Al via la Cop15. L’Onu: “Le crisi del clima e della biodiversità sono collegate, è urgente agire”

Archiviata la Cop27, da oggi si alza il sipario della Cop15 sulla biodiversità, che si svolgerà a Montréal sino a lunedì 19 dicembre. Dopo l’arresto forzato causato dalla pandemia, quasi duecento Paesi si ritrovano per cercare di elaborare un nuovo quadro globale per la protezione della natura. Tuttavia, dopo tre anni di negoziati minuziosi, ci sono ancora molti punti in sospeso. Nonostante questo, Elizabeth Maruma Mrema, responsabile della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica (Cbd), in un’intervista all’Afp spiega che resta “ottimista” e che confida in un “momento Parigi” per la natura, riferendosi allo storico accordo del 2015 per limitare il riscaldamento globale e al fatto che le crisi del clima e della biodiversità siano inestricabilmente legate, per cui è “urgente agire”.

“La biodiversità deve avere successo, perché è da qui che nascono le soluzioni per l’attuazione dell’Accordo di Parigi. La natura è importante quanto il clima” e le due questioni devono essere affrontate “insieme”, sottolinea Elizabeth Maruma Mrema. Siamo vicini al “punto di svolta”, ma “non è troppo tardi” prima che non rimanga “nulla per i nostri figli”. Insistendo sul drammatico punto di partenza, ricorda che il declino della biodiversità sta raggiungendo “un livello senza precedenti nella storia: stimiamo che il 90% degli ecosistemi sia stato colpito finora e che più di un milione di specie sia a rischio di estinzione”.
Nel corso di questa Cop, “l’importante è che venga adottato un quadro di riferimento, e tutti noi avremo interesse a garantirne l’attuazione per evitare di tornare al punto di partenza”, aggiunge la tanzaniana, rallegrandosi del fatto che dal 2010 si sia imparato qualcosa. In quell’anno, infatti, i 196 Paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) si sono impegnati ad attuare misure, note come Obiettivi di Aichi, per arrestare il declino della biodiversità entro il 2020. Ma quasi nessuno degli obiettivi è stato raggiunto. Questa volta, però, secondo Elizabeth Maruma Mrema c’è l’impegno di tutte le parti interessate e il rinvio di due anni ha permesso ampie consultazioni: “Il quadro – specifica –  dovrebbe essere adottato contemporaneamente a un meccanismo di monitoraggio” e poi “tutti gli obiettivi saranno accompagnati da traguardi quantificati”. Come non è invece stato per l’ultimo accordo.

Ma l’approvazione di obiettivi ambiziosi e quantificati sarà subordinata a impegni finanziari da parte del Nord verso il Sud, uno dei “punti complicati” dei negoziati, riconosce Elizabeth Maruma Mrema. Come per i colloqui sul clima, alcuni Paesi vogliono avere “la garanzia che saranno disponibili risorse finanziarie sufficienti per attuare le misure”. Tra i circa venti obiettivi in discussione, l’ambizione principale, denominata 30×30, mira a porre almeno il 30% della terra e del mare del mondo sotto una protezione legale minima entro il 2030, rispetto al 17% e al 10% del precedente accordo del 2010. Per Elizabeth Maruma Mrema, tuttavia, questo è solo “uno dei 22 obiettivi” e sarà essenziale guardare all’accordo “nel suo complesso. Se vogliamo invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. Allora significa che tutti gli obiettivi devono essere implementati, non solo uno”, conclude.

