Allarme Ingv: Venezia a rischio inondazioni estreme entro 2150

Venezia e la sua laguna potrebbero essere esposte a inondazioni estreme entro il 2150 a causa dell’aumento del livello del mare e dell’abbassamento del terreno: un fenomeno noto come ‘subsidenza‘. L’allarme arriva dallo studio multidisciplinare Multi-Temporal Relative Sea Level Rise Scenarios up to 2150 for the Venice Lagoon condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia in collaborazione con enti italiani e stranieri, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica ‘Remote Sensing’.

Il documento analizza le proiezioni climatiche più aggiornate dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e i dati geodetici disponibili per stimare l’estensione delle superfici esposte all’allagamento nei prossimi decenni, a causa dell’aumento del livello marino. I risultati ipotizzano scenari critici per l’intera laguna e il MoSE, attualmente progettato per proteggere Venezia dalle acque alte fino a un’altezza di 3 metri di differenza tra il mare aperto e la laguna e un livello medio del mare di 60 cm nel 2100, potrebbe essere superato dal mare verso la fine di questo secolo. “L’indagine è stata condotta con lo scopo di fornire informazioni sulla prossima evoluzione dell’innalzamento del livello del mare nella Laguna di Venezia per comprendere come questo possa influenzare una delle città più iconiche al mondo”, spiega Marco Anzidei, primo autore della ricerca dell’INGV. Lo studio combina dati geodetici, topografici e proiezioni climatiche per valutare l’impatto delle variazioni del livello del mare sulle coste e sulle isole della laguna nei prossimi decenni.

“Per stimare gli effetti dell’aumento del livello del mare nella Laguna di Venezia entro il 2150, lo studio ha adottato un approccio multidisciplinare basato su differenti tipologie di dati, tra i quali quelli geodetici provenienti dalle reti di stazioni Global Navigation Satellite System, note come GNSS, i dati satellitari Synthetic Aperture Radar – SAR (che insieme alle stazioni GNSS consente di misurare i movimenti del suolo con precisione millimetrica), le serie temporali del livello del mare raccolte dalla rete di mareografi dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e dal Centro Previsioni e Segnalazioni Maree del Comune di Venezia e i dati topografici ad alta risoluzione messi a disposizione dal CO.RI.LA e dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE)”, osservano Anzidei e Cristiano Tolomei, ricercatori dell’INGV. Le analisi condotte hanno permesso di proiettare i livelli del mare attesi per la Laguna di Venezia fino al 2150, fornendo anche mappe dettagliate dei possibili scenari di inondazione per il 2050, il 2100 e il 2150, in assenza di sistemi di protezione della laguna da livelli del mare più alti di oggi. “I risultati indicano che nel peggiore dei casi il livello del mare del 2150 potrebbe aumentare fino a 3,47 metri sopra il riferimento della stazione mareografica di Punta della Salute, situata nel Canale della Giudecca, in caso di eventi estremi di alta marea, simili a quelli avvenuti nel 1966 e più recentemente nel 2019. Il territorio potenzialmente sommerso entro il 2150, inoltre, raggiungerebbe i 139 km², con un’estensione che potrebbe arrivare a 226 km² (pari al 64% dell’area investigata) in caso di queste acque alte eccezionali. I dati evidenziano che senza ulteriori interventi specifici Venezia sarà maggiormente esposta a fenomeni di inondazione, con un impatto significativo sulla popolazione e sul patrimonio storico”, aggiungono Tommaso Alberti e Daniele Trippanera, ricercatori dell’INGV. Lo studio, che è stato finanziato dal Ministero dell’Università e Ricerca nell’ambito del progetto PRIN – GAIA, e che prosegue gli altri studi già pubblicati su Venezia nell’ambito del progetto europeo SAVEMEDCOASTS2 (www.savemedcoasts2.eu), evidenzia anche come l’aumento del livello del mare nella Laguna avvenga da tempi storici e che la sua vulnerabilità sia oggi amplificata dagli effetti del cambiamento climatico e dalla continua subsidenza del suolo, che raggiunge valori fino a 7 mm all’anno.

