Giornata riciclo, Pichetto: “Italia è leader e in Ue ha fatto valere le sue ragioni”

Italia leader di circolarità. Nella Giornata internazionale del riciclo, iniziativa nata nel 2018 dalla Global Recycling Foundation, il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, rivendica i risultati ottenuti dal governo. A partire dal negoziato europeo sul regolamento imballaggi, dove Roma, sottolinea il ministro, “ha fatto valere le proprie ragioni e lavorato senza sosta per dare valore a questo modello vincente, che ci ha permesso in grande anticipo di traguardare la maggior parte degli obiettivi continentali”. L’impegno è quello di continuare a battersi “con determinazione”.

Il Mase è impegnato, attraverso il Pnrr, nella realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti e ammodernamento degli esistenti, arrivando a finanziare, in particolare nelle Regioni con un deficit impiantistico, 1085 progetti. A questi si aggiungono i ‘progetti Faro di economia circolare’ su specifici materiali, come carta e cartone, rifiuti elettrici ed elettronici, plastici, tessili. La giornata che si celebra oggi, osserva Pichetto, “ci ricorda anche quanto conti investire nella sensibilizzazione e nella corretta informazione di cittadini e imprese, perché considerino il riciclo come un contributo diretto alla salvaguardia dell’ambiente: una sfida globale come questa non si decide a tavolino ma ha bisogno di scelte consapevoli quotidiane e di comportamenti responsabili sul territorio”.

Nel 2024, secondo il Conai, la percentuale di riciclo degli imballaggi nel Paese dovrebbe arrivare a sfiorare il 75%: oltre 10 milioni e 300.000 tonnellate di rifiuti di imballaggio troveranno una seconda vita, ossia il 74,9% dell’immesso al consumo, che nel 2024 si prevede pari a circa 13 milioni e 900.000 tonnellate.

Leggero calo, ma con alcuni settori in crescita, per il riciclo dei Raee, i rifiuti elettrici ed elettronici. I numeri della raccolta 2023 li pubblica il consorzio Ecolamp: sono 2.599 le tonnellate di Raee raccolte e smaltite dal consorzio durante l’anno, di cui il 52% appartiene alla categoria delle sorgenti luminose esauste e il 48% è rappresentato da piccoli elettrodomestici, elettronica di consumo, apparecchi di illuminazione e pannelli fotovoltaici giunti a fine vita.

La carta è una delle punte di diamante del riciclo. Per sensibilizzare i cittadini sul tema, Unirima interviene in Senato a una iniziativa del senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo, componente della commissione Ambiente. Gli obiettivi fissati al 2025 dall’Ue per il riciclo degli imballaggi cellulosici sono già superati dal 2009, con ben sedici anni di anticipo, grazie a una rete impiantistica capillare costituita da 700 impianti. “Adesso ciò di cui abbiamo bisogno è che si facciano tutti gli sforzi necessari per abbattere le barriere non tecnologiche che continuano a gravare sulle imprese“, avverte il direttore generale di Unirima, Francesco Sicilia. Si riferisce alle procedure di rinnovo delle autorizzazioni ambientali, alla difesa commerciale delle imprese, al mancato rispetto dei principi di concorrenza. Quanto ai regolamenti europei, bene per Sicilia la difesa da parte del governo in Ue di uno dei principi cardine dell’economia circolare, l’end of waste: “L’Italia ha fatto da apripista”, scandisce.

“Ci siamo dotati di un Piano Nazionale per la gestione dei rifiuti che detta i criteri da utilizzare per l’elaborazione dei piani regionali, nel rispetto del riparto costituzionale”, spiega il sottosegretario al Ministero dell’Ambiente e la Sicurezza energetica, Claudio Barbaro, che ricorda anche l’aggiornamento del Piano per la Prevenzione dei Rifiuti che, a breve, verrà pubblicato. Per De Priamo è “fondamentale che ci sia una sorta di patto tra istituzioni e imprese virtuose, che fanno sì che l’Italia sia all’avanguardia su questi temi“. Il senatore invita a non “ideologizzare” i temi del riuso in maniera sbagliata. Sull’ambiente è “necessario mettere da parte il furore ideologico in favore dello sviluppo dell’economia circolare”, anche per Silvia Fregolent, senatrice di Italia Viva e membro della commissione Ambiente del Senato. “Nella filiera del riciclo – ricorda – il nostro Paese è leader in Europa e il tentativo di cancellarlo in favore del riuso era miope. Per una vera transizione ecologica non servono gli slogan, ma un impegno serio”.

