Il vocabolario tecnico della fusione nucleare

A Milano, i ricercatori e le ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca con l’istituto per la scienza e la tecnologia dei plasmi del CNR, hanno sviluppato una nuova tecnica per il monitoraggio della potenza prodotta dalle reazioni di fusione nucleare controllata, basata sull’osservazione e sulla misurazione della ‘luce dei nuclei’, cioè i raggi gamma emessi dal reattore. Di seguito il vocabolario tecnico per orientarsi nella nuova scoperta.

FUSIONE NUCLEARE CONTROLLATA. La reazione consiste nel fondere due nuclei in un nucleo di massa maggiore, con un importante rilascio di energia. Nella fusione nucleare controllata vengono fusi in un reattore i nuclei di due isotopi dell’idrogeno (deuterio e trizio), ogni reazione produce un nucleo di elio e un neutrone. Una centrale elettrica a fusione nucleare, a differenza di una centrale a fissione, non produrrebbe scorie radioattive a lungo tempo di decadimento, sarebbe inoltre un processo sicuro, in grado di auto-spegnersi in caso di anomalie, e una fonte di energia senza emissioni di CO2.

DEUTERIO E TRIZIO. Sono due isotopi dell’idrogeno, e sono il combustibile per i reattori a fusione nucleare controllata. Il trizio è il terzo isotopo dell’idrogeno, il suo nucleo è composto da un protone e due neutroni. Il nucleo del deuterio è invece composto da un protone e un neutrone. Il deuterio di ottiene a partire dall’acqua, il trizio, invece, può essere auto-generato dalla centrale a fusione.

PLASMA. Definito come il ‘quarto stato della materia’, il plasma si ottiene a temperature di milioni di gradi. In queste condizioni, gli elettroni vengono separati dai nuclei generando un gas ionizzato. In questo stato possono avvenire reazioni di fusione nucleare.

TOKAMAK. Macchina formata da una camera di forma toroidale (a ‘ciambella’) nel quale il plasma viene contenuto grazie a campi magnetici ad alta intensità capaci di ‘strizzare’ la materia e produrre reazioni di fusione nucleare. La configurazione del tokamak è stata sviluppata fra gli anni ’50 e gli anni ’60 dai fisici sovietici Igor Tamm e Andrej Sacharov.

JET, ITER, DEMO, E I NUOVI INVESTIMENTI PRIVATI. Sono i progetti che segnano le tappe della ricerca scientifica e tecnologica verso lo sviluppo futuro di una centrale a fusione nucleare. JET (Joint European Torus), progetto iniziato negli anni ’70 e costruito in Inghilterra, è al momento il più grande reattore tokamak in funzione, viene utilizzato in particolare per gli esperimenti preparatori a ITER. L’obiettivo di ITER, reattore in costruzione in Francia da un consorzio internazionale che comprende anche l’Unione Europea, sarà invece dimostrare che è possibile produrre energia termica superando il breakeven con l’energia immessa per far funzionare il sistema (i test finali sono previsti per la seconda metà degli anni ‘30 e dovranno portare a generare una potenza di 500 MW per decine di minuti). DEMO sarà un reattore a fusione dimostrativo, e sarà il predecessore di centrali termonucleari per usi commerciali. Oltre agli investimenti delle organizzazioni internazionali, l’ingresso di importanti capitali privati stanno portando allo sviluppo di diversi progetti paralleli, rinnovando interesse e attenzione sul tema e verosimilmente accelerando le tempistiche dello sviluppo scientifico e tecnologico.

I PROTAGONISTI DELLA SPETTROSCOPIA DI RAGGI GAMMA. La nuova tecnica di misurazione della potenza del reattore è stata sviluppata da una collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Istituto per la Scienza e la Tecnologia dei Plasmi del CNR. Il professor Giuseppe Gorini ha coordinato il gruppo di ricerca a Milano-Bicocca, il coordinatore del gruppo di ricerca del CNR è Marco Tardocchi. GEA ha intervistato il professor Giuseppe Gorini, direttore del dipartimento di fisica dell’università di Milano-Bicocca e il professor Massimo Nocente, fisico sperimentale dell’università di Milano-Bicocca.

