Il 70% dei giornalisti ambientali subisce minacce o pressioni

Più del 70% dei giornalisti di 129 Paesi che si occupano di questioni ambientali afferma di essere stato vittima di minacce, pressioni o attacchi. A lanciare l’allarme è l’Unesco che ha condotto un sondaggio pubblicato in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa.
Nel nuovo rapporto ‘Stampa e Pianeta in pericolo’, l’Unesco afferma di aver intervistato 905 giornalisti nel mese di marzo e che più del 70% di loro ha dichiarato di essere stato oggetto di “attacchi, minacce o pressioni” in relazione alle proprie inchieste su questioni ambientali. Di questi, due su cinque hanno dichiarato di aver subito violenze fisiche. Circa l’85% dei giornalisti interessati ha dichiarato di aver subito minacce o pressioni psicologiche, il 60% di essere stato vittima di molestie online, il 41% di essere stato aggredito fisicamente e il 24% di essere stato colpito attraverso azioni legali. Quasi la metà (45%) spiega di autocensurarsi per paura di ritorsioni, di veder rivelate le proprie fonti o perché è consapevole che i propri articoli sono in conflitto con gli interessi delle parti interessate.
I dati mostrano anche che le giornaliste sono più esposte degli uomini alle molestie online. Nell’ambito della pubblicazione di questa indagine, l’Unesco ha anche reso noto che almeno 749 giornalisti e media che si occupano di questioni ambientali sono stati “oggetto di omicidio, violenza fisica, detenzione e arresto, molestie online o attacchi legali” nel periodo 2009-2023. Tra il 2019 e il 2023 si è registrato un aumento del 42% dei casi rispetto al periodo precedente (2014-2018).
L’Unesco sottolinea che almeno 44 giornalisti che si occupano di questioni ambientali sono stati uccisi dal 2009 in 15 Paesi, di cui 30 in Asia-Pacifico e 11 in America Latina o nei Caraibi. Ventiquattro sono sopravvissuti a tentativi di omicidio e solo cinque omicidi hanno portato a condanne, “un tasso di impunità scioccante di quasi il 90%“, afferma l’Unesco.
I giornalisti ambientali, dice l’Unesco, corrono rischi crescenti perché il loro lavoro “spesso si sovrappone ad attività economiche altamente redditizie, come il disboscamento illegale, il bracconaggio o lo scarico illegale di rifiuti“.
L’agenzia delle Nazioni Unite chiede un maggiore sostegno ai giornalisti specializzati in questioni ambientali, perché “senza informazioni scientifiche affidabili sull’attuale crisi ambientale, non potremo mai sperare di superarla“, ha affermato la direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay, sottolineando anche che “la disinformazione sul clima è onnipresente sui social network“.

Dalla plastica al caffè: nasce la stampante 3D che utilizza i fondi usati

(Photo credit Michael Rivera)

Il caffè può fare molte cose: svegliare, riscaldare e regalare un momento di piacere. E, secondo un nuovo studio, potrebbe anche aiutare a ridurre i rifiuti della stampa 3D.
È questa la visione alla base di un nuovo progetto guidato da Michael Rivera, professore assistente presso l’Atlas Institute e il Dipartimento di Informatica dell’Università del Colorado Boulder. Insieme ai suoi colleghi ha sviluppato un metodo per stampare in 3D una vasta gamma di oggetti utilizzando una pasta fatta interamente di vecchi fondi di caffè, acqua e pochi altri ingredienti sostenibili.

Il team ha già sperimentato l’uso dei fondi di caffè per creare gioielli, vasi per piante e naturalmente, tazzine di caffè espresso. La tecnica è anche abbastanza semplice da poter funzionare, con alcune modifiche, sulla maggior parte delle stampanti 3D a basso costo e di tipo consumer.

“Si possono fare molte cose con i fondi di caffè”, spiega Rivera. “E quando non li vuoi più, puoi gettarli di nuovo in un macinino e riutilizzarli per stampare di nuovo”.
Il gruppo ha presentato i suoi risultati quest’estate alla conferenza Designing Interactive Systems dell’Association for Computing Machinery a Pittsburgh. Per Rivera, il progetto fa parte della sua missione di rendere la stampa 3D più sostenibile, consentendo ad artisti, designer, ingegneri e altri di realizzare rapidamente prototipi afferrabili e altri oggetti per la casa, senza incrementare le discariche.

Come prevedibile, l’idea è nata in una caffetteria. Quando Rivera era uno studente alla Carnegie Mellon University, lavorava spesso in bar di Pittsburgh, chiamata Arriviste Coffee Roasters. La caffetteria aveva stipulato un contratto con un gruppo locale che raccoglieva i fondi di caffè usati per il compostaggio, ma durante la pandemia COVID-19 questa attività si era interrotta e i rifiuti avevano cominciato ad accumularsi. Da qui l’idea di sfruttarli.

Come spiega Rivera, la maggior parte delle stampanti 3D sul mercato oggi utilizza termoplastica. La più comune è l’acido polilattico, o PLA, teoricamente compostabile, ma accettato solo da pochi impianti di compostaggio. “Se lo si getta in una discarica, dove finisce la maggior parte del PLA, ci vorranno fino a 1.000 anni per decomporlo”, dice il ricercatore.

Il metodo del team è piuttosto semplice: si mescolano i fondi di caffè essiccati con altre due polveri acquistate, cioè gomma di cellulosa e gomma di xantano, additivi comuni negli alimenti che si degradano facilmente in una compostiera. Poi si aggiunge l’acqua fino a raggiungere la consistenza di una pasta. Una volta essiccato, il materiale dei fondi di caffè è resistente come il cemento.

E anche se per Rivera la stampa con i fondi di caffè potrebbe non diventare una pratica diffusa, potrebbe rappresentare un passo avanti verso la scoperta di altri tipi di materiali sostenibili per la stampa 3D capaci, un giorno, di sostituire la plastica.

 

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