Dop economy vale 20mld e 850mila posti. Lollobrigida: La difenderemo da Italian sounding

La DOP economy vale 20 miliardi e impiega 850mila persone. Il settore traina l’export del Made in Italy e, secondo il direttore di Ismea, Sergio Marchi, è “assolutamente in salute e molto importante per la ricerca, l’innovazione, l’attenzione alle giovani generazioni, alle donne“.

Gli agriturismi sono la punta di diamante, fa sapere il direttore. In alcune Regioni soprattutto, come in Toscana e nel Veneto e il 50% degli agriturismi ha almeno un prodotto DOP, IGP o STG nella loro offerta, quindi, insiste, “rappresentano la qualità italiana che va sostenuta, va implementata”.

Il punto sul settore lo fa la presentazione del Rapporto Ismea-Qualivita 2024, l’analisi della Dop economy italiana sui valori economici e produttivi dei settori agroalimentare e vitivinicolo DOP IGP. Malgrado le varie criticità del sistema produttivo agricolo e dei mercati, il comparto si mostra in buona salute. Il valore alla produzione nel 2023 segna un +0,2% su base annua, per una crescita del +52% in dieci anni e un contributo del 19% al fatturato complessivo dell’agroalimentare italiano. Cresce del +3,5% il comparto del cibo che supera per la prima volta i 9 miliardi €, mentre il vino imbottigliato frena sia come quantità (-0,7%) che come valore (-2,3%) e si attesta su 11 miliardi €. Bene l’export, con i prodotti DOP IGP leva del made in Italy nel mondo, che conferma un valore di 11,6 miliardi € con trend positivo nei Paesi UE. Il sistema della Dop economy italiana si fonda su 317 Consorzi di tutela autorizzati dal Ministero dell’agricoltura che coordinano il lavoro di oltre 194.000 imprese delle filiere cibo e vino capaci di generare lavoro per quasi 850.000 occupati.

La DOP economy è un settore che porta buona salute“, conferma il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. “Abbiamo il dovere di proteggere, non solo in Italia, dove sono le persone che consumano che proteggono i nostri prodotti con delle scelte oculate, ma dobbiamo impegnarci per rendere accessibile la fruizione di questi prodotti“, afferma. Non è un caso che le indicazioni geografiche siano state inserite come riferimento anche nella scelta dei prodotti che vengono messi a disposizione delle persone meno abbienti, attraverso la carta dedicata a te e anche attraverso i fondi previsti per il terzo settore. “Dobbiamo impegnarci anche a livello internazionale per proteggere i nostri prodotti perché l’Italian Sounding è un grande pericolo“, mette in guardia Lollobrigida. “Perché ci sono danni alla nostra economia ma ci sono danni anche per le persone nel resto del mondo che pensano di comprare prodotti di qualità made in Italy. Dobbiamo convincere gli altri governi a realizzare norme in linea con l’Unione Europea ed è quello che stiamo facendo e anche comunicando al meglio attraverso campagne specifiche che differenza c’è tra un prodotto davvero realizzato con i disciplinari italiani con l’impegno dei nostri imprenditori e invece prodotti che si richiamano solamente alla nostra Italia”, afferma il ministro.

Le esportazioni del comparto DOP IGP confermano un valore di 11,6 miliardi € (-0,1% sul 2022) e un trend del +75% in dieci anni. La crescita nei Paesi UE (+5,3%) compensa il calo nei Paesi Extra-UE (-4,6%), dato particolarmente significativo alla luce dell’attuale dibattito sui dazi, con i Paesi terzi che assorbono oltre la metà (52%) dell’export della Dop economy italiana e gli Stati Uniti, prima destinazione in assoluto, che da soli valgono oltre un quinto (21%) delle esportazioni italiane DOP IGP. Il settore cibo realizza 4,67 miliardi € per un +0,7% in un anno e un +90% sul 2013, con crescite in valore per formaggi, pasta e olio di oliva. Per il vino cala la quantità esportata (-2,9%) per un valore pari a 6,89 miliardi € (-0,6%), in tenuta dopo il balzo del +10% del 2022 e con un trend del +66% sul 2013. Alla base delle filiere DOP IGP ci sono 194.387 operatori, di cui 186.547 produttori e 31.197 trasformatori, che aderiscono ai disciplinari di produzione e si sottopongono ai controlli per la certificazione. Nel vino si contano 107.175 operatori e nel comparto cibo 87.212.