Le aree più basse della laguna risulterebbero quindi maggiormente esposte al rischio di allagamento, con implicazioni critiche per le infrastrutture costiere e le attività economiche. “Gli scenari delineati suggeriscono che è necessario intraprendere prima possibile degli aggiornamenti alla pianificazione territoriale e ai piani di rischio da parte dei decisori politici e degli enti locali, con azioni concrete per proteggere Venezia e la sua laguna. Solo attraverso una gestione responsabile e consapevole – conclude Anzidei –, sarà possibile preservare la città, la sua popolazione e un patrimonio culturale unico al mondo dalle conseguenze dell’innalzamento del livello del mare atteso nei prossimi decenni”.

terremoto

Ingv: “Nel 2024 quasi 17mila eventi sismici in Italia, in media 46 al giorno”

Sono 16.826 i terremoti localizzati nel 2024 dalla Rete Sismica Nazionale (RSN) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv): in media poco più di 46 eventi sismici al giorno (due in più rispetto al 2023), circa due terremoti all’ora. Una tendenza in linea con i dati degli anni precedenti: dal 2019, infatti, il numero totale dei terremoti localizzati nel nostro Paese si mantiene stabile tra i 16.000 e i 17.000 eventi sismici annui, in calo rispetto al triennio 2016-2018 quando l’Italia centrale venne interessata dalla sequenza sismica iniziata con il forte terremoto di Accumoli (RI) del 24 agosto 2016. I numeri del 2024 sono stati rilasciati in queste ore dai sismologi dell’INGV che, come ogni anno, hanno analizzato H24 i terremoti registrati in Italia e nelle aree limitrofe dalle Sale di Sorveglianza dell’Istituto a Roma, Napoli e Catania.

L’evento sismico più forte del 2024 è stato registrato a Pietrapaola (CS), in Calabria, con magnitudo Mw 5.0, seguito da una delle due sequenze sismiche che hanno interessato l’area ionica della regione tra maggio e settembre. Sebbene la maggior parte dei terremoti del 2024 sia stata di piccola intensità, 2.082 eventi sismici hanno avuto magnitudo pari o superiore a 2.0, quindi sono stati potenzialmente avvertiti dalla popolazione; tra questi, 26 terremoti hanno fatto registrare una magnitudo compresa tra 4.0 e 4.9 e soltanto uno (quello di Pietrapaola) ha raggiunto magnitudo 5.0, sul territorio nazionale. Il nostro territorio è stato interessato, anche nel 2024, da numerose sequenze sismiche, anche se generalmente di breve durata e con valori di magnitudo non elevati: le principali hanno interessato l’Italia centrale, la Calabria ionica, la provincia di Parma, il Mar Tirreno meridionale e l’area dei Campi Flegrei.

Il servizio di sorveglianza sismica che l’INGV svolge assicura la comunicazione dei parametri degli eventi sismici in tempi brevi alla Protezione Civile e al pubblico”, commenta Lucia Margheriti, Direttrice dell’Osservatorio Nazionale Terremoti (ONT) dell’INGV. “Siamo orgogliosi di svolgere questo compito e di fornire alla comunità scientifica i dati di base per migliorare la comprensione del processo sismogenetico. Puntiamo a migliorare sempre di più i servizi, i prodotti e la nostra comunicazione”.

Mega-tsunami di 200 metri ha fatto tremare per 9 giorni sismometri di tutto il mondo

Crediti foto: Søren Rysgaard, Danish Army

Una enorme frana causata dal crollo della cima di una montagna nel remoto fiordo di Dickson, nella Groenlandia nord-orientale, ha a sua volta generato un mega-tsunami alto 200 metri che ha continuato a oscillare nel fiordo per 9 giorni, facendo registrare in tutto il mondo un segnale sismico mai osservato in precedenza. È quanto emerge dallo studio ‘A rockslide-generated tsunami in a Greenland fjord rang the Earth for 9 days’ appena pubblicato sulla rivista scientifica ‘Science’, cui hanno collaborato 68 scienziati provenienti da 40 Istituzioni di 15 Paesi.

