Ecco le 9 piante che respingono gli insetti: i consigli degli agronomi

In queste settimane oltre a fare i conti con il caldo torrido, i romani stanno combattendo anche con la presenza di insetti fastidiosi e infestanti come le zanzare, i calabroni e le vespe. Per tenerli distanti dalle nostre case, terrazze e giardini non sempre si deve ricorrere alla chimica, ma si possono utilizzare alcuni tipi di piante che funzionano anche come repellenti naturali per questi insetti assolutamente indesiderati“. E’ quanto spiega Flavio Pezzoli, presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (ODAF) della provincia di Roma. “Ognuna delle piante in questione – aggiunge Pezzoli – possiede particolari caratteristiche ed esigenze di cura, ma tutte condividono la capacità di respingere naturalmente gli insetti senza dimenticare la bellezza e la varietà che possono donare agli ambienti“.

Ecco le 9 piante che respingono naturalmente vespe e calabroni dai vostri spazi verdi e che possono essere reperite presso qualsiasi vivaio della città:

MENTA – La menta è una delle piante più efficaci per tenere lontane le vespe. Cresce rigogliosamente e, oltre ad essere utile in cucina per preparare rinfrescanti infusi, emana un aroma pungente che respinge non solo le vespe, ma anche ragni, formiche e zanzare.

CITRONELLA – La citronella è conosciuta soprattutto per la sua capacità di allontanare le zanzare, ma è altrettanto efficace contro le vespe. Ha bisogno di un clima caldo per crescere bene e non tollera il gelo, quindi è perfetta per le regioni mediterranee. Anche se l’odore può non essere gradito a tutti, è sicuramente un’arma potente contro molti insetti indesiderati.

AURONE – L’aurone, noto anche come artemisia del limone, è una pianta meno conosciuta ma molto efficace. Cresce formando cespi folti e rilascia un profumo di limone che tiene lontane diverse specie di insetti, comprese le vespe. Non è una pianta che troverete spesso nei giardini, ma vale la pena considerarla per l’ottima capacità repellente.

LAVANDA – La lavanda è una pianta dal profumo intenso che piace molto alle api, meno alle vespe. Anche se può richiedere qualche cura in più, il suo odore inebriante è un deterrente naturale per le vespe. Inoltre, il miele di lavanda è uno dei migliori, quindi coltivarla può avere anche benefici aggiuntivi.

PELARGONIO – I pelargoni, simili ai gerani, sono un’altra ottima scelta per respingere le vespe. Producono citronellolo, una molecola dalle proprietà repellenti che è molto efficace contro le vespe e le zanzare. Per un effetto ancora più potente, provate a schiacciare le foglie e disporle in ciotole sul tavolo del giardino.

GERANIO – I gerani non sono solo decorativi, ma anche utili per tenere lontane le vespe. Fioriscono da marzo a settembre, perfettamente in linea con la stagione delle vespe. Se curati correttamente, possono durare per anni, fornendo un’efficace barriera naturale contro gli insetti indesiderati.

ASPERULA – L’asperula è una pianta meno conosciuta, ma molto efficace nel respingere le vespe grazie al suo odore particolare. Preferisce le zone ombreggiate e può formare un bellissimo tappeto bianco ai piedi degli alberi da frutto. Potreste anche usarla per fare dei piccoli mazzi di fiori da posizionare in casa, per un tocco decorativo e funzionale.

ASSENZIO – L’assenzio è una pianta erbacea perenne con un fogliame profumato che tiene lontane le vespe e altri insetti. È spesso usata in cucina o per la produzione di liquori, ma il suo potere repellente la rende una scelta eccellente per chi vuole creare un giardino libero da insetti.

PIANTA DI POMODORO – Le piante di pomodoro sono una scelta meno comune per un terrazzo, solitamente più adatta agli orti, ma sorprendentemente efficace. Le vespe non sopportano l’odore delle foglie di pomodoro, quindi piantare qualche piantina sul terrazzo non solo aggiungerà un tocco di originalità, ma vi fornirà anche pomodori freschi e deliziosi.

