Germania-Italia, stesso problema: manca la manodopera qualificata e aumentano i pensionamenti

Imprese tedesche e italiane a caccia di manodopera qualificata. Il comparto produttivo ne ha disperatamente bisogno: solo considerando le previsioni di Unioncamere su settembre, si scopre che le aziende italiane dichiarano difficoltà di reperimento per 259mila assunzioni programmate (45,6% del totale), confermando come causa prevalente la “mancanza di candidati” con una quota del 29,2%, mentre la “preparazione inadeguata” si attesta al 12,9%. A risentire maggiormente del mismatch sono le industrie metallurgiche e metallifere (67% dei profili ricercati dalle imprese è di difficile reperimento), le imprese delle costruzioni (63,5%) e le industrie del tessile, abbigliamento e calzature (56,4%); tra le figure più difficili da trovare sul mercato si evidenziano gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (79,8%), i fonditori, saldatori e montatori di carpenteria metallica (74,5%) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (73,0%). Difficili da reperire anche i meccanici, montatori e riparatori (66,5%), i tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (64,8%), i tecnici in campo ingegneristico (62,6%) e gli operatori della cura estetica (58,2%).

La ‘caccia’ ai lavoratori qualificati si estende però anche ai comparti ad alto valore tecnologico. Uno studio realizzato da The European House – Ambrosetti con Anie Cofindustria e il contributo del Research Department di Intesa Sanpaolo, sottolinea che “le digital skill sono fondamentali per affrontare la doppia transizione”, eppure solo il 49% degli italiani possiede competenze digitali di base, contro una media Ocse del 71%. Gravi criticità anche nelle discipline Stem: solo 18,5 laureati ogni 1.000 giovani tra 20 e 29 anni (media Ue del 19,9%; in Francia al 35,3% e in Irlanda a 40,1%). Secondo l’indagine condotta da TEHA Group e dal Servizio Studi di Anie su un campione rappresentativo di aziende associate, la difficoltà di reperire figure professionali qualificate rappresenta oggi uno dei principali freni allo sviluppo del settore elettrotecnico ed elettronico.

Il 75% delle imprese segnala una carenza significativa di competenze tecniche e specialistiche, in particolare per tecnici e operai specializzati, che nel 2023 hanno rappresentato l’85% delle nuove assunzioni previste. A mancare non è solo la quantità di candidati, ma spesso anche la qualità e l’adeguatezza dei profili disponibili. “Le conseguenze sono concrete – spiegano gli esperti – il 69% delle imprese ha dovuto rallentare o sospendere progetti strategici; il 29% ha subito la perdita di opportunità di mercato. Da segnalare anche che il 64% delle imprese teme per il futuro una crescente difficoltà nel trattenere i talenti. Il problema non è temporaneo: dal 2017 al 2023 le posizioni con difficoltà di reperimento sono passate dal 37% al 58%”. Da qui l’avvertimento: il trend rischia di diventare strutturale “se non si interviene con politiche mirate su formazione, orientamento e valorizzazione del lavoro tecnico”.

Una tendenza che peraltro condivide la Germania, uno dei principali partner commerciali dell’Italia. E che è anche più grave dato che a lanciare l’allarme è stato l’istituto nazionale di statistica (Destatis). Come per il Belpaese, a preoccupare è il turnover legato alla demografia. In 15 anni la generazione tedesca più numerosa andrà in pensione: circa 13,4 milioni di lavoratori entro il 2039 avranno superato l’età pensionabile legale di 67 anni. Ciò corrisponde a quasi un terzo (31%) di tutti i lavoratori disponibili sul mercato del lavoro nel 2024. “Le fasce d’età più giovani non saranno in grado di sostituire i baby boomer in termini di numeri”, avvisa Destatis. Per contrastare la futura carenza di manodopera, almeno nel breve termine, si discute sulla possibilità di trattenere maggiormente la generazione dei baby boomer nel mondo del lavoro o di riattivarla a questo scopo. Il tasso di occupazione tra i 55-64enni è già aumentato negli ultimi dieci anni: dal 65% del 2014 al 75% dell’anno scorso.

