IMPIANTO SNAM RETE GAS

Snam, nel primo trimestre utile a 335 milioni. Investimenti record a +47,5%

Nel primo trimestre 2024 Snam ha registrato un utile netto adjusted di 335 milioni di euro, in crescita dell’11,3%. Lo rende noto il gruppo, che ha approvato i i risultati consolidati del primo trimestre 2024 (non sottoposti a revisione contabile). L’aumento dell’utile, si legge in una nota, è un effetto della crescita dell’Ebitda, “in parte assorbito dai maggiori ammortamenti connessi all’entrata in esercizio degli investimenti realizzati e alle svalutazioni di asset in corso, oltre che dall’incremento degli oneri finanziari attribuibile principalmente all’aumento dei tassi di interesse”.

Crescono anche gli investimenti totali, pari a 462 milioni di euro (+47,5% rispetto al primo trimestre 2023), per i maggiori investimenti connessi agli interventi di adeguamento dei terminali di Ravenna e Piombino. Il 55% degli investimenti totali è allineato ai Sustainable Development Goals e il 34% alla Tassonomia Europea.

 “I risultati del primo trimestre 2024 sono molto positivi, con gli investimenti e i principali indicatori in grande crescita, sia per le attività nazionali che per quelle delle nostre associates, a fronte di uno scenario di perdurante volatilità a livello globale. I solidi risultati ottenuti e la visibilità del nostro business ci consentono di migliorare la guidance 2024 di EBITDA e utile netto, con una significativa accelerazione sugli obiettivi previsti dal nostro piano industriale”, dice l’amministratore delegato di Snam, Stefano Venier.

I ricavi totali di Snam nel primo trimestre 2024 sono pari a 895 milioni di euro (-1,9% rispetto al primo trimestre 2023). In crescita i ricavi regolati connessi alla realizzazione del piano investimenti, all’incremento del WACC e ai maggiori incentivi output-based; in flessione i ricavi del business dell’efficienza energetica, in particolare in ambito residenziale. L’Ebitda è a 703 milioni di euro (+17,8%), per la crescita dei ricavi regolati, in parte assorbita dal minor contributo dei business della transizione energetica. L’indebitamento finanziario netto è di 15.793 milioni di euro (+523 milioni di euro rispetto al 31 dicembre 2023), in aumento principalmente per gli investimenti realizzati nel periodo e per il pagamento dell’acconto sul dividendo 2023.

Nel primo trimestre 2024 sono stati immessi nella rete nazionale di trasporto 15,75 miliardi di metri cubi DI GAS, in riduzione di 0,95 miliardi di metri cubi, pari al 5,7%, rispetto al primo trimestre 2023 a seguito del decremento della domanda e del calo delle esportazioni. La domanda di gas nel primo trimestre 2024 è stata pari a 20 miliardi di metri cubi, in riduzione di 0,53 miliardi di metri cubi, pari al 2,6%, rispetto al primo trimestre 2023 a causa, spiega il gruppo, “del calo dei consumi” attribuibile a diversi fattori. In primo luogo, “al settore termoelettrico (-0,32 miliardi di metri cubi; -4,8%) a seguito dell’aumento delle importazioni di energia elettrica, derivante essenzialmente dalla ripresa del nucleare francese, della maggiore produzione idroelettrica, effetti in parte assorbiti dal maggior ricorso al gas naturale nella generazione termoelettrica rispetto ad altri combustibili fossili”. Poi, al settore residenziale e terziario (-0,18 miliardi di metri cubi; -1,7%), “a fronte delle temperature medie più miti rispetto al primo trimestre 2023 e agli effetti del progressivo incremento delle misure di efficientamento energetico, effetti in parte assorbiti dal venir meno delle azioni di contenimento della domanda di gas per far fronte alla riduzione delle importazioni dalla Russia attive nel primo trimestre 2023”.
I consumi del settore industriale risultano sostanzialmente in linea con il trimestre precedente (+0,05 miliardi di metri cubi; +1,8%).

I volumi rigassificati nel primo trimestre 2024 sono pari a 1,24 miliardi di m3 (+0,36 miliardi di metri cubi rispetto al primo trimestre 2023; +40,6%), e sono state effettuate 20 discariche da navi metaniere (tanker loads), a fronte di 21 discariche effettuate nel primo trimestre 2023. L’incremento dei volumi rigassificati, spiega il gruppo, “è attribuibile all’entrata in esercizio dell’impianto FSRU di Piombino, operativo a partire dal mese di luglio 2023, che nel primo trimestre 2024 ha rigassificato complessivamente 0,74 miliardi di m3 , effettuando 8 discariche da navi metaniere”.