Allarme dell’europarlamento: Troppi detriti nello spazio, serve una green economy anche in orbita

L’Unione europea ha un problema con le discariche. Non quelle di terra, per cui l’Italia si è contraddistinta, e non in bene, con procedure d’infrazione. C’è una vera e propria discarica spaziale, fatta di tanti, tantissimi residui che adesso iniziano a diventare un problema. Messa in orbita di satelliti, missioni di osservazione, trasferimento di astronauti: un’attività che adesso presenta il conto, che rischia di essere molto alto. Tanto da far suonare il campanello d’allarme. Ad attivarlo il Centro studi e ricerche del Parlamento europeo, in un’analisi dedicata al tema della sostenibilità in orbita. Tutta da rivedere.

“Oggi, 128 milioni di oggetti più grandi di 1 mm (di cui 34.000 sono più grandi di 10 cm e 900.000 più grandi di 1 cm) ruotano nello spazio a 7 km/s”, denuncia il documento. Un accumulo di detriti che “potrebbe ostacolare la nostra futura esplorazione e sfruttamento dello spazio” tanto che “nel prossimo futuro l’osservazione dell’universo dalla Terra potrebbe diventare impossibile”. Già. Perché, spiegano i realizzatori della pubblicazione, i detriti spaziali aumentano la luce nel cielo e così facendo “ostacolano l’osservazione astronomica e danneggiano la radiofrequenza, entrambe le quali necessitano di un cielo buio e silenzioso”. Da qui l’invito, a livello europeo, a rimettere mano alla ‘space-economy’, in particolare lavorando su “ulteriori programmi di ricerca sulla sostenibilità spaziale, ad esempio per valutare l’impatto sull’atmosfera superiore della combustione dei metalli durante i rientri dei satelliti”.

Un’opzione che non sembra più rinviabile, visto che già “attualmente più di 8.000 veicoli spaziali creano detriti scontrandosi con i detriti spaziali in orbita attorno alla Terra” e in prospettiva questo traffico in orbita è destinato ad aumentare. L’industria spaziale, soprattutto la produzione di satelliti, la produzione di apparecchiature di supporto a terra e l’industria dei lanci, “è in rapida crescita”. Questa corsa allo spazio e alla messa in orbita “crea sfide di sostenibilità ambientale come l’impatto dei rientri o l’inquinamento luminoso che ostacola l’osservazione astronomica e gli impatti ambientali sulla Terra stessa”. Ecco perché occorre “migliorare la sostenibilità spaziale”, raccomanda l’analisi del centro studi e ricerche dell’Europarlamento. Perché ciò sia possibile “sono necessarie un’azione politica e una migliore regolamentazione dei lanci di satelliti commerciali”, e in tal senso “questo regolamento dovrebbe essere incorporato nella politica ambientale dell’Ue”.

La sfida, però, sarà soprattutto economica. Al netto di iniziative legislative serviranno risorse. “Una posizione europea di impatto richiederebbe investimenti nell’innovazione e sostegno alle start-up e alle aziende che possono svolgere un ruolo nell’economia spaziale”. Si suggerisce l’introduzione di un sistema di etichettatura sostenibile. “L’uso sistematico di strumenti di valutazione della sostenibilità spaziale potrebbe aiutare a incoraggiare gli attori spaziali a progettare e realizzare missioni spaziali più sostenibili e più responsabili per la sostenibilità a lungo termine dell’ambiente spaziale”.

Dalla prima all’ultima ape: ecco come il miele prodotto in discarica certifica la ‘salute’ di Barricalla

Sono ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno dell’ambiente in cui vivono, oltre a a preservare la biodiversità. Le api da tempo sono utilizzate anche per monitorare lo stato di salute di un luogo ed è ciò che accade a Barricalla, il principale impianto di smaltimento in Italia per i rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. Si trova a Collegno, alle porte di Torino, in un’area che ospitava una cava di ghiaia e che oggi è nel nodo di congiunzione tra la tangenziale e l’ingresso ovest della città.

E qui, dal 2000, è iniziato l’allevamento delle api. Quattro arnie all’interno dei terreni della discarica, seguite da un apicoltore che ne monitora costantemente lo stato di salute.

