siccità

Possiamo scegliere tra desertificazione e benessere: chi ha dubbi?

Il primo Piano di Azione di lotta alla desertificazione venne varato dalle Nazioni Unite nel 1977. Nel 1997, il Governo italiano ha istituito il Comitato Nazionale per la Lotta alla siccità ed alla Desertificazione. Il 22 luglio 1999 sono state varate le Linee-Guida del Programma di Azione Nazionale di lotta alla siccità e desertificazione. In tutti questi anni, però, ai Governi (e non a questi organismi) è mancato qualcosa di molto importante: il coraggio e la volontà di fare scelte risolutive. Scelte che devono avere un unico obiettivo: ridurre la concentrazione di CO2 in atmosfera. E oggi ci ritroviamo, come ampiamente previsto, a vivere gravissime crisi idriche.

La siccità di questi giorni sta svelando uno spettacolo sconfortante e irritante allo stesso tempo. Non quello dei raccolti che rischiano la distruzione: quella è una realtà drammatica, non è uno spettacolo, non è sconfortante e neppure irritante. L’incredibile spettacolo a cui mi riferisco, che dovrebbe irritare tutti noi, è quello delle dichiarazioni sorprese, del tono emergenziale come se quanto sta accadendo fosse un evento totalmente inatteso. Dovrebbe irritarci ma anche farci riflettere sullo scarsissimo interesse mostrato da gran parte della popolazione per questi temi, gli unici davvero vitali.

Spiace per chi ha creduto agli speculatori che fino a ieri hanno negato l’evidenza e gridato al catastrofismo quando qualcuno parlava di gravi rischi, ma la scienza ci avverte da quasi 40 anni che la desertificazione avanza anche nel nostro Paese, anche nelle aree storicamente più ricche d’acqua. Quella straordinaria risorsa di biodiversità, di acqua e di materie prime che sono le Alpi soffre da decenni lo scioglimento dei ghiacciai e l’estinzione di specie: segnali chiarissimi di un’evoluzione catastrofica (e non catastrofista) della situazione. Quando si parla di ghiacciai che si sciolgono, si parla della nostra vita futura – agricoltura, manifattura, turismo – che svanisce, anche nelle pianure circostanti. E cosa succede alle aree del Sud già storicamente colpite dalla carenza d’acqua? In questi giorni l’invasione di cavallette nel Nuorese ci fornisce un altro esempio di fenomeni che hanno conseguenze gravissime, ma che solo gli stolti possono definire imprevisti o emergenze.

Non dobbiamo più tollerare le risposte supponenti di chi non ha fato nulla sino ad oggi, di coloro che addirittura hanno negato e pretendono di proporre nuovamente ricette farlocche, inconcludenti, dilatorie. Le necessità sono chiare: non sono soltanto ristori per chi è colpito con la perdita dei raccolti. Dobbiamo ridurre la concentrazione di CO2 presente nell’atmosfera perché restando con la concentrazione attuale (siamo arrivati a oltre 400 parti per milione, i record precedenti quasi 1000 anni fa erano di 284) staremo sempre peggio. Molto semplicemente.

Dobbiamo farlo in maniera massiccia e farlo più in fretta possibile. Invece, ci tocca sentire penose litanie sul fatto che trasformare la mobilità privata entro il 2035 metterebbe a rischio la nostra economia. O che investire sulle risorse rinnovabili sia poco conveniente: cosa c’è di più conveniente della vita?

Dobbiamo chiederci: nel 2035, proseguendo di questo passo, quante industrie potranno ancora esistere nel nostro Paese, senza acqua? Che agricoltura potremo ancora proporre? Che turismo? Quindi: che lavoro potrà esistere, quale benessere? Un po’ di coraggio, un po’ di ambizione, un po’ di ottimismo: facciamo la rivoluzione ecologica!