Il Rapporto Ismea-Qualivita 2024 approfondisce anche l’impatto della Dop economy sull’occupazione, elaborando i dati Inps sui rapporti di lavoro nella fase agricola e di trasformazione delle filiere DOP IGP. Nel complesso si stimano 847.405 occupati nella Dop economy italiana, 510.260 nella fase agricola e 337.145 nella fase di trasformazione. Il settore vitivinicolo DOP IGP conta 332.506 occupati, mentre il comparto cibo 585.543.

Dopo due anni consecutivi con dati in aumento in diciotto regioni su venti, il Rapporto Ismea-Qualivita 2024 descrive un quadro più variegato: su 107 province italiane 61 hanno valore della DOP economy più alto, il 17% con crescite a doppia cifra. Prosegue il trend positivo nell’area Sud e Isole (+4,0%), sempre in crescita negli ultimi cinque anni, con buoni risultati soprattutto per Sardegna (+19%) e Abruzzo (+11%). Cresce anche il Nord-Ovest, trainato dalla Lombardia che supera per la prima volta i 2,5 miliardi € e cresce per il terzo anno consecutivo. Il Nord-Est ha risultati stabili nel complesso (-0,6%) e vale il 54% della Dop economy, con l’Emilia-Romagna che frena leggermente (-2,4%) e il Veneto che con 4,85 miliardi € si conferma regione leader. Nel Centro i risultati peggiori (-3,9%) con la Toscana (-5,5%) che rappresenta la gran parte del valore economico e il Lazio unica regione in crescita (+8,8%). Sul cibo, i prodotti DOP, IGP e STG sono in crescita per il terzo anni di fila e nel 2023 raggiunge 9,17 miliardi € di valore alla produzione (+3,5% la crescita annua, +44% il trend dal 2013) per un fatturato al consumo finale che sfiora i 18 miliardi € (+3,6%). Bene soprattutto i formaggi (+5,3%), per la prima volta sopra i 5,5 miliardi € e con la produzione più alta degli ultimi cinque anni, ma buone crescite in valore anche per oli di oliva (+33%), prodotti della panetteria e pasticceria (+9%) e carni fresche (+10%). L’export raggiunge 4,67 miliardi € (+0,7% su base annua e +90% sul 2013), grazie soprattutto alla crescita nei mercati UE (+6,4%). Numeri frutto dell’impegno di 87.212 operatori, 585mila occupati, 182 Consorzi di tutela autorizzati dal Masaf e 42 Organismi di controllo.

Male il vino Dop Igp: frenano quantità e valore, l’export tiene. Nel 2023 il vino DOP IGP, sia come produzione imbottigliata pari a 25,9 milioni di ettolitri (-0,7%) che come valore dell’imbottigliato che si attesta su 11 miliardi € (-2,3%), con andamento opposto fra DOP e IGP. Per i vini DOP il calo della domanda ha indotto gli operatori a imbottigliare di meno (-4%), per un valore pari a 9,08 miliardi € (-3,7%). Per i vini IGP cresce la quantità imbottigliata (+6%) per un valore di 1,95 miliardi € nel 2023 (+4,8%). L’export raggiunge 6,89 miliardi € (-0,6% su base annua e +66% sul 2013), una sostanziale tenuta dopo il balzo del +10% registrato nel 2022. Numeri di una filiera composta da 107.175 operatori, 333mila occupati, 135 Consorzi di tutela autorizzati dal Masaf e 12 Organismi di controllo. “È un miracolo che con l’aggressione al vino in questi ultimi anni il nostro prodotto tenga nel mercato, perché ci sono campagne estremamente negative“, osserva Lollobrigida, che ricorda che “se consumato nella maniera corretta, all’interno di una sana alimentazione, il vino è un elemento bilanciato che fa parte non solo della nostra cultura ma del nostro benessere, della nostra longevità, che ci vede essere la seconda nazione al mondo per permanenza sulla Terra”.