Biodiversità

Verso Cop15 su biodiversità: pesano assenza leader e spettro flop

Dopo aver mostrato le loro divisioni alla Cop27 sul clima, i rappresentanti di tutto il mondo si incontrano mercoledì a Montreal con una nuova sfida: risolvere le loro divergenze in due settimane per approvare una tabella di marcia storica in grado di salvaguardare la natura entro il 2030. Si apre il 7 dicembre in Canada, con due anni di ritardo, a causa della pandemia di Covid-19, la 15esima conferenza della Convenzione Onu sulla diversità biologica (CBD), nota come Cop15 Biodiversity: già in partenza vi sono molti dubbi sul fatto che si arriverà a un accordo credibile al termine del summit, previsto il 19 dicembre.
Dopo tre anni di laboriose trattative, sono infatti tanti i punti di attrito tra i membri della CBD (195 Stati e l’Unione Europea, ma senza gli Stati Uniti, comunque influenti osservatori). Resta da decidere il finanziamento, da Nord verso Sud, in cambio di impegni ecologici vincolanti. E il Brasile, con la sua Amazzonia ma il cui presidente eletto Lula non ha ancora preso il governo, è molto deciso, insieme all’Argentina, a preservare la sua industria agroalimentare.

Nessun leader mondiale ha però annunciato la propria partecipazione a Montreal per pesare sui negoziati, in mancanza di un invito da parte della Cina, che presiede la COP15 ma che ha rinunciato a ospitare il vertice (in Egitto per la cop27 erano presenti più di 110 leader). Eppure le due Cop sono inscindibili: “Le soluzioni basate sulla natura potrebbero fornire circa un terzo delle misure di mitigazione del clima e svolgere un ruolo essenziale nell’adattamento al riscaldamento globale”, ha ricordato Zoe Quiroz Cullen, dell’Ong Fauna&Flora International. “Il successo non è garantito”, sintetizza una fonte europea vicina alle trattative.
Resta l’ambizione di suggellare un accordo sulla biodiversità storico come quello di Parigi per il clima siglato nel 2015. Ma molti esperti temono un fallimento simile a quello riportato nel vertice sul clima di Copenaghen nel 2009. Tuttavia, il tempo sta per scadere: il 70% degli ecosistemi mondiali è degradato, in gran parte a causa dell’attività umana, secondo i rapporti dell’IPBES, l’organizzazione degli esperti di biodiversità delle Nazioni Unite. Più di un milione di specie sono minacciate di estinzione sul pianeta, che sta vivendo, secondo alcuni scienziati, una “sesta estinzione di massa”. “Ciò che è in gioco sono le fondamenta dell’esistenza umana”, ha avvertito il segretario esecutivo del CBD, la tanzaniana Elizabeth Maruma Mrema. Perché “ecosistemi biodiversi ed equilibrati assicurano la regolazione del clima, la fertilità del suolo e degli alimenti, la purezza dell’acqua, le medicine moderne e la base delle nostre economie”.

I negoziati che si apriranno a Montreal dovranno stabilire un “quadro globale post-2020”, ovvero una roadmap di una ventina di obiettivi da raggiungere entro il 2030. Questo quadro deve seguire gli ‘Obiettivi di Aichi’ (Giappone) adottati nel 2010, anche se quasi nessuno di questi è stato portato a termine. L’obiettivo più importante è proteggere il 30% della terra e dei mari. Più di un centinaio di paesi, compresi gli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e l’Unione Europea, sostengono l’obiettivo. Nell’elenco anche il rimboschimento, il ripristino degli ambienti naturali, la riduzione dei pesticidi, la lotta contro le specie invasive, pesca e agricoltura sostenibili. Per raggiungere questi ambiziosi obiettivi, il denaro rimane una questione scottante. Il Brasile, sostenuto da 22 paesi tra cui Argentina, Sudafrica, Camerun e Indonesia, ha chiesto agli stati ricchi di fornire “almeno 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2030” ai paesi in via di sviluppo. Gli europei sono riluttanti a creare un altro fondo. Il coinvolgimento delle popolazioni indigene, “spesso i più grandi custodi della natura”, sarà un altro punto chiave, ha ricordato il ministro dell’Ambiente del Costa Rica alla COP27, Franz Tattenbach.
Infine, per non ripetere gli errori del passato, l’“attuazione” degli impegni sarà un tema importante, con indicatori chiari, insiste la fonte europea. “È la loro assenza che ha reso il quadro Aichi così inefficace”.