La situazione internazionale, assicura il gruppo, non sta avendo impatti diretti . “Il conflitto nella striscia di Gaza non comporta, al momento, impatti diretti sugli asset di Snam e sull’operatività della pipeline che collega Israele ed Egitto (EMG), che sta operando in maniera ordinaria”. Anche per quanto concerne la recente escalation degli attacchi marittimi nel Mar Rosso, spiega il gruppo, “non si registrano criticità in merito alla gestione delle attività operative e alla realizzazione del programma di investimenti”. Tuttavia, una prolungata interruzione dei transiti di navi– come ad esempio quelle Gnl – dal canale di Suez nell’anno in corso “potrebbe dar luogo a tensioni a livello internazionale, con il conseguente impatto sui prezzi dei beni energetici per i quali l’Italia, e in generale l’Europa, sono fortemente dipendenti dalle importazioni estere”. Queste turbolenze, dice Snam, “potrebbero pesare sull’economia mondiale, aumentando i costi di produzione e influenzando ulteriormente la stabilità economica e la crescita nazionale ed europea, oltre che determinare ulteriori sfide nella gestione delle fonti di approvvigionamento energetico”. Snam “continuerà a monitorare l’evoluzione della situazione nell’area mediorientale, le possibili conseguenze e gli effetti sul gruppo”.

 

La crisi del Mar Rosso è roba nostra: in ansia agricoltura e porti

Si può discutere sulle cifre, non sull’impatto pesantemente negativo della crisi del Mar Rosso. Ad esempio, c’è chi dice che la guerra degli houthi costi al settore agroalimentare 5,5 miliardi a livello di export, chi invece sostiene ‘solo’ 4. Ma sono comunque cifre enormi. Sotto pressione c’è soprattutto l’ortofrutta ma anche vino, pasta, prodotti da forno non se la passano bene. Un conto è sfruttare il canale di Suez, un conto è dover circumnavigare l’Africa e sobbarcarsi costi ulteriori di energia e di noli, un conto ancora è non poter raggiungere le rotte verso l’Asia come si faceva prima.

Un altro esempio da massima allerta sono i porti del Mediterraneo che rischiano di trovarsi tagliati fuori dai traffici commerciali. La situazione è così delicata che pure l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) nella sua newsletter sottolinea i pericoli che stiamo correndo: tra gli stretti di Bab-el-Mandeb e il Canale di Suez transita circa il 22% del commercio mondiale e se le navi non passano da lì “i porti del Mediterraneo tornano al 1868”, la citazione di una dichiarazione del presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Zeno D’Agostino. In effetti, allungando il viaggio con la circumnavigazione dell’Africa dal Capo di Buona Speranza si passa (prendendo come esempio la rotta Singapore-Rotterdam) da 8500 a 11800 miglia, cioè da 26 a 36 giorni di navigazione. E, in particolare, non ci si affaccia più subito sul Mare Nostrum – Trieste, Genova, Gioia tauro, Piombino, Ravenna – ma diventano prioritari l’Olanda e gli scali del Nord.

Tutto questo per dire che il Mar Rosso non è un luogo lontano ma è casa nostra, è roba nostra. Prima si risolve questa crisi, prima tornerà a sorridere un’economia già stressata dalla guerra Russia-Ucraina e dal conflitto tra Israele e Hamas. Al netto di qualsiasi analisi geopolitica, di collegamenti veri o presunti tra gli houthi e cosa sta accadendo nella striscia di Gaza, dell’ingerenza iraniana e della strategia attendista di Putin e Xi Ping, conviene che l’Europa non smetta di darsi da fare e di considerare quella zona del mondo particolarmente calda come centrale nel dibattito dell’esecutivo di Ursula von der Leyen e in quello che verrà dopo le elezioni di giugno. Se il presidio militare è indispensabile per proteggere le navi – la missione Ue Aspides che vede coinvolta in prima linea la Marina italiana – diventa dirimente l’azione diplomatica da portare avanti anche sottotraccia. Una volta noi europei eravamo bravissimi a mediare, una volta.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Crisi nel Mar Rosso e aumento dei prezzi dei trasporti

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dei prezzi di trasporto merci via nave sulla rotta del canale di Suez. Le tariffe spot medie di spedizione di container da Shanghai sono più che raddoppiate dall’inizio di dicembre (+122%), più che triplicate verso l’Europa (+256%) e addirittura superiori alla media (+162%) verso la costa occidentale degli Stati Uniti nonostante Suez non venga attraversato. Le navi evitano i canali di Suez e Panama e cercano rotte alternative. Questa combinazione si traduce in distanze di viaggio delle merci più lunghe, in aumento dei costi commerciali e dei premi assicurativi.