In Inghilterra l’arca di Noè per salvare le piante: è la Millennium Seed Bank

I caveau della Millennium Seed Bank (Msb) possono resistere a inondazioni e bombardamenti e si trovano sotto terra, dove la temperatura è pari a -20°C. Al loro interno c’è un vero e proprio tesoro. Niente oro e gioielli, ma ben 40mila specie di semi di piante selvatiche provenienti da tutto il mondo, molte delle quali in via di estinzione. E’ una corsa contro il tempo perché, secondo gli scienziati, due specie vegetali su cinque sono a rischio. Questa speciale banca, che si trova nella campagna inglese a sud di Londra, è la più grande del mondo per quanto riguarda la raccolta di semi.

Per il documentarista David Attenborough, un’autorità nel campo delle scienze naturali, la MSB è “forse la più importante iniziativa di conservazione mai realizzata“. Mentre il professor John Dickie, responsabile del progetto, spiega che “l’obiettivo è quello di conservare le specie selvatiche attraverso i semi, per evitare che si estinguano a lungo termine“. Il ricercatore settantenne segue l’Msb, inaugurato nel 2000 per celebrare il l’inizio del nuovo millennio, fin dalla sua nascita. All’interno sono conservati in totale 2,5 miliardi di semi: sono di diverse forme, colori e dimensioni. Appartengono a 40.020 specie diverse e provengono da 190 Paesi. Dentro questi speciali caveau è conservato quasi il 20% della flora mondiale. La priorità, ovviamente, ce l’hanno le piante a rischio, in particolare quelle minacciate dai cambiamenti climatici. Ma vi si possono trovare anche semi di piante endemiche, che si trovano solo in una determinata area geografica, e di quelle utili alla popolazione dal punto di vista medico o economico.

Le specie vegetali sono minacciate per diversi motivi, soprattutto dal cambiamento di destinazione d’uso dei terreni per l’agricoltura e, sempre più spesso, dai cambiamenti climatici“, spiega John Dickie. “Alcune piante si adatteranno, altre no. Almeno saranno qui, piuttosto che non esistere affatto“. Ogni settimana il deposito riceve nuovi semi da tutto il mondo. E poi inizia il processo di ‘salvataggio’. “La nostra conservazione delle specie selvatiche si basa sulla tecnologia già utilizzata per le specie coltivate“, dice John Dickie. “Non si tratta di nulla di complicato: i semi si asciugano, si puliscono e poi si congelano per essere conservati per decenni, probabilmente per secoli“.

Ogni seme ha una propria carta d’identità, con il nome, il Paese d’origine e la data di arrivo all’MSB. I sotterranei, costruiti per resistere a inondazioni, bombardamenti e radiazioni, contengono i vasi di vetro con all’interno i semi. Gli scienziati entrano vestiti come se si trovassero in una base al Polo Nord. La più grande collezione di semi appartiene alla famiglia delle orchidee. Ma ci sono anche piante rare, come la ninfea più piccola del mondo o la Deschampsia antarctica, nota anche come erba dei capelli antartica, una delle due piante da fiore native del continente ghiacciato. L’Msb, che riceve finanziamenti pubblici e donazioni, collabora con 90 Paesi. Alcuni, come l’Indonesia, si rifiutano di condividere i loro semi con l’MSB, ma li tengono sul loro territorio. Altri, invece, sembrano essere fuori portata. Uno dei pochi rimpianti di John Dickie è che non ci sia uno scambio con l’Iran.

