Bonetti: “Errore grave di Meloni non ratificare il Mes, pagato con Patto di stabilità”

Giorgia Meloni sulla politica estera, almeno nella prima fase, è stata totalmente in continuità con la politica di Mario Draghi. Pensiamo al sostegno all’Ucraina. Poi però c’è la non credibilità dei suoi alleati interni, come Salvini“. Lo dice la vicepresidente di Azione, Elena Bonetti, candidata alle prossime elezioni europee, ai microfoni del #GeaTalk. Proseguendo nel ragionamento sulla premier, aggiunge: “Ha fatto degli errori, penso gravi, come quello di non aver ratificato il Mes, oltre a non aver preso quello sanitario. L’Italia, col diritto di veto, ha impedito in qualche modo di ratificare uno strumento di tenuta finanziaria a livello europeo: è chiaro che questo poi lo abbiamo pagato nella trattativa sul Patto di stabilità, dove evidentemente siamo arrivati più deboli“.

Patto di stabilità, via libera dal Parlamento europeo. M5s: “Sfiduciato Giorgetti”

Spazio agli investimenti per la transizione verde e digitale, con la possibilità di non conteggiare ai fini del calcolo del deficit lo sforzo pubblico di spesa. Una flessibilità a cui fa da contraltare un percorso di risanamento dei conti serrato, preciso e non semplice per Paesi come l’Italia dall’elevato debito pubblico. L’Aula del Parlamento europeo vara la riforma del Patto di stabilità, confermando l’accordo inter-istituzionale raggiunto a febbraio. Un esito atteso, che non registra sorprese.

Le soglie di riferimento classiche non cambiano. Restano i tetti del 3% nel rapporto deficit/Prodotto interno lordo e del 60% nel rapporto debito/Pil perché incardinate nei trattati sul funzionamento dell’Ue. Cambia però il modo di considerarle. Al fine di garantire consolidamento di bilancio i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1%, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60% e il 90% dovranno tagliarlo di uno 0,5% l’anno. L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna. Non solo. Come tutti l’Italia dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra cosiddetta salvaguardia, che prevede di creare margini di spesa preventivi. L’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3% deficit/Pil debba comunque ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5% così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti.

Il periodo di consolidamento viene fissato in quattro anni, con piani che ogni Stato membro dovrà presentare entro il 20 settembre 2024 . Questa traiettoria di rientro potrà essere però estesa fino a un massimo di sette anni, previa richiesta da parte gli Stati membri. La concessione di più tempo per ridurre il debito è condizionata a un piano di riforme e investimenti atti a migliorare potenziale di crescita e capacità di resistenza agli shock. Riforme e investimenti, nello specifico devono affrontano le priorità comuni dell’Ue, vale a dire transizione verde e digitale, sicurezza energetica, rafforzamento della competitivitàe, ove necessario, lo sviluppo di capacità di difesa”. I governi, nel presentare i loro piani, dovranno spiegare come saranno effettuati gli investimenti nei settori prioritari dell’Ue delle transizioni climatiche e digitali, della sicurezza energetica e della difesa.

Aver raggiunto questo compromesso è molto positivo”, sottolinea Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia. “C’è uno spazio di investimenti molto maggiore per le priorità dell’Unione europea”, vale a dire la doppia transizione. Insomma, “le nuove regole migliorano quelle attuali”.

Non sono di questo avviso però gli europarlamentari italiani. Nessuna delegazione vota a favore del nuovo Patto. Il Pd si astiene, “immagino più per ragioni di politica interna”, commenta Gentiloni. Gli esponenti dei partiti di maggioranza si astengono, salvo respingere la mozione che chiedeva di respingere l’accordo inter-istituzionale e affossare di fatto il nuovo patto. Democratici e 5 Stelle chiedono la testa del ministro dell’Economia. Con la loro astensione di FdI, Lega e FIsfiduciano di fatto il ministro Giorgetti che lo aveva negoziato in Europa”, incalza Mario Furore (M5S), mentre il capo delegazione dei dem, Brando Benifei, invita lo stesso Giorgetti a “trarre le conclusioni del caso”.

Patto di stabilità, Giorgetti: “E’ un compromesso, vittoria italiana sul Pnrr”. Opposizioni all’attacco

La riforma del Patto di stabilità e crescita europeo continua a infiammare lo scontro politico in Italia. Come richiesto dalle opposizioni, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si presenta in commissione Bilancio alla Camera per una informativa sulla legge di Bilancio 2024. Ma, a dispetto delle indiscrezioni della vigilia, non si sottrae (sarebbe stato forse difficile fare il contrario) alle domande sull’accordo raggiunto solo pochi giorni fa in Ecofin, dopo un negoziato difficile, durato mesi, dal quale il nostro Paese non sembra essere uscito senza ‘graffi’.