Quando abbiamo iniziato questa avventura scientifica eravamo tutti piuttosto perplessi e nessuno di noi aveva la più pallida idea di cosa avesse causato quel segnale sismico così particolare: sapevamo solo che era in qualche modo associato alla frana”, racconta Kristian Svennevig, del Geological Survey of Denmark and Greenland (Geus), primo autore dell’articolo. “Si è trattato della prima frana e del primo tsunami dovuti allo scioglimento dei ghiacci osservati nella Groenlandia orientale, a dimostrazione del fatto che i cambiamenti climatici hanno già un forte impatto anche in quella zona”.

Per l’Italia, hanno preso parte alla ricerca l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), l’Università di Catania e l’Università degli Studi di Padova. “La nostra ricerca è iniziata nel settembre del 2023, quando un misterioso segnale sismico della durata di 9 giorni è stato scoperto nelle registrazioni provenienti da stazioni sismiche installate in tutto il mondo, dall’Artide all’Antartide”, spiega Flavio Cannavò, ricercatore dell’Ingv e co-autore dello studio. “Abbiamo subito notato, però, che il segnale appariva completamente diverso dai segnali sismici che vengono registrati in caso di terremoto: conteneva, infatti, una singola frequenza di vibrazione, simile a un ronzio dal suono monotono”.

La contemporanea notizia di un enorme tsunami verificatosi nel fiordo di Dickson ha spinto ricercatori di numerosi Enti di Ricerca e Università in tutto il mondo a unire le forze per cercare di capire se i due eventi fossero in qualche modo collegati. Il team multidisciplinare ha quindi analizzato dati sismici e infrasonici, misurazioni sul campo, dati della rete locale di sensori oceanografici, immagini dal vivo e da satellite e simulazioni numeriche di onde di tsunami, riuscendo a ricostruire la straordinaria sequenza di avvenimenti a cascata innescata nel settembre dello scorso anno.

È straordinario come, al giorno d’oggi, sia possibile riunire facilmente un team internazionale con capacità eterogenee per risolvere problemi complessi e riuscire a spiegare fenomeni mai documentati in tempi brevi”, spiega Andrea Cannata, ricercatore dell’Università di Catania e co-autore dello studio. “In particolare, è stato scoperto che la frana che ha dato inizio a tutto è stata causata dal crollo all’interno del fiordo di oltre 25 milioni di metri cubi di roccia e ghiaccio, una quantità sufficiente a riempire 10.000 piscine olimpioniche. Il crollo, a sua volta, è stato causato dall’assottigliamento, avvenuto nel corso dei decenni, del ghiaccio alla base della montagna che sovrastava il fiordo, evidente espressione degli effetti dei cambiamenti climatici”.

Le analisi dei dati multidisciplinari hanno confermato che il mega-tsunami derivato dalla frana è stato uno dei più alti mai registrati nella storia recente, raggiungendo i 200 metri di onda all’interno del fiordo. A circa 70 chilometri di distanza le onde di tsunami hanno raggiunto i 4 metri di altezza, danneggiando una base di ricerca sull’isola di Ella Ø”, aggiunge Piero Poli, ricercatore dell’Università degli Studi di Padova e co-autore dello studio. “Il movimento di una tale massa di acqua è stato in grado di generare vibrazioni attraverso la Terra, con le onde sismiche che, irradiandosi dall’Artide all’Antartide, hanno generato un anomalo segnale sismico globale. Questo evento sottolinea l’importanza di creare speciali sistemi di monitoraggio dei dati sismologici a scala globale, che permettano la rapida identificazione e caratterizzazione di nuovi e sempre più frequenti segnali associati a processi superficiali, come frane e rapidi movimenti di ghiaccio o fluidi, associati al cambiamento climatico”.

