Deforestazione illegale in Brasile: Zara e H&M nel mirino di Ong britannica

La fast fashion finisce di nuovo nel mirino degli ambientalisti. In un rapporto, l’Ong britannica Earthside accusa H&M e Zara di essere “legate” alla deforestazione illegale su larga scala in Brasile, all’accaparramento di terre, alla corruzione e alla violenza nelle piantagioni di cotone di proprietà dei loro subappaltatori. Utilizzando immagini satellitari, sentenze di tribunali, registri di spedizione dei prodotti e indagini sotto copertura, Earthside ha compilato e analizzato i dati pubblicati giovedì in un rapporto intitolato ‘Fashion Crimes: European fashion giants linked to dirty cotton in Brazil’.

L’Ong afferma di aver rintracciato 816.000 tonnellate di cotone provenienti da due delle maggiori aziende agroindustriali brasiliane – SLC Agrícola e il Gruppo Horita – nello stato occidentale di Bahia. Le famiglie brasiliane proprietarie di queste aziende agricole hanno “un pesante curriculum di procedimenti legali, condanne per corruzione e multe per milioni di dollari per deforestazione illegale“, afferma l’organizzazione. Operano in parte della regione del Cerrado, una savana rinomata per la sua ricca flora e fauna. Queste tonnellate di cotone sono poi finite in otto fabbriche tessili in Asia, dove si riforniscono i due giganti della fast fashion, la spagnola Zara e la svedese H&M. Secondo Earthside, tutto questo cotone è stato certificato come “sostenibile” dall’organizzazione no-profit Better Cotton (BC).

Per garantire che il cotone sia di provenienza etica, le due aziende si affidano a materie prime fornite da agricoltori certificati da Better Cotton, il sistema di certificazione più noto al mondo per il cotone sostenibile“, che però presenta “profonde lacune“, lamenta Earthside. L’etichetta Better Cotton ha dichiarato a Earthside di aver “commissionato a un revisore indipendente lo svolgimento di visite di verifica più approfondite” in seguito al rapporto dell’Ong.

Prendiamo molto sul serio le accuse rivolte a Better Cotton, che nei suoi capitolati proibisce rigorosamente pratiche come l’usurpazione della terra e la deforestazione“, ha dichiarato Inditex (società madre di Zara) all’Afp. Inditex chiede i risultati dell’indagine indipendente “il prima possibile“. “H&M non ha negato i legami commerciali tra i suoi fornitori in Asia” e i gruppi Horita e SLC, ma piuttosto “ha sottolineato il suo impegno di lunga data per l’approvvigionamento responsabile delle materie prime“, ha riferito Earthside. A metà marzo, gli Stati membri del Consiglio europeo hanno approvato una legislazione che crea un “dovere di diligenza” che impone alle aziende dell’Ue di proteggere l’ambiente e i diritti umani nelle loro catene di produzione globali.

H&M ci riprova: Giù emissioni, più riciclo e nuova Water strategy

H&M ci riprova. Dopo essere stato citato in giudizio per greenwashing, marketing ingannevole e dati falsi e fuorvianti e aver incassato una denuncia della Consumer Authority norvegese per possibili violazioni alla normativa sulla pubblicità ingannevole per la collezione ‘H&M conscious‘, il colosso del fast fashion svedese promette un cambio di rotta.

I marchi che hanno come obiettivo principale la sostenibilità “saranno meglio preparati a soddisfare il crescente interesse dei consumatori e le richieste dei legislatori“, spiega Leyla Ertur, responsabile della Sostenibilità del gruppo, nell’ultimo rapporto annuale. Contribuire a un futuro migliore, “per le persone e il pianeta“, questo è l’obiettivo del gigante della moda. “Siamo aperti al dialogo e alla collaborazione per affrontare le numerose sfide comuni del nostro settore e del nostro mondo“, assicura.

Quest’anno, l’utilizzo di materiali riciclati ha subito un’accelerazione, raggiungendo il 23% (dal 18%) e contribuendo a un totale dell’84% di materiali riciclati o provenienti da fonti più sostenibili nelle collezioni del marchio.

C’è stata una riduzione delle emissioni assolute del 7% in riferimento allo Scope 3 (le emissioni indirette prodotte nella catena del valore) e dell’8% delle emissioni degli Scope 1 e 2 (le emissioni dirette generate dall’azienda e quelle indirette generate dall’energia acquistata e consumata dalla società), rispetto al valore di riferimento del 2019. L’obiettivo a lungo raggio è ridurre le emissioni assolute degli Scope 1, 2 e 3 del 56% entro il 2030.

Bene anche sul lato imballaggi in plastica: -44% rispetto al valore di riferimento del 2018. Non solo: il gruppo ha lanciato una nuova Water Strategy per il 2030 e ha ridotto il consumo
relativo di acqua per prodotto del 38% rispetto al valore di riferimento del 2017, grazie a miglioramenti dell’efficienza e a un maggiore riciclo delle acque reflue.

Quanto alla sostenibilità sociale, nell’ultimo anno la rappresentanza sindacale nelle fabbriche dei fornitori di livello 1 è passata dal 37% al 42% e il 34% ha stipulato contratti collettivi di lavoro (rispetto al 27% del 2021). Il 63% dei rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche dei fornitori di Tier 1 è composto da donne e la percentuale di donne che ricoprono posizioni di supervisione è del 27%.

