Ambiente e benessere, a Pesaro il primo ‘Parco della Salute’ certificato d’Italia

Ambiente e benessere alleati a Pesaro per la nascita del primo Parco della Salute certificato d’Italia. La firma del protocollo è avvenuta oggi, 22 novembre, a Palazzo della Valle, tra il Comune di Pesaro, Confagricoltura, Assoverde-Associazione Italiana Costruttori del Verde, Képos-Libro Bianco del Verde Aps e Fondazione AlberItalia. Il Parco della Salute si estende su una superficie di 3,7 ettari ed è una porzione del Parco Miralfiore. I lavori di adeguamento non richiedono l’uso di macchinari di particolare dimensione e saranno principalmente incentrati sul rimodellamento localizzato.

Con questa iniziativa si “mettono le radici gli obiettivi che ci eravamo dati con il Libro Bianco del Verde: riportare la natura nelle nostre città e preservare le nostre aree verdi, facendole rifiorire grazie alle competenze di coloro che operano nel settore”, commenta il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Che esprime l’orgoglio della Confederazione generale dell’agricoltura italiana per “essere riusciti a coinvolgere diverse figure professionali per realizzare, in tante città italiane, i parchi della salute. Attraverso indicatori misurabili, quantitativi e qualitativi, intendiamo offrire luoghi ‘a misura di quartiere e di persone’, che possano fornire quegli spazi verdi certificati, per concorrere a migliorare il benessere degli abitanti”.

La firma del protocollo, dunque, fa diventare realtà il percorso per evidenziare l’importanza di creare ampie aree verdi nelle città, capaci di contrastare l’inquinamento, con effetti positivi sulla salute e sul benessere psico-fisico delle persone. “E’ uno degli obiettivi di Pesaro 2024-Capitale italiana della cultura”, spiega la assessora alla Sostenibilità del comune marchigiano, Maria Rosa Conti. “L’area sarà accessibile a tutti e conterrà, tra l’altro, uno spazio per ‘il pensiero, la meditazione e il silenzio’ – aggiunge –, con soglie massime di rumore ammesse e biodiversità cromatica, ambientale, arborea, floreale e faunistica e uno ‘calmo’ in cui si potrà ‘far decantare l’eccessiva stimolazione dei propri sensi’ nel rispetto dei criteri e degli indicatori indicati per ottenere il marchio di qualità dei Parchi della Salute”. Inoltre, rivela Conti, “il progetto rientra nella strategia Fever, Funzioni ecologiche del verde attivata dall’amministrazione”.

Per Rosi Sgaravatti, presidente di Assoverde, si tratta di “un’esperienza inedita a livello internazionale, che si basa sulla ricerca congiunta di agronomi e pubblici amministratori, architetti del paesaggio, medici e psicologi, operatori del verde, ingegneri, tecnici dei comuni ed esponenti della società civile”. Un confronto che ha permesso di mettere a punto “indicatori di riferimento concreto per tutti i Comuni italiani che vogliano investire nella qualità della vita, nella salute dei cittadini e nel futuro dei nostri centri urbani”. Infatti, precisa il presidente del Comitato scientifico di AlberItalia, Fabio Salbitano, “il concetto stesso di One Health, recentemente adottato dall’Oms, indica nel rapporto intenso e quotidiano con la natura alla porta di casa una condizione imprescindibile”.

Ovviamente, l’obiettivo è che il progetto di Pesaro sia solo ‘pilota’: “Rappresenta il primo atto concreto di un progetto iniziato lo scorso anno con il nuovo focus del Libro Bianco del Verde – afferma il presidente di Képos, Francesco Maccazzola -. Il nostro auspicio è che altri ne seguano e che si possa costituire una comunità di cittadini, amministratori e operatori del verde”.

L’approccio One Health: l’unione tra salute umana, animale e ambientale

‘One Health’, ovvero una sola salute per gli umani, gli animali e l’ambiente. L’approccio olistico che vede salute umana, animale e dell’ecosistema che ci circonda legate indissolubilmente, è diventato centrale nelle politiche internazionali in materia di salute pubblica in particolare dopo lo scoppio della pandemia Covid-19. L’idea esisteva già da prima che il Coronavirus invadesse le nostre società: nel 2017, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definiva ‘One Health’ come un approccio integrato per l’attuazione di programmi, scelte politiche e ricerca “in cui più settori comunicano e lavorano insieme per ottenere risultati migliori in materia di salute pubblica”, dalla sicurezza alimentare al controllo delle malattie che possono diffondersi tra animali ed esseri umani (le zoonosi), come l’influenza e la rabbia, passando anche dalla lotta alla resistenza dei batteri agli antibiotici (la cosiddetta resistenza antimicrobica).