Molto positiva per il ministro è invece la tenuta dell’export, perché “nei mercati mondiali i nostri imprenditori riescono sempre più a far affermare questo prodotto anche in concorrenza con nazioni che hanno crisi ben più pesanti e che sono i nostri, tra virgolette, competitor principali”. La spesa per i prodotti nella GDO è pari a 5,9 miliardi € nel 2023, per una crescita del +7,2% in un anno, dinamica in linea con l’intero comparto alimentare, la cui spesa nel 2023 è cresciuta del +8,6% (frutto di un innalzamento dei prezzi, con un carrello leggermente alleggerito nei volumi). Il cibo segna un +9,5%, con formaggi e oli di oliva che crescono anche in volume, oltre che in valore; la spesa per il vino registra un +2,7%. Nei primi 9 mesi del 2024, i dati sulla spesa alimentare degli italiani confermano i livelli del 2023 (con un +0,8% su base annua). Si conferma il ruolo crescente dei discount per i prodotti DOP IGP che nel corso del 2024 superano la quota di mercato del 18%; anche il ricorso alle vendite in promozione da parte della GDO risulta più elevato rispetto ai prodotti generici. Nel complesso, i dati di questo Rapporto “confermano che le Indicazioni Geografiche italiane rappresentano un sistema resiliente, capace di affrontare con successo le molteplici sfide che il 2024 ha posto, sia in ambito climatico che commerciale”, scandisce Mauro Rosati, Direttore Fondazione Qualivita e Origin Italia. “Questo risultato – sostiene – è sostenuto da una base occupazionale solida e dal continuo potenziamento dei 317 Consorzi di tutela riconosciuti dal MASAF. In particolare, i dati relativi al Sud Italia in crescita da un quinquennio, evidenziano un rafforzamento del modello della Dop economy in quei territori, a testimonianza della capacità del settore di radicarsi e prosperare anche in contesti complessi. Guardando al futuro è fondamentale che il settore DOP IGP, con le istituzioni italiane ed europee, rivolga la massima attenzione alle rapide trasformazioni tecnologiche nel campo alimentare e alle dinamiche evolutive dei mercati internazionali, per assicurare al sistema un livello sempre più alto di competitività e sostenibilità”.

agricoltura

Dal 2021 agricoltura in crisi. Continua la ‘tempesta perfetta’

La stragrande maggioranza delle aziende agricole e agroalimentari italiane intervistate ad aprile da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) nel primo trimestre 2022 ha incontrato serie difficoltà nella gestione d’impresa, a causa dei forti rincari dovuti all’aumento del costo dell’energia e delle materie prime (soprattutto fertilizzanti). Il dato emerge dal rapporto diffuso dall’istituto che ha per titolo ‘I costi correnti di produzione dell’agricoltura. Dinamiche di breve e lungo termine, effetti degli aumenti dei costi e prospettive per le imprese della filiera’ e che contiene anche un sondaggio su 795 aziende per il settore agricolo e 586 imprese dell’industria alimentare.

Ma il problema viene da lontano. “Il 2021 – spiega Ismea – rappresenta un punto di rottura. Quella che i media definiscono la ‘tempesta perfetta’, ovvero l’allinearsi in senso sfavorevole di una molteplicità di fattori di tipo strutturale e congiunturale, endogeni ed esogeni al settore, ha obbligato ad acquisire tale consapevolezza con una specificità: una crisi talmente ad ampio raggio da interessare, concentrandoci sul settore agroalimentare, tutte le filiere e, nell’ambito delle stesse filiere, tutti gli anelli di cui sono composte; dalla produzione dei mezzi tecnici al consumatore finale, cui peraltro una quota importante del proprio reddito è stata ‘distratta’ verso il pagamento degli incrementi notevoli di spese prioritarie come le bollette e il pieno dell’auto, proprio mentre l’inflazione è andata a interessare gran parte dei beni alimentari“.