Prezzi diesel +15% per la crisi del Mar Rosso. Ft: “Problemi su forniture nei prossimi mesi”

I futures del gasolio sono aumentati del 15% da metà dicembre, a 845 dollari a tonnellata, riflettendo le crescenti preoccupazioni degli investitori che l’Europa sarà schiacciata dai problemi lungo la catena di approvvigionamento nei prossimi mesi. Lo riporta il Financial Times che vede nella crisi del Mar Rosso, figlia degli attacchi Houthi alle navi occidentali e della risposta militare anglo-americana con conseguente semi-blocco dei trasporti marittimi, un potenziale tappo al commercio del diesel. Con l’Unione Europea che ha vietato l’uso del carburante russo, il Vecchio continente ha accresciuto la sua dipendenza dalle importazioni dall’Asia e dagli Stati Uniti. Tuttavia, la manutenzione delle raffinerie statunitensi minaccerà ulteriormente le forniture attraverso l’Atlantico, aumentando i prezzi. La navigazione problematica nel Mar Rosso a causa degli attacchi ribelli yemeniti filo-Iran ha ulteriormente complicato i calcoli dei commercianti, con navi costrette a bypassare la solita rotta attraverso Suez, aumentando le tariffe di trasporto Asia-Europa di oltre il 30%.

Il diesel, essendo il carburante più utilizzato in Europa, sia nel trasporto merci che nell’aviazione, oltre al riscaldamento domestico, è cruciale per l’economia della regione. Le importazioni russe, in passato fondamentali, sono state bandite, portando il continente a rivolgersi al Medio Oriente per circa il 60% del diesel europeo. Tuttavia, a seguito di eventi come la guerra a Gaza, questa percentuale è scesa a circa un terzo, aumentando la vulnerabilità dell’Europa. Attacchi di droni ucraini contro infrastrutture energetiche russe, segnalati da JPMorgan, sono ora considerati una minaccia potenzialmente più dannosa per gli equilibri globali dei prodotti petroliferi rispetto alle interruzioni delle spedizioni nel Mar Rosso.

Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno contribuito a coprire il deficit di forniture, ma la manutenzione delle raffinerie della costa del Golfo ridurrà drasticamente la produzione, con gli analisti che prevedono una diminuzione della capacità produttiva di circa 1 milione di barili al giorno a gennaio e febbraio. La più grande raffineria d’Europa, Shell, ha inoltre avviato lavori di manutenzione, mettendo fuori servizio metà della sua capacità fino al 15 aprile, mentre ExxonMobil chiuderà la sua raffineria per manutenzione fra un paio di settimane fino a fine aprile.

La turbolenza nel Mar Rosso ha coinciso infine con un calo delle scorte nella cruciale regione Amsterdam-Rotterdam-Anversa, ARA, rendendo l’Europa ancora più vulnerabile a una riduzione dell’offerta a causa della manutenzione delle proprie raffinerie”, evidenzia il Financial Times, il quale ricorda che “l’Europa ha accumulato le sue scorte di diesel in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, con gli stoccaggi presso l’hub ARA che hanno raggiunto il fondo del range quinquennale, secondo Sparta Commodities”. Anche la capacità di raffinazione è diminuita negli ultimi anni poiché regole Ue e governative hanno cercato di incentivare il passaggio a fonti energetiche più verdi e la domanda è diminuita a causa del passaggio dei clienti ai veicoli elettrici. Alcuni analisti, citati dal Ft, ritengono tuttavia che i governi dell’Ocse siano ben preparati con scorte di emergenza.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Dal Mar Rosso la crisi commerciale più grave dopo il Covid

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dei transiti settimanali di navi commerciali nel Mar Rosso. Secondo l’analisi di Sea-Intelligence “le interruzioni delle spedizioni dovute agli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso sono già più dannose rispetto alla pandemia”. Il Ceo di Sea-Intelligence, Alan Murphy, conferma che “il calo della capacità delle navi è il secondo più grande degli ultimi anni” e “l’unico evento con un impatto maggiore rispetto alla crisi del Mar Rosso fu dovuto al caso della ‘Ever Given’, la portacontainer rimasta bloccata nel Canale di Suez per sei giorni nel marzo 2021”.
Yemen - Mar rosso

Mar Rosso paralizzato ma gas e petrolio crollano per debolezza economia

Lunedì al Consiglio Affari esteri di Bruxelles si discuterà” della questione del Mar Rosso. “Con Francia e Germania stiamo formalizzando una proposta e sono ottimista sulla missione europea, a cui potrebbero partecipare anche i Paesi non Ue, per garantire il traffico mercantile“, annuncia il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, durante la conferenza stampa di presentazione della presidenza italiana del G7 alla Farnesina. “La nostra Marina militare sta già proteggendo le navi mercantili italiane, ma c’è un problema economico non secondario. Quasi il 40% del nostro Pil dipende dall’export e quindi la riduzione del traffico marittimo ci preoccupa perché siamo passati da 400 a 250 navi giorno. Sono aumentati i costi assicurativi e si allungano i tempi di percorrenza perché fare il periplo dell’Africa significa perdere 15 giorni“. Per il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, in realtà “per il momento non ci sono conseguenze, e non vediamo un problema per inflazione e prezzi, ma dobbiamo monitorare perché le tensioni in questo settore, con conseguenze sui costi di trasporto, sono chiaramente molto sensibili”, ribadendo che possibili conseguenze negative per le tensioni nel mar Rosso “potrebbero materializzarsi”.