“Le api in Barricalla – spiega a GEA il vicepresidente dell’impianto, Alessandro Battaglino – servono essenzialmente per monitorare la qualità dell’ambiente circostante. Noi andiamo ad analizzare il miele che viene prodotto da queste api e che viene confrontato con quello prodotto in una zona ‘bianca’”, cioè un’area rurale, “per comprendere se all’interno ci siano delle sostanze che possono essere considerati inquinanti”.

Le essenze su cui le api vanno a bottinare “sono abbastanza circostanti il nostro impianto, quindi questo ci permette proprio di comprendere se dai rifiuti che vengono conferiti in Barricalla è scappato qualcosa che non doveva scappare. In questi anni, mai nulla è stato trovato dentro il miele”.

Le sostanze che si trovano nel miele prodotto dentro l’impianto sono contenute anche in quello prodotto nella zona rurale. Un ritratto ‘chimico’ che racconta, dice Battaglino, di come “la zona della Pianura Padana sia satura di alcuni di quegli elementi che sono essenzialmente figli delle combustioni derivanti dal parco veicolare e dagli impianti di riscaldamento che comunque quindi caratterizzano l’area della nostra zona”.

E proprio su questi insetti Barricalla ha costruito la sua ultima campagna di comunicazione con il cortometraggio animato ‘L’ultima ape’, prodotto da Mu film di Andrea Deaglio e interamente disegnato a mano da Monica Torasso. Il corto utilizza l’animazione per sensibilizzare gli spettatori su alcune delle più importanti urgenze ambientali come la difesa delle api, la lotta alle ecomafie, la necessità di impianti di smaltimento sicuri per tutti quei rifiuti che non possono essere riutilizzati, riciclati e valorizzati, la scelta di stili di vita sostenibili. La scommessa era riuscire a realizzare un racconto diretto e coinvolgente, capace di condensare in pochi minuti temi di grande rilevanza.

Sono davvero biodegradabili? La vita delle cannucce nel mare è di 8-20 mesi

Le cannucce di plastica che finiscono negli ecosistemi marini rendono antiestetiche le spiagge e creano problemi a tartarughe e uccelli marini. Per questo motivo, le persone preferiscono sempre di più le alternative commercializzate come biodegradabili o compostabili. Ma i microrganismi marini riescono degradare le cannucce? Uno studio pubblicato su ACS Sustainable Chemistry & Engineering rivela che alcune cannucce commerciali in bioplastica o carta potrebbero disintegrarsi entro otto o 20 mesi negli oceani.

Per combattere l’inquinamento da plastica, alcune regioni degli Stati Uniti hanno limitato la presenza di polimeri tradizionali, come il polipropilene (PP), nelle cannucce. Queste politiche hanno fatto crescere il mercato degli articoli monouso in carta o bioplastica. Tuttavia, i materiali sostitutivi devono mantenere la loro funzionalità, in modo che non si sfaldino al primo sorso, ma si degradino se finiscono nel terreno, nell’acqua dolce o in quella salata. Sebbene la prossima generazione di bioplastiche potrà essere in grado di soddisfare entrambi i requisiti, si sa poco su quanto tempo i prodotti realizzati con questi materiali durino nell’oceano prima di degradarsi completamente rispetto ad altri materiali. Bryan James, Collin Ward e colleghi dell’American Chemical Society hanno quindi condotto esperimenti utilizzando acqua di mare per studiare la durata ambientale di diverse cannucce e trovare un modo per accelerare la degradazione delle bioplastiche di nuova generazione.

Il team ha scoperto che dopo 16 settimane le cannucce di carta hanno perso il 25-50% del loro peso iniziale. Secondo i ricercatori, questi prodotti dovrebbero disintegrarsi completamente negli oceani costieri entro 10 mesi per la carta, 15 mesi per il PHA (poliidrossialcanoati) e 20 mesi per il CDA.

Utilizzando le stesse condizioni sperimentali, i ricercatori hanno poi esaminato come la modifica della struttura del materiale CDA, da solido a schiuma, abbia influito sulla durata della bioplastica nell’ambiente. Hanno osservato che la schiuma CDA si rompeva almeno due volte più velocemente della versione solida e hanno stimato che una cannuccia fatta con il prototipo di schiuma si sarebbe disintegrata nell’acqua di mare in otto mesi – la durata più breve di qualsiasi altro materiale testato.