DAL CALO DEI PREZZI IN PIENA PANDEMIA, ALL’IMPENNATA DEL 2022

Se nel 2020, spiega Ismea nel suo report, come conseguenza della pandemia e del rallentamento delle attività produttive del blocco dei flussi turistici e dei viaggi aerei, si registrò un forte calo dei prezzi del petrolio e delle materie prime energetiche in generale (-32% la riduzione dell’indice rispetto all’anno precedente), che ha trascinato al ribasso anche l’indice dei prezzi dei fertilizzanti, diminuito del 10%, “nel 2021 si è assistito all’impennata dei prezzi di tutte le commodity, non solo gli energetici (+82% nel consuntivo 2021 rispetto al 2020), che hanno spinto un incremento analogo dei fertilizzanti (+81% rispetto all’anno precedente), ma anche i minerali e metalli e i metalli preziosi, con questi ultimi che avevano già registrato un aumento nel 2020 nel contesto di incertezza legato alla pandemia“. In particolare, nel 2021, il prezzo del petrolio è cresciuto del 67% rispetto al 2020, portandosi a 69 dollari al barile, ancora ben lontano dal massimo del periodo 2008-2021 di 105 dollari, raggiunto nel 2012; ma soprattutto si è registrata una vera e propria esplosione del prezzo del gas naturale quotato in Europa, con una crescita del 397%.

I FORTI RINCARI DEL PREZZO DEL GAS NATURALE

La crescita dell’indice internazionale del prezzo del gas naturale ha impattato a sua volta fortemente sul prezzo dei fertilizzanti, essendone il gas una componente produttiva; in particolare, il prezzo dell’urea è più che raddoppiato in un anno, con una quotazione di 483 dollari per tonnellata in media nel 2021, che si avvicina al valore massimo del periodo di 515 dollari, raggiunto nel 2008. Forte la crescita anche per fosfato diammonico e del triplo superfosfato o superfosfato concentrato, ma per questi due prodotti le quotazioni nel 2021 sono rimaste comunque lontane dai livelli massimi del 2008. Lo scenario per il 2022 si è poi drammaticamente aggravato con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. “La messa fuori uso dei porti sul Mar Nero, le tensioni politiche e le sanzioni comminate alla Russia hanno ulteriormente destabilizzato il mercato delle commodity agricole e degli input produttivi come petrolio, gas e fertilizzanti, nonché fenomeni speculativi che in tutte queste incertezze hanno trovato un florido terreno di coltura“, conclude Ismea nella sua analisi.

GLI AUMENTI NON SARANNO FATTI RICADERE SUI CONSUMATORI

La soluzione per contenere i rincari sarà quindi aumentare i prezzi dei prodotti finiti e far così ricadere gli aumenti sul consumatore finale? La maggior parte delle aziende intervistate non la pensa così. Il 38% delle imprese agroalimentari italiane ritiene infatti che nei mesi a venire sarà difficile aumentare i listini dei propri prodotti per recuperare gli incrementi dei costi correnti (47% per l’industria delle paste alimentari e 55% per il settore vitivinicolo). Tuttavia, il 28% delle imprese appartenenti all’industria della trasformazione dei prodotti ortofrutticoli dichiara che nei prossimi mesi i prezzi di vendita dei propri prodotti aumenteranno tra il 3-6% del valore (contro il 19% del campione). Infine, le imprese esportatrici (che rappresentano circa la metà delle imprese dell’industria alimentare intervistate), intervistate sulla maggiore o minore possibilità di riversare sui prezzi gli aumenti dei costi per i prodotti venduti all’estero, hanno dichiarato in maggioranza (55% delle esportatrici) che le vendite all’estero non hanno consentito di assorbire più facilmente l’incremento dei costi, dato che i mercati esteri sono maggiormente sensibili all’aumento dei listini, ma circa il 30% invece ha avuto maggiori possibilità di recuperare gli aumenti attraverso le vendite all’estero.