A Milano passo avanti verso fusione nucleare: nuova tecnica per monitoraggio potenza

La fusione nucleare controllata promette un futuro a energia pulita disponibile per generazioni. Ora, a Milano, i ricercatori e le ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca con l’istituto per la scienza e la tecnologia dei plasmi del CNR, hanno sviluppato una nuova tecnica per il monitoraggio della potenza prodotta dalle reazioni di fusione nucleare controllata, basata sull’osservazione e sulla misurazione della ‘luce dei nuclei’, cioè i raggi gamma emessi dal reattore. “Stiamo verificando gli ultimi dettagli” spiega Giuseppe Gorini, fisico sperimentale e direttore del dipartimento di Fisica all’università degli Studi di Milano-Bicocca, intervistato da GEA, “ma abbiamo dimostrato che questa tecnica può essere utilizzata per monitorare la potenza emessa da qualunque plasma con miscela deuterio-trizio”. Un passo fondamentale nel lungo percorso che dovrebbe portarci al traguardo della prima centrale elettrica dimostrativa a fusione nucleare dopo il 2050.

COSA E’ LA FUSIONE NUCLEARE. La fusione nucleare è il processo che alimenta le stelle e fornisce energia all’universo. In una stella la forza di gravità dovuta alla sua enorme massa comprime la materia al punto che, al suo interno, i nuclei si fondono, liberando una grandissima quantità di energia. Per riprodurre lo stesso processo in maniera controllata vengono immessi in un reattore atomi di deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno. Nei reattori attualmente in sperimentazione (prendono il nome di tokamak), la forza di gravità è sostituita da campi magnetici ad altissima intensità e che ‘strizzano’ la materia fino a raggiungere la temperatura di circa 150 milioni di gradi. A queste temperature deuterio e trizio si fondono, producendo energia. Si stima che il processo di fusione possa fornire energia sulla Terra per centinaia di migliaia di anni, senza emissione di anidride carbonica, in modo sicuro e senza produrre le scorie a lungo tempo di decadimento della ‘sorella’, e più nota, fissione nucleare.

LA ROADMAP VERSO LA PRIMA CENTRALE A FUSIONE. Il più grande laboratorio mondiale sulla fusione nucleare è ITER, attualmente in costruzione in Francia da parte di un consorzio internazionale a cui partecipa anche l’Unione Europea. Tra qualche anno, ITER inizierà la sua fase di sperimentazione. L’obiettivo, atteso dopo il 2035, è di dimostrare che dalla fusione nucleare si può ottenere più energia rispetto a quella necessaria per mantenere la materia alle alte temperature richieste. Dopo ITER, è prevista la costruzione di DEMO, un prototipo di centrale elettrica a fusione, per poi arrivare alla prima centrale a fusione nucleare con produzione netta di energia elettrica. Attualmente il più grande reattore tokamak in funzione è il JET (Joint European Torus), in Inghilterra, dove dal 1983 avvengono oggi le principali sperimentazioni. Più recentemente, l’ingresso di importanti investitori privati nel campo di ricerca della fusione nucleare ha portato a prevedere una possibile accelerazione negli sviluppi scientifici e tecnologici.

