Legge sul ripristino della natura: Strasburgo mercoledì al voto

Dopo le tensioni degli ultimi mesi, il momento della verità è arrivato. L’Europarlamento riunito da lunedì a giovedì nell’ultima plenaria prima delle vacanze estive, discuterà martedì e voterà mercoledì (12 luglio) sulla proposta di regolamento della Commissione europea sul ripristino della natura, al centro di una vera battaglia politica del Partito popolare europeo (Ppe) in piena campagna elettorale per il 2024.

La mancata maggioranza nella commissione ambiente (Envi) lo scorso 27 giugno sulla prima legge rende l’iter procedurale di questo voto ancora più complesso di un via libera normale. La commissione Envi, non avendo trovato una maggioranza a sostegno della legge, è costretta in quanto commissione competente sul dossier a portare in plenaria un testo di rigetto del provvedimento. Se il rigetto venisse accolto dalla maggioranza semplice dell’Emiciclo, allora la prima lettura in Parlamento europeo sarebbe conclusa qui e spetterebbe al Consiglio Ue decidere se portare avanti il dossier per una seconda lettura oppure no. La Commissione europea è l’unica tra le tre istituzioni ad avere il potere di ritirare il testo, ma se il dossier fosse trascinato in seconda lettura all’Eurocamera e affossato di nuovo allora l’iter legislativo della legge sarebbe ufficialmente concluso.

Se il rigetto venisse invece bocciato, allora Strasburgo finirà a fare un estenuante voto emendamento per emendamento per “costruire” ex novo un testo nuovo. Una terza via è che venga subito accolta la proposta del gruppo dei liberali di Renew Europe di usare come posizione del Parlamento (da emendare) la posizione negoziale adottata dagli Stati membri al Consiglio Ue Ambiente lo scorso 20 giugno, già fortemente annacquata rispetto agli obiettivi originali della Commissione.

Una conta all’ultimo voto e all’ultimo eurodeputato, con S&D, Verdi, Renew e Sinistra decisi a votare pro-natura e quasi tutto il centro destra (Ppe, Id, Ecr) contro. Questo il quadro che si ipotizza, ma è difficile immaginare quale potrebbe essere il risultato dal momento che Ppe e S&D soprattutto, difficilmente voteranno compatti sulla rispettiva posizione. La normativa è da mesi ormai il bersaglio politico del principale gruppo – per numero di seggi, 177 in tutto – al Parlamento europeo, il Ppe, che ne chiede il ritiro dal momento che, a suo dire, potrebbe minacciare la produzione agricola e dunque la sicurezza alimentare in un momento delicato, come quello attuale, della guerra di Russia in Ucraina. Il Ppe ha denunciato nelle scorse settimane che gli obiettivi della legislazione “mettono a rischio la sicurezza dell’Ue” e che la valutazione d’impatto presentata dall’esecutivo comunitario non chiarisce nei fatti quali potrebbero essere le ricadute della strategia sulla produzione agricola e sul costo della vita. Per alcuni, una mossa politica in vista delle elezioni europee del 2024, per trovare consenso nell’elettorato agricolo. L’opposizione del Ppe ha provocato la bocciatura a maggio nelle commissione Agricoltura (Agri) e Pesca (Pesch).

La Legge sul ripristino della natura è stata proposta dalla Commissione Ue a giugno 2022 e prevede un obiettivo di ripristino degli ecosistemi del 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e in tutte le aree danneggiate dall’inquinamento o dallo sfruttamento intensivo (foreste, pascoli, ecc.) entro il 2050. Lo scorso 20 giugno gli Stati membri al Consiglio Ue Ambiente hanno dato via libera alla loro posizione politica per avviare il negoziato con l’Eurocamera, una volta che a sua volta avrà adottato una posizione. Su questo voto in Consiglio l’Italia ha deciso di votare contro insieme a Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Svezia (che tra l’altro è alla guida semestrale dell’Ue) mentre Austria e Belgio hanno deciso di astenersi.

Al via a Strasburgo la plenaria del Parlamento Europeo tra metano e dibattito con Olaf Scholz

Riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico, riforma del Patto di stabilità e nuove norme sulla sostenibilità dei prodotti. Tanti i dossier all’ordine del giorno della sessione plenaria del Parlamento europeo che si riunirà a Strasburgo fino a giovedì 11 maggio e che sarà segnata dal confronto degli eurodeputati con il cancelliere tedesco Olaf Scholz che interverrà martedì mattina in emiciclo nel consueto ciclo di dibattiti ‘Questa è l’Europa (This is Europe)’ che ormai da un anno in ogni sessione plenaria ospita un capo di stato e governo dei 27 Stati membri. Questa volta sarà il turno della Germania di Scholz. E non è una scelta casuale, dal momento che il 9 maggio ricorre anche la data simbolica della Festa dell’Europa, che celebra i 73 anni della Dichiarazione di Schuman, considerata il primo passo verso l’integrazione europea.