Il flashmob di Legambiente: “Respiriamo grazie alle piante, non soffochiamole”

Bari, Bergamo, Firenze, Genova, Milano, Padova, Perugia e Torino. Da queste città arrivano gli scatti dei volontari di Legambiente che sono scesi in strada muniti di maschera antigas collegata ad una piccola teca contenente una piantina. “Respiriamo grazie a loro. Non soffochiamole”, è il messaggio che gli attivisti hanno voluto lanciare in occasione dei flash mob realizzati nell’ambito del progetto LIFE MODERn (NEC).

L’inquinamento atmosferico prodotto in città dalle attività antropiche genera un impatto negativo anche negli ecosistemi remoti come le foreste e le acque dolci. Per monitorare al meglio gli effetti degli inquinanti sugli ecosistemi fondamentali per la vita sul Pianeta, questo progetto europeo guidato dall’Arma dei Carabinieri – Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari CUFAA, e supportato da CNR, CREA, ENEA, Legambiente, TerraData srl environmetrics e le Università di Camerino e di Firenze, ha l’obiettivo di raddoppiare i siti attualmente monitorati attraverso la Rete Nec e incrementare il numero degli indicatori considerati.

Secondo l’ultimo rapporto Mal’aria di Legambiente, che ha monitorato la qualità dell’aria nell’anno 2022, i livelli di inquinamento atmosferico in molte città sono ancora troppo alti e lontani dai limiti normativi, più stringenti, previsti per il 2030. Rispetto a questi nuovi target europei, infatti, ad oggi sarebbero fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. Tra queste, dati preoccupanti sono stati registrati in alcune località in cui i volontari dell’associazione hanno realizzato un piccolo flashmob in strada con le maschere antigas collegate alle piantine: a Milano e Torino (media annuale di 35 microgrammi/metro cubo) e Padova (32 microgrammi/metro cubo) le situazioni più difficili per il PM10; per l’NO2 valori più alti riscontrati a Firenze (30 microgrammi/metro cubo) e Bergamo (28 microgrammi/metro cubo).

L’inquinamento atmosferico che danneggia pesantemente la nostra salute e compromette la qualità della nostra vita, influisce anche sulla biodiversità, ma, mentre un quadro delle emissioni di inquinanti atmosferici a livello nazionale è ormai sufficientemente strutturato e basato su una solida rete di siti di monitoraggio, lo studio degli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi necessita di maggiori studi e strumenti come un’adeguata rappresentatività dei diversi ecosistemi e una sinergica integrazione tra i metodi e i risultati ottenuti da diversi istituti di ricerca.

Ad oggi la Rete NEC conta 10 siti, 6 forestali e 4 di acqua dolce. Tra i parametri attualmente considerati negli ecosistemi forestali ci sono lo stato di salute e la vitalità degli alberi, le deposizioni atmosferiche, la chimica delle soluzioni circolanti nei suoli, la chimica fogliare e la biodiversità di piante e licheni. Nei siti di acqua dolce sono invece considerati i parametri chimici dell’acqua come i livelli di acidità, il solfato, i nitrati, oltre alle comunità a macroinvertebrati e diatomee. Grazie al progetto, saranno considerati ulteriori 18 indicatori, attualmente al vaglio dei partner del progetto, tra cui la diversità della fauna del suolo, di pipistrelli e uccelli e il DNA ambientale, la trasparenza e la qualità dell’aria e una serie di indicatori legati alla diversità funzionale delle comunità.

Vento e microplastiche e minacciano le piante

Non solo dalle microplastiche accumulate nel suolo, una pianta deve difendersi anche da quelle diffuse dal vento. E, peggio ancora, dalle microplastiche rese ancora più tossiche dalle alte temperature e dall’azione dei raggi del sole.

È il tema di uno studio appena realizzato dall’università di Firenze. Una parte dello stesso team aveva già lavorato, un anno fa, a un altro esperimento per testare gli effetti delle microplastiche rilasciate nel suolo sulla crescita degli ortaggi (zucchine, in quel caso), ma ora per la prima volta − argomenta la ricerca − i risultati riportano prove degli effetti negativi sulla salute delle piante dell’inquinamento atmosferico da microplastiche.