“E’ stato un anno turbolento, segnato dalla guerra in Ucraina”, osserva la Ceo, Helena Helmersson. “In tempi esterni difficili, la sostenibilità rimane parte integrante della nostra attività”, assicura.

E, in effetti, l’obiettivo 2030 combina gli obiettivi di crescita aziendale e di profitto con la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.” Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi climatici di dimezzare le emissioni di gas serra del Gruppo entro il 2030 e di arrivare a zero entro il 2040, investiamo in progetti per ridurre le emissioni di gas serra lungo tutta la nostra catena del valore”, ribadisce Helmersson. Nel corso dell’anno, gli obiettivi climatici del gruppo sono stati verificati dall’iniziativa Science Based Targets ed è stata istituita la Green Fashion Initiative per sostenere i fornitori nella sostituzione dei combustibili fossili.

Gli investimenti nella sostenibilità offrono al Gruppo opportunità di business a lungo termine. Costruendo partnership strategiche con i principali stakeholder e crescendo in vari modi innovativi, H&M sostiene di riuscire a far crescere l’attività in modo da disaccoppiare la crescita finanziaria e la redditività dall’uso di risorse naturali limitate. Un buon esempio è Sellpy, società di maggioranza del gruppo, che è già uno dei maggiori operatori nel settore della Moda di seconda mano in Europa.

“Continueremo a investire in nuovi modelli di business, materiali e tecnologie che hanno il potenziale per cambiare radicalmente il modo in cui realizziamo i nostri prodotti e in cui i nostri clienti possono vivere la Moda”, garantisce Helmersson. “Nonostante il mondo turbolento che ci circonda – rivendica la Ceo -, il Gruppo H&M è forte di un’ampia base di clienti, di una solida posizione finanziaria, di un sano flusso di cassa e di un inventario ben bilanciato. Tutto questo grazie all’impegno dei colleghi di tutto il mondo, che continuano a costruire la nostra azienda, a rimanere fedeli ai nostri valori e a garantire che realizziamo sempre l’idea commerciale che il nostro fondatore ha gettato le basi 75 anni fa: offrire ai nostri clienti un valore imbattibile con la migliore combinazione di Moda, qualità, prezzo e sostenibilità”.

La sostenibilità di H&M non convince: tonfo nel quarto trimestre 2022

Non sono bastate le azioni e la campagne per ridurre l’impatto ambientale e attirare, così, una generazione di giovani attenti all’ambiente e al clima. H&M, colosso svedese della fast fashion e secondo al mondo dopo Zara, ha chiuso in rosso il quarto trimestre del 2022, alla fine di un anno complicato, appesantito dalla decisione di chiudere tutti i punti in vendita in Russia e da una combinazione di altri fattori sfavorevoli. Tra questi, l’aumento del prezzo delle materie prime e del dollaro alto che, insieme all’impennata dei prezzi dell’energia, si sono tradotti in costi di acquisto più elevati. Dopo l’annuncio dei conti in discesa, le azioni del gruppo hanno registrato un calo quasi del 7% alla Borsa di Stoccolma.

La nostra decisione di cessare l’attività in Russia, che era un mercato importante e redditizio, ha avuto un effetto negativo significativo sui nostri risultati”, ha sottolineato l’amministratrice delegata Helena Helmersson. “Piuttosto che scaricare l’intero costo aggiuntivo sui nostri clienti, abbiamo scelto di rafforzare ulteriormente la nostra posizione” nel tentativo di guadagnare quote di mercato. Insomma, i prezzi al pubblico di abbigliamento e accessori non sono aumentati, ma sono cresciuti i costi di produzione e dell’intera filiera.

L’ultimo trimestre del 2022 è stato caratterizzato da una perdita netta di 864 milioni di corone (77 milioni di euro). Un dato inaspettato per gli analisti, che scommettevano su profitti nettamente positivi superiori a 2 miliardi, secondo le stime di Bloomberg e Factset. Nell’intero anno finanziario, il fatturato del gruppo è aumentato del 12%, a 223,5 miliardi di corone, ma solo del 6% escludendo gli effetti valutari. Allo stesso tempo, l’utile netto annuo è sceso del 68% a poco meno di 3,6 miliardi di corone.

H&M, che vede buone prospettive per il 2023, spiega che l’accumulo di fattori sfavorevoli ha avuto un effetto negativo di 5 miliardi in totale sui suoi profitti. Dalla chiusura dell’esercizio, a fine novembre, “le vendite sono partite bene. I fattori esterni sono ancora difficili ma stanno andando nella direzione giusta“, secondo lad. Il numero dei negozi del gruppo si è ridotto a 4.465 a fine novembre, ovvero 336 in meno rispetto al 2021, con quasi la metà dell’impatto legato a il ritiro da Russia e Bielorussia (175 negozi chiusi).

Da anni H&M lotta per dare vita a un nuovo modello, più attento alla sostenibilità e all’ambiente, ma i profitti sono diminuiti costantemente negli ultimi 10 anni, a parte un rimbalzo nel 2021 al termine delle restrizioni legate alla pandemia. Ieri il gruppo ha annunciato di aver firmato un nuovo accordo con i sindacati con l’obiettivo di proteggere ulteriormente la salute e la sicurezza dei lavoratori dell’abbigliamento in Pakistan, dove viene prodotta buona parte dei prodotti venduti in Occidente.