La ‘tempesta perfetta’ affama il mondo: 200 milioni senza cibo

Sono poco meno di 200 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame, distribuite in 53 diversi Paesi. Si tratta di quasi 40 milioni in più rispetto al 2020. L’allarme arriva dal rapporto del Global Network Against Food Crises (GNAFC), alleanza internazionale delle Nazioni Unite, Unione Europea, agenzie governative e non governative che lavorano insieme per affrontare le crisi alimentari. L’edizione 2022 del rapporto fornisce un’analisi dei fattori che contribuiscono alle crisi alimentari, inclusi conflitti, eventi meteorologici estremi e shock economici, compresi quelli legati al COVID-19.

UNA CATASTROFE ALIMENTARE

Oltre mezzo milione (570mila) vive in Etiopia, Madagascar meridionale, Sud Sudan e Yemen, i Paesi in cui è in corso una “catastrofe” alimentare. Il numero di persone in crisi è quasi raddoppiato tra il 2016 e il 2021. Questa escalation, spiega il rapporto, è il risultato di molteplici fattori che si alimentano reciprocamente e che vanno dai conflitti alle crisi ambientali e climatiche, dalle crisi economiche a quelle sanitarie. Povertà e disuguaglianza sociale risultano, in questo contesto, determinanti.

LA GUERRA IN UCRAINA

In questo contesto, il conflitto in Ucraina avrà “impatti devastanti sulle persone, sui Paesi e sulle economie più vulnerabili del mondo“. La guerra, infatti, spiega la Fao, “ha già messo in luce la fragilità dei sistemi alimentari globali, con gravi conseguenze per la sicurezza alimentare e nutrizionale” del mondo. Il rapporto evidenzia come la guerra stia “sovraccaricando una triplice crisi: quella del cibo, dell’energia e della finanza“. Le guerre, spiega il rapporto, sono “il principale motore dell’insicurezza alimentare“. I Paesi che già soffrono la fame sono particolarmente vulnerabili alle conseguenze della guerra nell’Europa orientale, in particolare a causa della loro elevata dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari e agricoli e della vulnerabilità dei prezzi. “L’invasione russa dell’Ucraina – ha commentato Jutta Urpilainen, Commissaria per i partenariati internazionali – mette a rischio la sicurezza alimentare globale. La comunità internazionale deve agire per scongiurare la più grande crisi alimentare della storia e lo sconvolgimento sociale, economico e politico che potrebbe seguire“. L’Ue, ha spiegato, “è impegnata ad affrontare tutte le cause dell’insicurezza alimentare: conflitti, cambiamenti climatici, povertà e disuguaglianze“. E “sebbene sia necessario fornire assistenza immediata per salvare vite umane e prevenire la carestia, dobbiamo continuare ad aiutare i Paesi” più vulnerabili “nella transizione verso sistemi agroalimentari sostenibili e catene di approvvigionamento resilienti, sfruttando tutto il potenziale del Green Deal e del Global Gateway”. Su questo punto è intervenuto dall’Italia anche il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli. “Non è accettabile – ha detto – che una crisi internazionale come questa, che mette in difficoltà le nostre economie, porti una parte del mondo in difficoltà e la condanni a una povertà assoluta. L’Europa non può non porsi questo problema. La Fao lo sta facendo bene, ma tutti dobbiamo aiutare i Paesi che oggi vivono queste difficoltà per principi di umanità. Insieme dobbiamo fare sforzi e stare vicini a chi non può mangiare“.

LA TEMPESTA PERFETTA

I conflitti, la crisi climatica, il COVID-19 e l’aumento dei prezzi del cibo e dei carburanti “hanno generato una tempesta perfetta” a cui si aggiunge “la guerra in Ucraina: una catastrofe sopra l’altra“, ha detto David Beasley, direttore esecutivo della Fao. “Abbiamo urgente bisogno di finanziamenti di emergenza” , dice per “tirare fuori dal baratro” i Paesi e le persone “più a rischio” e “invertire questa crisi globale prima che sia troppo tardi“. “Il tragico legame tra conflitti e insicurezza alimentare è ancora una volta evidente e allarmante”, aggiunge il direttore generale della FAO QU Dongyu. “Sebbene la comunità internazionale – spiega – abbia intensificato gli appelli” per prevenire e arginare la carestia, è necessaria una “mobilitazione urgente di risorse“.