Prima del dibattito con Scholz, l’Europarlamento discuterà per la prima volta con la Commissione Ue sulla proposta di riforma del Patto di stabilità, avanzata da Palazzo Berlaymont la scorsa settimana. Gli eurodeputati voteranno anche su diversi dossier importanti, a partire dalle nuove regole per ridurre le emissioni (e le perdite) di metano nel settore energetico, su cui discuteranno lunedì pomeriggio alla ripresa dei lavori e voteranno martedì sul mandato per avviare i negoziati con gli Stati membri. La proposta di regolamento è stata avanzata dalla Commissione europea il 15 dicembre 2021, all’interno di un più ampio pacchetto di decarbonizzazione del mercato del gas. Il metano è tra i peggiori gas inquinanti atmosferici che contribuisce ai cambiamenti climatici: intrappola più calore rispetto alla CO2, ma si decompone nell’atmosfera più rapidamente, quindi impegnarsi per tagliare queste emissioni dovrebbe avere un impatto più rapido sul surriscaldamento globale. Oltre a petrolio, gas fossili, carbone e biometano i deputati hanno chiesto che le nuove regole includano anche il settore petrolchimico, esortando la Commissione Ue a proporre entro la fine del 2025 un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di metano dell’Ue per il 2030 per tutti i settori interessati dalla normativa.

L’Europarlamento discuterà, sempre martedì, il mandato negoziale su una nuova direttiva per migliorare l’etichettatura dei prodotti e porre fine alle false dichiarazioni ambientali, ovvero le regole Ue contro il greenwashing. L’Europarlamento vuole vietare l’uso di indicazioni ambientali generiche, come “rispettoso dal punto di vista ambientale“, “naturale“, “biodegradabile“, “neutrale dal punto di vista climatico” o “eco“, quando non accompagnate da prove scientifiche.

Sul fronte agricolo, mercoledì mattina la sessione sarà aperta da un dibattito sul ruolo degli agricoltori nella transizione verde e su come sostenere il settore agricolo in modo più efficace, mentre gli eurodeputati dovrebbero dare via libera alla proroga di un altro anno della sospensione dei dazi all’importazione dell’Ue sui prodotti agricoli ucraini. In un dibattito separato, discuteranno dell’impatto delle importazioni di cereali dall’Ucraina sui prezzi dell’Ue, appena dopo l’accordo tra la Commissione Ue e Bulgaria, Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia per un pacchetto di aiuti da 100 milioni di euro per sostenere gli agricoltori gravati dall’eccesso di beni agroalimentari importati da Kiev. A margine dei lavori di plenaria, a Strasburgo le commissioni per il mercato interno e per le libertà civili voteranno su un progetto di norme per garantire la sicurezza e la legalità dei sistemi di intelligenza artificiale immessi sul mercato dell’Ue, con obblighi specifici per i sistemi di IA ad alto rischio e il divieto di alcune pratiche considerate inaccettabili.

Debutto storico: l’inazione climatica di due Stati davanti alla Corte dei diritti dell’uomo

Una prima “storica”. La Corte europea dei diritti dell’uomo esaminerà mercoledì la presunta inazione climatica degli Stati prendendo in considerazione due cause contro la Svizzera e la Francia. Berna è stata citata in giudizio da pensionati che lamentano gli effetti del riscaldamento globale sulla loro salute, mentre Parigi è stata citata in giudizio dall’ex sindaco di una città minacciata dalle inondazioni. È la prima volta che la CEDU, che ha sede a Strasburgo, accoglie le petizioni sul clima in un tribunale aperto, in un contesto in cui si moltiplicano in Europa i ricorsi per costringere gli Stati ad agire contro i cambiamenti climatici.

Nel 2019, la Corte Suprema olandese ha ordinato al governo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 25% entro il 2020, a seguito di una denuncia di un’associazione ambientalista. E alla fine del 202, lo Stato francese è stato condannato da un tribunale parigino su denuncia di un collettivo di quattro Ong sostenuto da una petizione di oltre 2,3 milioni di cittadini. Il caso svizzero si aprirà alle 9.15, seguito da quello francese alle 14.15. Si prevede che la Corte non emetterà le sue decisioni prima di alcuni mesi.

Questo è un evento storico“, ha dichiarato Anne Mahrer, 64 anni, una delle portavoce dell’associazione ‘Les Aînées pour la protection du climat suisse’. Sostenuta da Greenpeace Svizzera, questa associazione conta oltre 2.000 membri, con un’età media di 73 anni. Circa 50 di loro andranno a Strasburgo, ha dichiarato Mahrer all’AFP. Negli ultimi 20 anni, “i rapporti dimostrano che tutti sono colpiti” dal riscaldamento globale, in particolare gli anziani e ancor più “le donne anziane“, “particolarmente vulnerabili in termini di malattie cardiovascolari o respiratorie“, ha detto. Davanti alla Cedu, la sua associazione intende invocare diverse violazioni da parte della Confederazione svizzera degli articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani, in particolare quello che garantisce il diritto alla vita. L’azione degli anziani per costringere la Svizzera ad agire maggiormente per il clima è iniziata nel 2016, con una serie di ricorsi senza successo. Alla fine, il Tribunale federale, la più alta autorità giudiziaria svizzera, ha stabilito che “non siamo stati colpiti in modo particolare“, afferma Mahrer. Tuttavia, la Svizzera, “un Paese ricco (…) che dovrebbe essere esemplare e non lo è“, è “estremamente colpita dal cambiamento climatico (…) i nostri ghiacciai si stanno sciogliendo“, ha detto l’ex parlamentare ambientalista.