Dallo scoppio della pandemia Covid-19 è diventato più urgente tradurre questo concetto astratto in azioni concrete e strumenti tangibili per prevenire problemi di salute pubblica. La scienza stima che, dopo quella del coronavirus, il 70% delle future pandemie deriverà da malattie zoonotiche, ovvero infezioni che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente tra animali e l’uomo. Così come uomini e animali possono essere infettati dagli stessi microbi, dal momento che condividono gli stessi ecosistemi. Da qui l’imperativo di comprendere meglio i legami che esistono tra salute umana, animale e anche ambientale, dal momento che far convergere gli sforzi in un solo settore può non essere risolutivo per la prevenzione di malattie che rischiano di mettere in pericolo la salute globale. Intervenendo sul controllo delle malattie degli animali, si può ad esempio limitare anche la loro trasmissibilità all’uomo. Ma c’è anche una forte componente legata all’ambiente e alla salute dell’ecosistema che ci circonda. Ad esempio, proprio nel caso del Covid-19, si ritiene che la sopravvivenza e trasmissibilità del virus siano state influenzate anche da altri fattori legati al clima, come le temperature e l’umidità, oltre che dalle caratteristiche del virus stesso. Inoltre, secondo vari esperti, gli agenti ambientali e atmosferici sono stati fattori che hanno favorito lo sviluppo della pandemia, soprattutto nei primi mesi del 2020 e nelle aree più esposte a inquinamento urbano e industriale.

Un approccio multisettoriale ai problemi di salute pubblica è un “must-have” per la salute globale futura, lo definiva tempo fa il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel pieno di un’ondata dei contagi nel Continente europeo. Bruxelles, così come le organizzazioni internazionali dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) alla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e anche i singoli Paesi hanno sposato l’approccio ‘One Health’ e intendono metterlo al centro delle politiche di salute pubblica per essere più efficaci nel prevenire e controllare le malattie che si diffondono tra animali e umani. L’Italia ha fissato l’impegno per una piena attuazione del principio nel suo piano strategico 2021-2023 presentato dall’Istituto Superiore di Sanità per “promuovere la crescita della capacità multidisciplinare necessaria per le sfide sanitarie complesse a livello nazionale e internazionale”.

Ansalone (Novartis): “Lavoriamo per una Sanità più moderna e vicina a cittadini”

Se c’è una lezione che la pandemia insegna è che non bisogna trascurare il rapporto con le Regioni e la medicina territoriale. Ne è convinto Gianluca Ansalone, head of Public affairs & Sustainability di Novartis, che a margine dell’evento ‘Pandemie, strategia farmaceutica e transizione ecologica’ fa il punto con GEA sullo stato dell’arte del colosso svizzero. “È una strada che riteniamo molto promettente. Non c’è futuro per la medicina in Italia senza prendere le lezioni del Covid e la principale è stata portare le cure dove è il paziente e non viceversa. È su questa visione che abbiamo sviluppato il dialogo con alcune Regioni, il Lazio per la medicina d’iniziativa, il Friuli Venezia Giulia, Regione apripista con cui abbiamo stabilito una collaborazione a lungo termine, di tre anni, su alcuni ambiti di comune interesse, come la prevenzione di patologie cardiovascolari ma anche lo sviluppo di strumenti e metodi per rendere la medicina di territorio una realtà molto più solida“.

Intercettare la malattia prima che si manifesti significa salvaguardare la salute delle persone e arrivare a un risparmio economico. Significa fare molta prevenzione. Novartis a che punto è?
Il senso profondo del contributo che vogliamo dare è a riformare le linee guida Sistema Sanitario Nazionale per renderlo più forte e rispondente ai bisogni dei cittadini. Noi viviamo in una società che invecchia e dovremo fronteggiare un’incidenza di patologie croniche molto più larga. Operare per la prevenzione di queste patologie, attraverso il nostro impegno su tematiche importanti, intervenire con una medicina di iniziative, garantire la cura e il follow-up per chi convive con una malattia cronica: su questo terreno ci impegneremo con i territori per rendere la sanità del futuro più vicina ai cittadini.

C’è sempre più questa necessità di arrivare a un rapporto diretto tra la sanità e il paziente, state lavorando in questa direzione?
È al centro della nostra visione, perché crediamo che il sistema sanitario debba essere costruito attorno alle esigenze del paziente e poi perché con lo sviluppo che stiamo seguendo molto da vicino delle nuove tecnologie (mi riferisco a intelligenza artificiale e big data) il paziente è prima di tutto un elemento portante della solidità del Sistema Sanitario del futuro, l’empowerment dei singoli pazienti è la prospettiva in cui crediamo di più, con loro e attraverso di loro vogliamo costruire modelli più moderni ed efficienti.

Sulla medicina a 360 gradi, a che punto è in relazione al progetto One Health dell’Ue?
Lo seguiamo con grande attenzione. Per l’insegnamento che ci ha lasciato la pandemia, l’impossibilità di scindere la salute del pianeta da quella delle persone, perché la nostra grande scommessa del futuro è sulla prevenzione, quando si parla di prevenzione non si può non guardare alla salute nel suo complesso.