Api, fotovoltaico e yoga: ecco come i rifiuti speciali diventano ecosistema

Da una parte il carcere delle Vallette, dall’altra l’impianto di Iren. Poi Villa Cristina e la tangenziale nord. Ma in cima ai lotti già esauriti è impossibile rendersi conto che sotto i piedi ci sono 34 anni di residui di attività umane, una sorta di ‘storia’ della nostra industria e dei nostri consumi. Rifiuti, insomma. Barricalla si trova a Collegno, alle porte di Torino, ed è uno degli 11 impianti in Italia in cui vengono definitivamente sepolti (‘coltivati’ è il termine corretto) i rifiuti pericolosi, cioè quelli che non possono più essere reimpiegati nel ciclo produttivo e che contengono inquinanti, e quelli speciali non pericolosi.

Si tratta di rifiuti solidi e trattati, provenienti principalmente da attività industriali, come ad esempio quelli derivanti dalle demolizioni, o ancora il terreno proveniente da siti contaminati e poi bonificati, le ceneri residue degli inceneritori o l’amianto ampiamente utilizzato in edilizia fino agli anni ‘90. Sono tutti rifiuti che devono essere smaltiti in modo corretto, perché se dispersi potrebbero causare gravissimi danni alle persone e all’ambiente.

Dalla sua apertura negli anni ’80, ogni anno ne sono state smaltite 130mila tonnellate, per un volume complessivo autorizzato di 1,86 milioni di metri cubi articolati in cinque lotti. Qui, per dire, è stato portato ciò che era impossibile trattare diversamente da ciò che restava della Costa Concordia e del ponte Morandi di Genova. E qui si sta per esaurire lo spazio a disposizione, tanto che a pochi chilometri di distanza si sta lavorando per aprire Barricalla2, che dovrebbe entrare in funzione nell’estate del 2025. Il quinto e ultimo lotto, infatti, sta per essere del tutto ‘coltivato’: si tratta di 508.000 metri cubi di rifiuti che sono stati autorizzati nel 2017 e hanno cominciato a essere conferiti a settembre 2018. Mancano ancora 20.000 tonnellate prima che la vasca venga definitivamente sigillata con l’uso di materiali impermeabili come argilla e teli in polietilene ad alta densità. Poi avverrà la riqualificazione, con terreno erboso e numerose essenze arboree autoctone. Proprio come già accaduto agli altri quattro lotti.

Nel 2011 Barricalla ha installato qui il suo primo parco fotovoltaico, per una superficie complessiva di 4680 metri quadri e una potenza di 936 KW. A ottobre 2021 è stato installato il secondo sul quarto lotto, che ha portato la potenza complessiva a 1,6 MW, cioè il fabbisogno annuo di 3000 persone. Si tratta di “opere di recupero ambientale”, dice a GEA Alessandro Battaglino, vicepresidente dell’impianto, “e di una restituzione al territorio di quello che noi comunque in qualche maniera abbiamo fatto nel corso degli anni. Produciamo energia elettrica che poi viene appunto immessa in rete e quindi restituita alle comunità”.

 

Già, il territorio. Le relazioni, assicura Battaglino, sono ottime, sia con chi vive nella zona, sia con le associazioni ambientaliste anche grazie a “tanti momenti di apertura dell’impianto per far toccare con mano ai cittadini” come è fatta la discarica e “i rigidi protocolli” che la governano. Nessun comitato del ‘no’, insomma. Così, in cima alle vasche sigillate e trasformate in collina – che schermano il rumore della città – può capitare che vengano organizzate sedute di yoga al tramonto o che le scuole portino gli studenti per far conoscere loro il ciclo dei rifiuti. In 34 anni, spiega il vicepresidente, “non si sono mai verificati incidenti”, anche perché “qui sono state fatte delle scelte che hanno anticipato quello che poi la normativa ha stabilito come obbligatorio”.

E anche per questo l’impianto è considerato un modello di buone pratiche sia in Italia sia in Europa. “Ogni carico che arriva – dice Battaglino – viene controllato e viene verificato che il materiale conferito sia lo stesso che è stato campionato prima dell’ingresso”. Ogni prodotto, insomma, ha la sua carta d’identità univoca. E qui, inoltre, sottolinea, “i dipendenti hanno un know how che pochi hanno in Italia” e che fa la differenza.