Gli attacchi Houthi alle navi, scattati a dicembre, e la risposta militare anglo-americana di questi giorni, hanno fatto sì che i transiti commerciali attraverso il Canale di Suez sono scesi al livello più basso da quando la Ever Given aveva bloccato il corso d’acqua quasi tre anni fa. Secondo i dati di Portwatch, piattaforma di dati gestita dal Fondo monetario internazionale e dall’Università di Oxford, la media mobile su sette giorni delle traversate giornaliere di Suez da parte di navi mercantili, portacontainer e petroliere è scesa a 49 domenica. Un dato in calo rispetto al picco giornaliero di 83 transiti registrato nel 2023 alla fine di giugno e inferiore alla media di sette giorni di un anno prima di 70 transiti. Le navi in massa stanno girando intorno all’Africa, passando dal capo di Buona Speranza, per arrivare dall’Asia in Europa, principalmente al porto di Rotterdam. E “fare la circumnavigazione dell’Africa invece che passare dal Canale di Suez, è ovvio che crea problemi di logistica, di tempo e di costi: i noli stano schizzando, tutto quello che viaggia avrà una spinta a rialzo dei prezzi che contrasterà le battaglie delle banche centrali per riportare l’inflazione dove siamo abituati a vederla“, commenta il presidente dell’Enel, Paolo Scaroni, ai microfoni di SkyTg24 a margine del World Economic Forum di Davos.

Sempre più aziende che esportano merci dall’Asia all’Europa spediscono via aerea anziché via nave. Normalmente, i produttori preferiscono spedire le loro merci perché è molto più economico, ma in questo momento la differenza di prezzo si è ridotta poiché gli operatori di navi portacontainer dirottano le loro navi dal Mar Rosso al Capo di Buona Speranza. Per questo la domanda di trasporto aereo sulle rotte Asia-Europa è aumentata, così come le tariffe aeree: Reuters ha riferito oggi che la tariffa per il trasporto di qualcosa dalla Cina all’Europa è aumentata del 91% questa settimana rispetto alla settimana scorsa.

Per ora gas e petrolio non sembrano però risentire di questa rivoluzione dei trasporti mondiali, nonostante il Qatar abbia annunciato che non passerà dal Mar Rosso per portare il suo Gnl e sebbene l’Europa abbia importato una media di 2,3 milioni di barili al giorno di prodotti petroliferi dal 1° al 17 gennaio, in calo rispetto ai 2,9 milioni di barili al giorno di dicembre, ovvero un meno 20%. Il prezzo del gas scivola di un altro 6,2% a 27,8 euro per megawattora perché l’offerta di gas liquefatto americana è notevole, in un contesto tra l’altro di stagnazione economica europea e di una riduzione dei consumi per uso domestico, mentre gli stoccaggi sono ancora pieni al 78%. Anche il petrolio continua a calare, col Wti a 71,6 dollari e il Brent a 77 dollari al barile, perché gli ultimi dati sull’inflazione occidentale è leggermente superiore alle attese e le parole dei banchieri centrali non sembrano favorire un repentino taglio del costo del denaro rafforzando così il dollaro, una tendenza che tradizionalmente indebolisce le quotazioni dell’oro nero appunto in dollari.

E poi c’è il tema della debolezza cinese. L’economia dell’ex celeste impero è cresciuta del 5,2% su base annua nel quarto trimestre del 2023, più velocemente della crescita del 4,9% nel terzo trimestre, ma inferiore alle previsioni di mercato del 5,3%. La produzione industriale è aumentata di più in quasi due anni, ma le vendite al dettaglio sono aumentate meno in tre mesi e il tasso di disoccupazione rilevato è salito ai massimi di quattro mesi. Per l’intero anno, anche l’economia è cresciuta del 5,2%, superando l’obiettivo ufficiale di circa il 5% e riprendendo da un +3% nel 2022. Escludendo gli anni della pandemia fino al 2022, la crescita del Pil nel 2023 rappresenta il ritmo più lento di crescita annuale dal 1990, per la crisi immobiliare prolungata e i consumi deboli.