Le simulazioni effettuate dal team di ricercatori hanno mostrato che, all’interno del fiordo, l’acqua si è mossa oscillando avanti e indietro ogni 90 secondi, esattamente lo stesso periodo di oscillazione fatto registrare dalle onde sismiche. Tale corrispondenza indica come la forza della massa d’acqua in movimento sia stata in grado di generare energia sismica propagatasi nella crosta terrestre. Prima di perdere forza, il movimento oscillatorio è durato 9 giorni. Mai prima d’ora era stata registrata un’onda sismica di così lunga durata, che viaggiasse a livello globale e che contenesse una sola frequenza di vibrazione.

È sorprendente che quello che era iniziato come un controllo di routine di un sensore gravitazionale belga si sia trasformato in una collaborazione globale e multidisciplinare, con scambi virtuali online 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che hanno coperto molti fusi orari. In totale, sono stati scambiati più di 8.000 messaggi. Riassumendo la loro lunghezza, si tratta di oltre 1 milione di caratteri digitati: quanto un romanzo poliziesco di 900 pagine”, chiosa Thomas Lecocq, del Royal Observatory of Belgium (ROB) e co-autore della ricerca.

Come è noto, lo scioglimento dei ghiacci polari, che abbiamo individuato come causa ‘latente’ dell’incredibile sequenza di eventi registrati nel fiordo di Dickson lo scorso anno, è dovuto al cambiamento climatico. La rapida accelerazione di questo fenomeno negli ultimi anni ci impone una sempre maggiore attenzione verso la caratterizzazione e il monitoraggio anche di quelle regioni considerate ‘stabili’ fino a qualche anno fa, nonché verso lo sviluppo di sistemi in grado di fornire un’allerta precoce in caso di frane e tsunami”, conclude Flavio Cannavò.

Tremano ancora i Campi Flegrei e cresce la paura. L’esperto: “Serve prevenzione”

Photo credit: INGV

Non si ferma lo sciame sismico dei Campi Flegrei. Alle 20.10 di lunedì 20 maggio, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha registrato una scossa di magnitudo 4.4 con epicentro all’interno della Solfatara ad una profondità di 2.6 km, preceduta e seguita complessivamente da oltre 150 scosse. Dopo quello dello scorso ottobre si tratta del sisma più forte mai registrato nella zona negli ultimi 40 anni. Al momento, assicura l’Ingv, non si registra un aumento della velocità di sollevamento che è di 2 centimetri al mese nemmeno variazioni di andamento nelle deformazioni orizzontali o deformazioni locali del suolo diverse rispetto all’andamento precedente.

Lo sciame ha scatenato il panico tra la popolazione: centinaia di persone sono scese in strada e molte hanno trascorso la notte in auto. Sono alcune decine gli interventi svolti dai vigili del fuoco per le verifiche di stabilità sugli edifici, rimozione e messa in sicurezza di cornicioni pericolanti, la maggior parte di queste tra i comuni di Bacoli e Pozzuoli. Inviati a Napoli, in rinforzo dai comandi della Campania, team di tecnici esperti nella valutazione di dissesti statici.

La protezione civile ha attivato l’unità di crisi in collegamento con i comuni di Napoli, Pozzuoli e Bacoli, la prefettura di Napoli, la Regione Campania, il Centro operativo nazionale e il comando regionale dei vigili del fuoco. Nella notte sono state allestite cinque aree di attesa a Pozzuoli e un’area di accoglienza al Palatrincone di Monterusciello, dove hanno dormito 80 persone. I sopralluoghi hanno portato allo sgombero di 18 edifici e all’evacuazione di 39 famiglie. E’ stato evacuato per precauzione anche il carcere femminile di Pozzuoli e sono state chiuse le scuole.