LA NUOVA TECNICA DI MISURAZIONE SVILUPPATA A MILANO. Un parametro fondamentale per arrivare ad avere una centrale termonucleare a fusione è la misurazione della potenza del reattore. La tecnica principale si basa sulla misurazione dei neutroni emessi dal processo di fusione. Per avviare, però, un reattore di grande portata come ITER, e in generale un reattore capace di generare l’energia sufficiente ad alimentare una o più città, è richiesto un secondo metodo indipendente di misurazione. I ricercatori e le ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca e dell’istituto per la scienza e la tecnologia dei plasmi del CNR, hanno messo a punto una tecnica che consente di monitorare la potenza prodotta riconoscendo il colore emesso dalla ‘luce dei nuclei’ e riuscendo a stabilirne la brillantezza. La tecnica (spettroscopia di raggi gamma ad alta energia) si basa sulla misurazione dei raggi gamma, emessi durante il processo di fusione una volta ogni 100mila neutroni. Riuscendo a contarli è possibile risalire alla potenza emessa dal reattore. Qui un vocabolario tecnico per orientarsi nella nuova scoperta.

Il futuro delle città si chiama MUSA: un progetto nato da 4 università

Si chiama come le divinità della mitologia classica che ispiravano i poeti a “lasciare una traccia” per il futuro. E non è un caso. Il progetto MUSA, come ha spiegato la rettrice dell’università di Milano-Bicocca (capofila dell’iniziativa) Giovanna Iannantuoni, “dovrà creare innovazione per il benessere dei cittadini e la costruzione delle città del futuro”.

Presentato a Milano – l’acronimo sta per ‘Multilayered Urban Sustainability Action’ – il progetto nasce dalla collaborazione fra università di Milano-Bicocca, Politecnico di Milano, università Bocconi e università Statale di Milano, e con il coinvolgimento di 24 soggetti pubblici e privati. Finanziato per 110 milioni di euro dal Pnrr, per un valore complessivo di 116 milioni, punta a trasformare nei prossimi tre anni l’area metropolitana di Milano in un ecosistema di innovazione per la rigenerazione urbana con un modello replicabile a livello nazionale ed europeo.

Consentirà, insomma, di sviluppare soluzioni per l’energia rinnovabile e la gestione dei rifiuti, studiare nuovi modello di mobilità green, creare un polo di incubazione e accelerazione per startup, ottimizzare l’utilizzo dei big data per la salute e il benessere dei cittadini, mettere a punto nuove soluzioni di finanza sostenibile e creare le condizioni per una società sempre più inclusiva.

MUSA gestirà e monitorerà l’attività di ricerca e innovazione di 6 specifici ambiti di intervento, ognuno coordinato da uno o più atenei.

Primo fra tutti quello della rigenerazione urbana che passa da un monitoraggio moderno del paesaggio urbano, fino all’efficientamento energetico e lo sviluppo di una mobilità sostenibile. Oltre all’utilizzo di big data e open data per le scienze della vita: dalla medicina di precisione, alla didattica innovativa per formare gli specializzandi in maniera sempre più pronta a riflettere l’innovazione tecnologica in corso. Altro filone sarà la promozione di imprenditorialità high tech e trasferimento tecnologico. Fino ai temi di impatto economico e finanza sostenibile; moda, lusso e design sostenibile (con uno specifico focus sul riutilizzo dei materiali), e innovazione per società sostenibili e inclusive.

Alla presentazione i rettori dei quattro atenei coinvolti: Giovanna Iannantuoni (Milano-Bicocca), Ferruccio Resta (Politecnico di Milano), Gianmario Verona (Università Bocconi), Elio Franzini (Università Statale di Milano). ”Non si tratterà di partire da zero”, hanno sottolineato, ma di mettere a sistema la ricerca già in atto su questi filoni per creare modelli scalabili a livello nazionale ed europeo.

E con un coinvolgimento importante in termini di ricercatori: Sono 840 ad essere già reclutati, di cui il 41% donne e fra cui 96 giovani ricercatori. Mentre sono ancora da ricoprire i posti di altri 160 giovani ricercatori. Con un obiettivo preciso: promuovere l’innovazione e ridurre il gap fra mondo accademico a tessuto produttivo. E continuare a farlo anche oltre i tre anni del Pnrr.