbone; attraverso l’uso del petrolio nelle centrali elettriche a gas già esistenti. L’utilizzo di fonti fossili come sostituti al gas russo genererebbe un aumento del volume di gas in tempi molto rapidi, ma farebbe alzare il livello di emissioni di gas serra, violando così l’agenda del Green deal europeo. Per questi motivi, l’Agenzia non considera tale soluzione nella proposta principale del decalogo. L’Oies invece ritiene che la generazione di 20 miliardi di m3 di elettricità da fonti rinnovabile è possibile solo se l’Ue deciderà di sfruttare le centrali a carbone, il cui utilizzo sarebbe incentivato non solo da prezzi meno elevati del carbone a vapore rispetto al gas, ma anche per via della maggiore diversificazione all’import che questa materia prima prospetta avere nel 2022 (Australia, Sud Africa e Usa).

LE CONCLUSIONI DELL’OSSERVATORIO CPI

Secondo l’Osservatorio CPI dunque, “mentre la fornitura di gas allo stato gassoso 10 miliardi di m3 in più sembra fattibile, l’aumento di 50 miliardi di m3 di gas liquefatto proposto dal REPowerEU appare sovrastimato in quanto realizzabile solo se ci fosse una forte crescita a livello internazionale di Gnl e il mondo intero riducesse effettivamente il suo consumo”.
La previsione di un incremento della produzione di gas dal biometano di 3,5 miliardi di m3 risulta ottimista così come lo spostamento di 20 miliardi di m3 dal gas all’energia eolica e solare. Analogamente, appare complicato raggiungere entro il 2022 gli obbiettivi di sostituire le pompe di riscaldamento da gas in calore (1,5 miliardi di m3), introdurre impianti fotovoltaici (2,5 miliardi di m3) e abbassare il termostato (14 miliardi di m3) a meno di prezzi del gas in bolletta molto elevati e inverno mite”, concludono gli esperti dell’Osservatorio.

gas russia

Energia europea: quanto l’Ue dipende dalla Russia?

Nel 2020 l’Ue ha importato il 58% dell’energia consumata, perché la propria produzione ha soddisfatto appena il 42% del proprio fabbisogno. Lo riferisce l’Eurostat in uno studio diffuso oggi. Il mix energetico dell’Ue nel 2020 era composto per il 35% da petrolio e prodotti petroliferi, per il 24% da gas naturale, per il 17% da fonti rinnovabili, per il 13% da energia nucleare e per l’11% da combustibili fossili solidi. La Russia è il principale fornitore dell’Ue di gas naturale, petrolio e carbone, che sono i principali prodotti energetici del mix dell’Ue. Nel 2020 le importazioni da questa origine hanno soddisfatto il 24% del fabbisogno energetico dell’Ue.

Energia

Il gas naturale, uno dei principali combustibili per la produzione di elettricità e il riscaldamento nell’Ue, prosegue l’analisi dell’Eurostat, è stato il combustibile con la maggiore esposizione alle importazioni dalla Russia. Nel 2020, l’Europa infatti ha ricevuto il 46% delle sue importazioni di gas naturale da questo fornitore, soddisfacendo il 41% dell’energia disponibile lorda derivata dal gas naturale. Il petrolio greggio, un bene essenziale per la produzione di carburanti per autotrazione e per l’industria petrolchimica, è stata la seconda famiglia di combustibili con la seconda maggiore esposizione alle importazioni dalla Russia. Nel 2020, l’Ue si è affidata a questo fornitore per il 26% delle sue importazioni di petrolio greggio, che ha soddisfatto il 37% del fabbisogno energetico dell’Ue. Infine, i combustibili fossili solidi (come il carbone) hanno avuto la più bassa dipendenza dalle importazioni dalla Russia, che ha fornito il 19% dell’uso dell’Ue di questo tipo di combustibile. Nel 2020, l’Ue ha importato il 53% di carbon fossile da questo Paese, che rappresentava il 30% del consumo di carbon fossile dell’Ue.