Per simulare l’azione dell’aria nel trasporto delle microplastiche, le piante esaminate (del genere Tillandsia) sono state disposte all’interno di box progettati ad hoc, dove un sistema di ventole e di ricircolo dell’aria provvedeva a tenere sempre sospese le particelle. Inoltre, durante l’esperimento i polimeri sono stati ‘invecchiati’ artificialmente attraverso irradiazione UV e calore, per stimolare i processi a cui le particelle andrebbero normalmente incontro in atmosfera.

Risultato: una forte riduzione della crescita, ma anche un’alterazione dello stato fisiologico delle piante, con meno efficienza durante la fotosintesi e cambiamenti nei nutrienti contenuti nei tessuti della pianta.

Le plastiche somministrate sono fra le più comuni. Policarbonato (PC), polietilene (PE), polivinilcloruro (PVC), polietilentereftalato (PET). Tutti materiali contenuti normalmente nell’edilizia, nelle bottiglie di plastica, negli elettrodomestici, negli imballaggi. Ma ridotti, in questo caso, a meno di un micron di grandezza. Il più tossico? il PCV. Ma dopo il processo di invecchiamento il policarbonato diventa il più dannoso.

I prossimi esperimenti − spiegano dal gruppo di ricerca − potrebbero rivolgersi verso piante edibili, e utilizzare microplastiche di dimensioni ancora minori. Sono risultati che certificano la minaccia dell’inquinamento atmosferico da micro e nano plastiche: la loro dispersione dovrà essere monitorata per evitare che entrino in maniera massiva nella nostra catena alimentare attraverso le specie vegetali destinate al consumo animale ed umano.

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L’acquaponica di The Circle ‘accoppia’ pesci e insalata

Nel 1991 Gino Paoli cantava: “Eravamo quattro amici al bar/che volevano cambiare il mondo…”. È suggestivo quindi pensare che le mamme dei quattro fondatori di The Circle, l’anno prima che nascessero, possano aver ascoltato questa canzone e aver trasmesso la voglia di fare ai figli che sarebbero nati da lì a poco. Perché Thomas Marino, Valerio Ciotola, Simone Cofini e Lorenzo Garreffa, nati appunto tutti nel 1992 (“in tre abbiamo già compiuto 30 anni, ne manca solo uno” spiega Thomas) il mondo lo vogliono cambiare davvero: con la loro azienda nata nel 2017, The Circle, di base a Roma che opera nel campo della coltura acquaponica.

I QUATTRO AMICI UNITI DALLA PASSIONE PER IL GREEN

Abbiamo fatto percorsi universitari in parte comuni e in parte diversi – racconta Thomas -. Alcuni di noi però si conoscevano già dai tempi delle superiori”. Valerio è dottore in biotecnologie industriali. “Perdutamente innamorato di scienza, pesca e misticismo – si racconta sul sito dell’azienda -. Ossessionato dalle potenzialità energetiche di materiali di scarto e microalghe, è il presidente dell’azienda e un punto di riferimento necessario per il coordinamento di tutto il lavoro”. Anche Simone è dottore in biotecnologie e studioso di organismi vegetali. Cresciuto da bambino in estremo oriente è razionale e con i piedi per terra. Lui è il direttore di tutta l’impiantisca The Circle e ha curato anche lo sviluppo di tutta la sensoristica aziendale. Thomas invece è dottore in Scienze politiche. Viaggiatore, scrittore e surfista ha imparato con il tempo l’importanza di pensare ‘outside the box’, fuori dagli schemi. Per The Circle cura tutta la comunicazione e lo sviluppo strategico. Infine c’è Lorenzo, dottore in biotecnologie industriali. “Tatuaggi e faccia da bravo ragazzo – si legge nella sua scheda -, è in grado di dare vita a qualsiasi organismo presente in azienda. Parla poco ma quando lo fa parla giusto. Meticoloso e ascoltatore cura ogni aspetto della nascita e della crescita delle nostre colture”.