Come ulteriore strumento di controllo dello stato di salute dell’impianto, dal 2000 trovano spazio in Barricalla quattro arnie. Le api, infatti, sono ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno dell’ambiente in cui vivono, oltre a preservare la biodiversità. Il miele prodotto viene confrontato con quello di zone rurali e nei due prodotti, spiega Battaglino, “si trovano le stesse sostanze”.

“Il paradigma dell’ economia circolare – conclude Battaglino – sta funzionando bene per recuperare tutte quelle risorse che la natura non ci darebbe più”, perché sono state esaurite.

Il fotovoltaico nasce sui rifiuti: l’esempio di Barricalla

“Alla chiusura dei lotti esauriti noi costruiamo impianti fotovoltaici, come opera di recupero ambientale. Quindi, al di là di impiantare delle essenze arboree e di piantumare tutto quello che deve essere piantumato sui lotti esauriti, ecco che la costruzione dell’impianto fotovoltaico è anche una restituzione al territorio di quello che noi comunque in qualche maniera abbiamo fatto in corso degli anni. Produciamo energia elettrica che poi viene appunto immessa in rete e quindi restituita alle comunità”. Lo spiega a GEA Alessandro Battaglino, vicepresidente di Barricalla, il principale impianto di smaltimento in Italia per i rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi che si trova a Collegno, alle porte di Torino. Qui si trovano diversi impianti fotovoltaici, la cui potenza complessiva è di 1,6 MW. Una parte dell’energia prodotta viene utilizzata dallo stesso impianto, il resto entra nella rete.

Rifiuti, Battaglino (Barricalla): Impianto modello da 34 anni

“Barricalla è un impianto modello per tanti motivi. Già dalla sua costruzione, 34 anni fa, ha adottato tutte le tecniche e le tecnologie che in qualche modo hanno anticipato le norme diventate obbligatorie. Ad esempio, quando è stato costruito il primo lotto, nella disposizione dei teli, dell’argilla e della ghiaia sono state fatte delle scelte che hanno anticipato quello che poi la normativa ha stabilito come obbligatorio”. Lo dice a GEA Alessandro Battaglino, vicepresidente di Barricalla, il principale impianto di smaltimento in Italia per i rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi che si trova a Collegno, alle porte di Torino. Ma l’impianto, spiega, “è anche un esempio per il rapporto che ha costruito in questi anni con il territorio, con le comunità che vivono” in questa zona. Ad esempio, “sono stati organizzati tanti momenti di apertura dell’impianto per far toccare con mano ai cittadini che vivono qui vicino” come è fatta la discarica e “i rigidi protocolli” che vengono applicati.

“Gestire al meglio l’ingresso dei rifiuti – dice ancora Battaglino – è quello che ha garantito in questi 34 anni che non ci fosse nessun incidente e che nulla di illegale entrasse nell’impianto. Ogni carico che arriva viene controllato, viene verificato che il materiale conferito sia lo stesso che viene campionato prima dell’ingresso. Ogni carico ha la sua carta d’identità: quando il camion arriva questa carta di identità viene controllata così come il campione di rifiuto. Quindi diciamo che Barricalla è un impianto modello per tanti per tanti motivi”.

Rifiuti, Battaglino (Barricalla): Le nostre api certificano la salute dell’impianto

“Le api in Barricalla servono essenzialmente per monitorare la qualità dell’ambiente circostante. Noi andiamo ad analizzare il miele che viene prodotto da queste api e che viene confrontato con il miele prodotto in una zona ‘bianca’“, cioè un’area rurale, “per comprendere se all’interno ci sono delle sostanze che possono essere considerati inquinanti”. Lo dice a GEA, Alessandro Battaglino, vicepresidente di Barricalla, il principale impianto di smaltimento in Italia per i rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. Si trova a Collegno, alle porte di Torino, in un’area che ospitava una cava di ghiaia e che oggi si trova al nodo di congiunzione tra la tangenziale e l’ingresso ovest della città.