Il responsabile del Mef ricorda che si tratta di un compromesso, senza il quale “dal 1 gennaio sarebbero tornate in vigore le vecchie regole scritte col Fiscal Compact”. Quindi, “da questo punto di vista è stato fatto un passo avanti”. Poi, però, ammette che rispetto alla proposta originaria della Commissione Ue può essere visto anche come un passo indietro, ma “la valutazione la faremo tra qualche tempo”, quando si saranno dispiegati gli effetti. Anche se, chiarisce, “il 2024 non sarà toccato dalle nuove regole”, perché il nuovo Patto “non può che partire dal 2025”.

Alle critiche ricevute risponde a tono: “Abbiamo ottenuto che le spese del Pnrr siano ritenute leggibili a livello europeo, questo è il successo italiano che trovate in qualche modo nel Patto di stabilità”. Ma, avverte Giorgetti, la clausola di allungamento del Patto da 4 a 7 anni è per coloro “che rispettano il Piano in tutto: negli investimenti ma anche nelle riforme“.

Il passaggio che accende lo scontro con le opposizioni, però, è quello sulle misure varate in questi ultimi anni, anche a causa della crisi economica provocata dalla pandemia e che ha imposto interventi drastici e non convenzionali. Quello che Giorgetti lamenta è una mancata visione d’insieme dei suoi predecessori: “Un concetto deve essere chiaro, il dibattito è viziato dall’allucinazione psichedelica che abbiamo vissuto negli ultimi quattro anni in cui abbiamo pensato che gli scostamenti, debito e deficit si potessero fare senza tornare a un sistema di regole”. Parla di disciplina il responsabile del Mef, poi affonda il colpo: “Ci siamo assuefatti a questo ‘Lsd’ preso in questi anni“.

Parole che scatenano la rabbia degli avversari politici. “La premier Giorgia Meloni si renda conto delle parole pronunciate oggi in audizione da Giorgetti”, tuona il presidente dei senatori M5S, Stefano Patuanelli. Per il ministro dell’Economia “la sospensione del Patto di stabilità è stata solo un’allucinazione collettiva e non un’occasione per cambiare in modo strutturale le regole verso una maggiore integrazione e solidarietà europee”, commenta la capogruppo Pd alla Camera, Chiara Braga. Che aggiunge: “Ora dà lezioni contro il debito e accetta il Patto di stabilità dopo aver messo l’Italia nelle condizioni di non contare nulla e di far pagare al Paese a breve il prezzo di un compromesso che è passato sulla testa del governo e della Meloni“.

La partita ovviamente non si esaurirà qui. L’impressione è che lo scontro sia solo l’inizio di una lunga campagna elettorale che porterà alle europee del giugno prossimo. In attesa, ovviamente, di vedere che effetti avrà il nuovo Patto di stabilità sull’Italia.

Ue, accordo su riforma Patto di stabilità. Giorgetti: “Regole più realistiche”

Le transizioni verde e digitale sono salve e non sono in discussione. Gli Stati avranno modo e tempo di poter spendere per quelle che sono le grandi priorità dell’agenda a dodici stelle. Ma il percorso di rientro dagli sforamenti di deficit e debito sono chiari, vincolanti, e impegnativi. I ministri dell’Economia e delle finanze trovano l’accordo sulla riforma del patto di stabilità. “Una buona notizia per l’economia europea”, ragiona ed esulta a voce alta Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia, preoccupato per un calendario che vede il 2023 agli sgoccioli e la necessità di ridare certezze a investitori e mercati. Ma questa buona notizia rischia di non esserlo troppo per Paesi come l’Italia, con i conti più in disordine di altri. Tra le salvaguardie introdotte al nuovo patto i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1%, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60% e il 90% dovranno tagliarlo di uno 0,5% l’anno.

L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito. Non solo. Come tutti dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra salvaguardia, cara ai tedeschi, che prevede di creare margini di spesa preventivi. Cancellare i tetti massimi nei rapporti deficit/Pil e debito/Pil al 3% e al 60% non è possibile perché incardinati nei trattati sul funzionamento dell’Ue. Restano inevitabilmente i punti di riferimento, con una novità: l’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3% deve ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5% così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti. Certo, resta ferma la possibilità per gli Stati di scegliere se intraprendere una traiettoria di riduzione a quattro o a sette anni, con un carico meno duro di lavoro. Per chi è oltre la soglia del 3% del deficit/Pil l’aggiustamento richiesto è dello 0,4% l’anno in quattro anni, che diventa dello 0,25% l’anno sui sette anni.

L’Italia ottiene comunque una clausola transitoria che tiene conto dell’aumento del costo degli interessi sul ripagamento dei titolo di debito pubblico a seguito dell’innalzamento dei tassi operato dalla Bce. Stabilito che fino al 2027 le regole di bilancio comuni saranno applicate con flessibilità, con la Commissione che terrà conto del maggior onere dovuto all’aumento dei tassi senza così incidere sui margini di spesa, soprattutto utili alla doppia transizione. “Ci sono alcune cose positive e altre meno”, il bilancio tracciato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.L’Italia ha ottenuto molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo”. Magari non è il libro dei sogni, ma “abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi”.