COME È NATA L’IDEA DI THE CIRCLE

Terminata l’università ci siamo proposti di rispondere a problemi che vedevano intorno a noi e che risultavano sempre più evidenti”, spiega Thomas. “In ambito agricolo si è sempre parlato di mancanza di terre coltivabili e soprattutto di acqua. Senza dimenticare la domanda di maggiore cibo, più sano, prodotto in sempre meno spazio e con il minor ricorso possibile ai concimi chimici”. Da qui è nata l’idea di The Circle, un modello di produzione agricola sostenibile. La parola magica è ‘acquaponica’. Si tratta di una tecnica con la quale vengono accoppiati l’allevamento di pesci e la produzione di insalate ed erbe aromatiche di altissima qualità. “Con questo sistema garantiamo una maggiore resa e una maggiore velocità di crescita delle piante coltivate – prosegue Thomas -. Coltiviamo le migliori varietà vegetali senza generare alcun tipo di scarto, riuscendo a valorizzare ogni rifiuto reintroducendolo nel nostro ciclo produttivo. La nostra struttura è capace di superare il concetto di biologico e di impatto zero, arrivando a essere un valore aggiunto per l’ambiente”. The Circle mira infatti a diventare l’esempio del nuovo modo di fare impresa: attenta all’ambiente, che usa tecnologie avanzate, e che offre sul mercato un prodotto di qualità superiore. “La nostra visione era quella di creare un modello di sviluppo sostenibile e competitivo, che pone alla sua base attenzione all’ambiente e attenzione al cliente”, chiarisce Thomas.

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COME FUNZIONA L’ACQUAPONICA

Ma, in sostanza, in cosa consiste la coltura acquaponica? The Circle possiede vasche di pesci di tipo ornamentale come carpe, sia giapponesi che locali, e pesci rossi. Nell’habitat acquatico i pesci producono scarti, sotto forma di ammoniaca e altri scarti organici. Grazie ai batteri queste sostanze diventano azoto, particolarmente nutriente per far crescere le piante. In un circolo virtuoso, dunque, questa acqua viene utilizzata per annaffiare e concimare le piante e quella che non viene assorbita dalle radici ritorna in circolo. L’azienda dei quattro soci si articola infatti in sorte di serre dove le piante aromatiche che vengono coltivate crescono su supporti in verticale. In questo modo l’acqua viene pompata dall’alto, con sistemi a bassissimo consumo elettrico e dotati di sensori, per scorrere e innaffiare i germogli e poi scendere verso il basso dove, quella non assorbita, viene raccolta e rimessa in circolo. “In questo modo risparmiamo il 90% di acqua”, spiega Thomas. Hanno calcolato infatti che vengono risparmiati 135 litri d’acqua per kg di prodotto e ben 33.000 kg di CO2 non viene immessa in atmosfera ogni anno. Senza dimenticare l’abbattimento dell’utilizzo di diserbanti, fertilizzanti di sintesi e antiparassitari. Con questo sistema hanno notato inoltre una maggiore resa e una maggiore velocità di crescita delle piante coltivate. In azienda i quattro trentenni producono prevalentemente insalata, rucola, spinaci e erbe aromatiche come basilico greco, prezzemolo e altre varietà come erba ostrica. I loro clienti sono i ristoranti di Roma che ricorrono a The Circle per avere in tavola un ‘fresco’ buono e sostenibile. Quello che resta invenduto viene trasformato in pesto al momento distribuito in quattro supermercati di Roma oppure nello shop on line del loro sito. Ultimo aspetto, ma non meno importante, l’azienda in questi primi anni è riuscita a dare lavoro a dieci persone: un altro esempio di come con un’idea e voglia di fare si possa davvero contribuire a cambiare il mondo.

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