Un dilemma su cui si sono già espressi gli economisti, anche alla luce della crisi tedesca e dei dati sui disoccupati, oltre 3 milioni, ai massimi da 10 anni. “Il terzo anno di stagnazione economica in Germania, o addirittura di recessione, sta lasciando tracce sempre più evidenti sul mercato del lavoro. Le aziende ora stanno sempre più ridimensionando la pianificazione del personale e le grandi industrie, un tempo garanti di occupazione e crescita, stanno tagliando posti di lavoro” aveva spiegato il capo analista dell’Iw per il lavoro, Holger Schafer. Molti ora temono condizioni simili a quelle del 2005, con oltre 5 milioni di disoccupati e un rigido mercato del lavoro che paralizzava l’intera economia. “Ma le riforme del piano Hartz sono riuscite a smantellare queste strutture e ad aprire la strada a una nuova crescita. Ne stiamo ancora beneficiando oggi. Per questo motivo, non dobbiamo temere un ritorno alle condizioni dei primi anni 2000. Soprattutto perché la causa dei problemi odierni è la stagnazione economica, non lo stato generale del mercato del lavoro”. Ecco perchè un altro problema sta diventando sempre più urgente: entro quattro anni raggiungeranno l’età pensionabile circa 2 milioni di persone in più rispetto a quelle che entreranno nel mondo del lavoro. “Questo divario è quasi impossibile da colmare. Pertanto, il problema dominante nei prossimi anni sarà la carenza di manodopera”, ha confermato Schafer.

eolico

Le nuove professioni ‘verdi’ per lo sviluppo sostenibile

Decarbonation manager, biodiversity project manager o extra-financial reporting manager: i lavori ‘verdi’ sono sempre più ricercati e specializzati, e spesso parte integrante della strategia aziendale non solo per una questione di comunicazione. Misurare l’impronta ambientale della propria azienda e ridurla: questo è il ruolo dei dipartimenti di sviluppo sostenibile, che sono diventati popolari con l’inasprimento della legislazione sul clima.

Ho iniziato come commessa a Londra nel 2004”, dice Ruth Andrade, che gestisce la strategia di sostenibilità per il marchio di cosmetici Lush nel Regno Unito e in Europa. Vegana, ha convinto uno dei fondatori di Lush, Mark Constantine, che si trovava in visita al suo negozio, a dare un’occhiata più da vicino all’impatto ambientale dei suoi prodotti, che all’epoca erano ancora confezionati in plastica. È finito a capo di un dipartimento dedicato a Londra. Uno dei membri del suo team è dedicato esclusivamente all’analisi della catena di produzione. “Ha studiato l’impronta di carbonio di tutti i nostri materiali e tutti i rischi: deforestazione, problemi di diritti alla terra per le popolazioni locali, degradazione del suolo o impatto sulla biodiversità”, spiega Ruth Andrade.

Utilizzando un software di analisi (Markersite, Altruistiq o Maplecroft), il marchio sviluppa un punteggio di rischio e redige una lista di materiali consigliati. Le formule dei saponi e degli shampoo solidi per i quali Lush è conosciuta possono allora essere adattate: meno olio essenziale di rosa, la cui produzione è ad alta intensità energetica, o più olio essenziale di limone, che assorbe più CO2 di quanto ne emetta.

Il ‘greening’ dei posti di lavoro è in gran parte guidato dai cambiamenti legislativi, secondo Dominique Mamcarz, direttore CSR (Corporate social responsibility) di DPDGroup, la rete internazionale di consegna del gruppo La Poste. Questo perché le aziende devono tenere conto della tassonomia ‘verde’ europea, una lista di energie considerate virtuose per il clima e che facilitano certi finanziamenti.

Una direttiva europea del 2014, rivista nel 2020, richiede anche alle aziende di divulgare i loro dati ambientali, sociali e di governance (ESG). Nel 2023, questo obbligo si applicherà a tutte le strutture che impiegano più di 250 persone, invece di 500. “Il nostro ruolo è quello di rilevare i segnali deboli, la direzione in cui i regolamenti si evolveranno e le ultime innovazioni”, spiega Dominique Mamcarz. Per esempio, la sua azienda vuole distribuire veicoli a basse emissioni in 350 città europee entro il 2025. Ma per bilanciare la sua impronta di carbonio nel 2021 e compensare gli 1,5 milioni di tonnellate di CO2 che ha emesso nel 2020, DPDGroup è stata costretta ad acquistare crediti di carbonio, in particolare attraverso i parchi eolici in India.

A breve termine, “le società di consulenza vogliono raddoppiare i loro team di sostenibilità”, dice Caroline Renoux della società di consulenza francese Birdeo. L’anno scorso, la multinazionale di consulenza PwC ha annunciato di voler assumere 100.000 persone entro cinque anni nel campo del cambiamento climatico e dell’intelligenza artificiale. “Abbiamo una corsa incredibile di talenti e riceviamo chiamate ogni giorno dai clienti”, dice Harco J. Leertouwer, che gestisce Acre, una delle più grandi agenzie di reclutamento di manager della sostenibilità in Europa.