Le essenze su cui le api vanno a bottinare, spiega, “sono abbastanza circostanti il nostro impianto, quindi questo ci permette proprio di comprendere se dai rifiuti che vengono conferiti in Barricalla è scappato qualcosa che non doveva scappare. In questi anni, mai nulla è stato trovato dentro questo questo miele”. Le sostanze che si trovano nel miele prodotto dentro l’impianto sono contenute anche in quello prodotto nella zona rurale. Un ritratto ‘chimico’ che racconta, dice Battaglino, di come “la zona della Pianura Padana sia satura di alcuni di quegli elementi che sono essenzialmente figli delle combustioni derivanti dal parco veicolare e dagli impianti di riscaldamento che comunque quindi caratterizzano l’area della nostra zona”.

Rifiuti, Italia leader riciclo in Ue. Pichetto: E’ chiave transizione

Sul riciclo, l’Italia corre. E’ tra i Paesi europei con le migliori performance per la preparazione al riutilizzo e il riciclo sia dei rifiuti urbani che per quelli dei rifiuti di imballaggio.

Realizzare una vera economia circolare significa “salvaguardare il Paese“, evidenzia Gilberto Pichetto, perché consente di “consumare le risorse in modo responsabile e permette di risparmiare energia e ridurre le emissioni“. L’ambizione è, spiega, “fare da traino e condividere le competenze affinché il riciclo sia uno strumento di sostenibilità ambientale, ma anche economica e sociale”. Il riciclo è uno strumento chiave per “renderci indipendenti dai Paesi fornitori di materie critiche, è una nuova sfida“, afferma il ministro. Pensa al litio, al cobalto: “materiali preziosi per le auto elettriche e per le rinnovabili“.

Il tasso di riciclo dei rifiuti, speciali e urbani, ha raggiunto il 72% (a fronte di una media europea del 58%), con punte di eccellenza per gli imballaggi: 10,5 milioni di tonnellate di imballaggi avviate nel 2022 a recupero di materia (erano 9,3 nel 2018), 2 punti sopra al target del 70% previsto dall’Ue al 2030.

Però restano ritardi in alcune filiere (come i Raee) e su nuovi settori (come il riciclo delle batterie e dei pannelli solari). Gli emendamenti alla proposta della Commissione di Regolamento sugli imballaggi approvati dal Parlamento Ue, pongono nuove sfide per rafforzare il riciclo puntando ad aumentare il riutilizzo di imballaggi riutilizzabili, quando il riutilizzo è fattibile e comporta un significativo vantaggio ambientale; non impongono come unico modello quello basato sul deposito cauzionale, ma consentono modelli diversi, con elevate performance, come quello del Conai-Consorzi di filiera, basato sul contributo ambientale pagato dai produttori e dagli utilizzatori.

Il quadro della situazione lo traccia la Conferenza Nazionale sull’Industria del riciclo, a Milano, che presenta il Rapporto ‘Il Riciclo in Italia 2023‘.

L’anno che si sta per concludere, osserva Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, “non è stato un anno facile“: i costi dell’energia alti, le difficoltà di mercato di diverse materie prime seconde e l’incertezza generata da alcune misure contenute nella proposta iniziale del Regolamento imballaggi hanno contribuito, sostiene, ad “alimentare preoccupazioni per molte imprese del settore“, avverte. Le iniziative in Europa, ad ogni modo, hanno inciso e si ritrovano in alcuni degli emendamenti approvati dal Parlamento europeo che, sostiene Ronchi, “ha fatto un buon lavoro“. Ecco perché il nuovo Regolamento “va sostenuto e applicato”.