Come conferma il sindaco, Gaetano Manfredi, a Napoli non si sono registrati danni alle infrastrutture e “bisogna evitare che la normale paura e la preoccupazione reale si trasformino in panico. Per farlo dobbiamo informare i cittadini, fare una comunicazione corretta e non allarmistica e fare in modo che si riesca a rafforzare la convivenza con il bradisismo”. Un aspetto, questo, condiviso anche dal primo cittadino di Pozzuoli, Luigi Manzoni, secondo il quale è necessario “prevenire e mitigare i rischi”.

Per Antonello Fiore, presidente di Sigea (Società italiana geologia ambientale), è proprio sulla prevenzione che bisogna puntare. “Purtroppo – dice – per quanto riguarda i terremoti sappiamo dove si verificheranno, ma non sappiamo quando e con quale energia. Non è scientificamente prevedibile. Per questo è necessario fare in modo che le infrastrutture siano tutte adeguate, perché quando arriverà il sisma gli edifici devono essere in grado di resistere. Ci vogliono interventi strutturali che necessitano di una programmazione lunga”.

Scoperto il legame tra gli eventi climatici estremi e l’acqua alta a Venezia

Esiste un legame tra i cambiamenti climatici in atto e l’aumento del numero e della gravità dei fenomeni di acqua alta a Venezia. E il Mose? E’ efficace, sia in termini di costi sia di benefici. A rivelarlo è uno studio pubblicato sulla rivista ‘Nature Climate Atmospheric Science’, realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi (CNRS) e l’International Centre for Theoretical Physics di Trieste (ICTP). La ricerca ha analizzato quattro eventi eccezionali di acqua alta che hanno interessato la città lagunare nel 1966, 2008, 2018 e 2019, danneggiando gravemente il patrimonio culturale ed economico di Venezia e minacciando luoghi iconici come la Basilica di San Marco.

“I risultati che abbiamo ottenuto hanno evidenziato chiaramente il legame esistente tra le modifiche nella circolazione atmosferica e l’aumento della gravità degli eventi di acqua alta, sottolineando la crescente vulnerabilità di Venezia ai cambiamenti climatici”, spiega Tommaso Alberti, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio. “In particolare, – spiega – abbiamo rivolto la nostra attenzione al Mose, l’infrastruttura progettata per proteggere la città dalle inondazioni, che si è dimostrato efficace in termini di costi e benefici per contenere gli effetti dell’acqua alta e il progressivo aumento del livello marino causato dal riscaldamento globale, che a Venezia viene accelerato anche dal fenomeno della subsidenza”.

Capire con discreta certezza la relazione tra eventi climatici ed eventi calamitosi è fondamentale per la tutela del patrimonio sociale, economico e culturale delle aree abitate. Tutte le politiche di protezione del territorio devono poter contare su dati scientifici con congrue previsioni, altrimenti si andrebbero a determinare allarmi non giustificati o (ancor peggio) mancati allarmi.

“Il nostro obiettivo a lungo termine resta quello di comprendere sempre meglio gli impatti di aumento del livello marino a Venezia, anche in condizioni di fenomeni estremi, per valutare i possibili scenari attesi nei prossimi anni e contribuire in modo proficuo al dibattito sullo sviluppo di strategie sempre più efficaci di mitigazione, adattamento e resilienza che i cambiamenti climatici e la subsidenza impongono in questa città patrimonio dell’UNESCO”, conclude Marco Anzidei, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio.

La ricerca costituisce un tassello importante per migliorare la comprensione delle cause e degli effetti legati agli eventi climatici estremi nelle città costiere, fornendo una solida base per attuare ulteriori azioni di monitoraggio e ricerca.