Il riciclo degli imballaggi ha mantenuto un buon andamento e i tassi di recupero dei rifiuti d’imballaggio si sono assestati ormai su livelli di avanguardia in Europa: carta, vetro e acciaio primeggiano con un tasso di riciclo dell’81%. Gli imballaggi in legno hanno aggiunto un tasso di riciclo del 63%, più del doppio rispetto al 30% previsto dall’ Ue al 2030 e il 97% del materiale legnoso riciclato in Italia viene trasformato in pannelli truciolari utilizzati dall’industria- del mobile e dei complementi d’arredo. Gli imballaggi in alluminio hanno un tasso di riciclo del 74%, bel oltre il 60% previsto dall’Ue per il 2030 e in Italia si produce solo alluminio secondario da riciclo. Mentre il tasso di riciclo degli imballaggi in plastica è al 48,6% rispetto all’ obiettivo Eu al 2030 del 50% e il tasso di intercettazione delle bottiglie in Pet è del 68% lontano dal 77% previsto per il 2030. L’Italia detiene il primato nel riciclo di rottami ferrosi in Europa (18,6 mln ton nel 2022) con il quali produce l’85% del suo acciaio e gli italiani insieme ai tedeschi sono i più ricicloni d’Europa per gli imballaggi con 160Kg/anno a testa Per quanto riguarda altre filiere si registrano scenari differenti. Situazione ancora critica per i RAEE con un tasso di riciclo del 34% contre l’obiettivo del 65% al 2019. Mentre sono buone le performances per gli inerti da costruzione e demolizione che hanno raggiunto un tasso di recupero dell’80% ben superiore all’ obiettivo del 70%; sono state avviate a rigenerazione, inoltre, 178 kt di oli minerali usati, pari a circa il 98% del raccolto rispetto al 61% dell’Ue. Il tasso di riciclo di pile e accumulatori portatili è del 33,5% in lieve calo rispetto al 2021.

“Siamo già campioni nel campo del riciclo degli imballaggi, ma dobbiamo potenziare i risultati nazionali avendo la tutela ambientale come vero, unico obiettivo”, commenta Ignazio Capuano, presidente del Conai. “Credo sia il momento di unire le forze – afferma – e impegnarsi in questa direzione”.

plastica

La plastica riciclata? Uno studio rivela: E’ piena di sostanze chimiche tossiche

Non tutto è oro quello che luccica. Esaminando i pellet di plastica riciclata raccolti in 13 Paesi, un gruppo di scienziati dell’Università di Göteborg ha trovato centinaia di sostanze chimiche tossiche, tra cui pesticidi e farmaci. Ecco perché la giudicano inadatta alla maggior parte degli usi e un ostacolo ai tentativi di creare un’economia circolare.

I rappresentanti di 175 Paesi si riuniranno da lunedì in Kenya per negoziare per la prima volta misure concrete da includere in un trattato globale vincolante per porre fine ai rifiuti di plastica. Gli scienziati esorteranno i delegati a prestare attenzione alle ultime scoperte scientifiche che dimostrano che non esistono plastiche che possano essere considerate sicure o circolari, poiché per la produzione vengono utilizzate sostanze chimiche tossiche e visto che ne assorbono altre durante l’uso.

Il riciclo è stato propagandato come soluzione alla crisi dell’inquinamento da plastica, ma le sostanze chimiche tossiche presenti al suo interno ne complicano il riutilizzo e lo smaltimento e ostacolano il recupero“, afferma la professoressa Bethanie Carney Almroth, dell’Università di Göteborg.

Nello studio recentemente pubblicato su Data in Brief via ScienceDirect, guidato da Carney Almroth, si è scoperto che i pellet di plastica provenienti da impianti di riciclo di 13 Paesi diversi in Africa, Sud America, Asia ed Europa orientale contengono centinaia di sostanze chimiche, tra cui numerosi pesticidi altamente tossici. In totale, sono stati rilevati e quantificati 491 composti organici nei pellet, con altri 170 composti provvisoriamente annotati. Questi composti appartengono a varie classi, tra cui pesticidi, prodotti farmaceutici, prodotti chimici industriali e additivi per la plastica.

Esistono pochi regolamenti sulle sostanze chimiche presenti nella plastica e il commercio internazionale di rifiuti plastici complica la questione. In una corrispondenza pubblicata questo mese sulla prestigiosa rivista Science i ricercatori dell’Università di Göteborg, dell’IPEN, dell’Università di Aarhus e dell’Università di Exeter hanno osservato che “le sostanze chimiche pericolose presentano rischi per i lavoratori del riciclo e per i consumatori, oltre che per la società e l’ambiente in generale“. Prima che il riciclo possa contribuire ad affrontare la crisi dell’inquinamento da plastica, l’industria “deve limitare le sostanze chimiche pericolose“. Sono oltre 13.000 le sostanze chimiche utilizzate, il 25% delle quali classificate come pericolose.

Bethanie Carney Almroth porterà un messaggio chiaro all’incontro della prossima settimana a Nairobi. “Numerosi studi – dice – dimostrano che le sostanze chimiche pericolose possono accumularsi anche nei sistemi di riciclo della plastica. Dobbiamo eliminarle rapidamente perché possono causare danni alla salute umana e all’ambiente“.