Oceano

Allarme clima, l’Oceano ribolle. Il 2022 segna un nuovo record di riscaldamento

Il riscaldamento dell’Oceano segna, per il settimo anno consecutivo, un nuovo record. Lo denuncia lo studio ‘Another year of record heat for the oceans’, pubblicato sulla rivista ‘Advances in Atmospheric Science’.
Nello specifico, il contenuto di calore dell’Oceano (OHC, Ocean Heat Content) stimato nel 2022 tra la superficie e i 2000 metri di profondità, è aumentato di circa 10 Zetta Joule (ZJ) rispetto al valore record raggiunto nel 2021, equivalenti a circa 100 volte la produzione mondiale di elettricità nel 2021, circa 325 volte quella della Cina, 634 volte quella degli Stati Uniti e poco meno di 9.700 volte quella dell’Italia. Per dare un’idea della enormità del valore di energia accumulato, 10 ZJ di calore possono mantenere in ebollizione 700 milioni di bollitori da 1,5 litri di acqua per tutta la durata dell’anno.
Questo aumento esponenziale della temperatura delle acque è accompagnato da un aumento della stratificazione e dalla variazione di salinità, che prefigurano quale sarà il futuro del mare in un clima in continuo riscaldamento.

L’articolo, firmato da un team internazionale di 24 ricercatori di 16 istituti – tra cui Simona Simoncelli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e Franco Reseghetti dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) – analizza osservazioni, dagli anni ’50 a oggi, appartenenti a due dataset internazionali: il primo dell’Institute of Atmospheric Physics (IAP) della Chinese Academy of Sciences (CAS), il secondo del National Centers for Environmental Information (NCEI) della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

“Il riscaldamento globale dell’Oceano continua e si manifesta sia con nuovi record del contenuto termico delle acque ma anche con nuovi valori estremi per la salinità. Le aree già salate diventano ancora più salate mentre le zone con acque più dolci diventano ancora meno salate: c’è un continuo aumento dell’intensità del ciclo idrologico”, spiega il professor Lijing Cheng dell’Accademia Cinese delle Scienze, primo autore del lavoro.
Tra le tante conseguenze, l’aumento della salinità e della stratificazione dell’Oceano può alterare il modo in cui il calore, il carbonio e l’ossigeno vengono scambiati tra l’Oceano e l’atmosfera. Questo è un fattore che può causare la deossigenazione all’interno della colonna d’acqua che suscita forte preoccupazione, non solo per la vita e gli ecosistemi marini, ma anche per gli esseri umani e gli ecosistemi terrestri.
Quanto al Mediterraneo, si conferma il bacino che si scalda più velocemente tra quelli analizzati nello studio ma il contenuto di calore nel 2022 si attesta allo stesso livello del 2021 secondo le stime dello IAP-CAS (Institute of Atmospheric Physics, Chinese Academy of Sciences). I dati del modello di rianalisi del Mediterraneo prodotti e distribuiti dal servizio marino europeo Copernicus indicano invece una sua diminuzione rispetto al 2021. Queste differenze possono attribuirsi alle diverse tecniche di elaborazione dei dati e alla loro distribuzione spazio-temporale. Variazioni di breve periodo (inter-annuali) sono comunque parte caratteristica del sistema ed ulteriori approfondimenti sono attualmente in corso.

“Ingv ed Enea collaborano già nell’ambito del progetto Macmap, finanziato da Ingv e condotto in collaborazione con la Grandi Navi Veloci (Gnv), che punta a studiare il cambiamento climatico attraverso il monitoraggio su base stagionale della temperatura dei Mari Ligure e Tirreno lungo la tratta Genova-Palermo e ad analizzare i dati di rianalisi e i modelli climatici che vanno dal 1950 al 2050”, evidenzia Simona Simoncelli dell’Ingv.
“La collaborazione con questo team internazionale, in particolare con il professor Cheng, ci permette di mantenere alta l’attenzione sul riscaldamento globale e il suo impatto sull’Oceano e di conseguenza sull’uomo e le attività economiche ad esso strettamente correlate”, aggiunge Franco Reseghetti dell’Enea. “Riteniamo che continuare a monitorare sistematicamente questi cambiamenti nell’Oceano rimanga l’unico modo per comprendere ed essere maggiormente consapevoli delle loro conseguenze e per poter elaborare strategie efficaci di mitigazione e adattamento”.