L’altro dossier sarà quello dell’ex sindaco di Grande-Synthe (Nord), Damien Carême, che nel frattempo è diventato deputato europeo per Europe Écologie-Les Verts (EELV). Nel 2019, a nome proprio e in qualità di sindaco, aveva presentato un ricorso al Consiglio di Stato per “inazione climatica“, considerando che il suo comune, situato sulla costa, rischiava di essere sommerso. Il massimo tribunale amministrativo ha dato ragione al comune nel luglio 2021, concedendo alla Francia nove mesi di tempo per “adottare tutte le misure utili” per frenare “la curva delle emissioni di gas serra” al fine di rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (-40% entro il 2030 rispetto al 1990). Il ricorso dell’onorevole Carême a proprio nome è stato respinto, così ha chiamato in causa la Cedu. L’eurodeputato sostiene che il “fallimento” della Francia nell’adottare le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi lo riguarda “direttamente” in quanto “aumenta il rischio che la sua casa sia colpita” dall’innalzamento del livello del mare, ha dichiarato il tribunale in un comunicato. La posta in gioco è “il riconoscimento della violazione” della Convenzione “a causa della particolare esposizione di Grande-Synthe ai rischi di inondazione legati al cambiamento climatico e, più in generale, il riconoscimento dell’inadeguatezza del regime giuridico (…) in Francia al fine di limitare il più possibile” i danni subiti, ha analizzato Théophile Bégel, avvocato di Carême con Corinne Lepage. “La posta in gioco è estremamente alta“, ha dichiarato Lepage all’AFP. “Se la Corte europea riconoscesse che il deficit climatico viola il diritto alla vita e a una normale vita familiare, questa giurisprudenza si applicherebbe a tutti gli Stati del Consiglio d’Europa e potenzialmente a tutti gli Stati del mondo“.

Parlamento Ue

Nel ‘Fit for 55’ i nuovi sviluppi su Ets e tassa CO2 frontiere

Il Parlamento europeo voterà tra martedì 7 e mercoledì 8 giugno su otto proposte del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, presentato dalla Commissione lo scorso 14 luglio.

La revisione del sistema Ets

L’Aula di Strasburgo dovrà adottare la sua posizione sulla riforma del sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue, l’Ets (emission trading system), tra le componenti più importanti del pacchetto sul clima ‘Fit For 55’. Il mercato europeo del carbonio è operativo dal 2005 e copre il settore energetico, industriale e i voli commerciali dentro la Ue. Obbliga poco più di 10mila centrali elettriche e fabbriche ad alta intensità energetica a comprare un permesso per ogni tonnellata di CO₂ emessa, come disincentivo finanziario per far inquinare di meno: meno inquini, meno paghi. Le quote sono acquistabili tramite aste, ma il sistema conserva un numero annuale di permessi che vengono assegnati gratuitamente alle industrie.

Con il sistema attuale, stima Bruxelles, le emissioni di CO₂ nei settori coperti dall’Ets dovrebbero diminuire del 43% entro il 2030. Per questo, nel pacchetto ‘Fit for 55’ ha previsto una revisione del sistema Ets arrivare a ridurle del 62% entro il prossimo decennio. Prevede di aumentare il cosiddetto fattore di riduzione lineare (LRF) dal 2,2 al 4,2%: questo significa, in sostanza, che ogni anno verranno immessi sul mercato il 4,2% in meno di certificati di CO₂. Secondo la proposta della Commissione, i certificati gratuiti che vengono assegnati alle aziende scadranno entro il 2036, ma già a partire dal 2026 le indennità saranno ridotte del 10% all’anno. Parte centrale della proposta dell’Esecutivo è l’inclusione del settore marittimo e l’introduzione di un nuovo mercato del carbonio complementare esteso a partire dal 2026 anche a trasporti ed edifici, due settori particolarmente difficili da decarbonizzare.

L’Aula di Strasburgo voterà sulla proposta principale del relatore Peter Liese, eurodeputato tedesco del Partito popolare europeo (Ppe), approvata in commissione per l’Ambiente (Envi) lo scorso 17 maggio. La relazione votata in Envi chiede un’ulteriore riduzione del numero di quote annuali disponibili fino al 2030 e l’inclusione dell’incenerimento dei rifiuti urbani nell’Ets a partire dal 2026. La relazione chiede l’abolizione delle quote gratuite per le industrie già entro il 2030, ma un accordo trovato tra i gruppi di Renew Europe e Socialdemocratici (S&D) potrebbe portare la data al 2032 (quindi oltre la soglia fissata dalla commissione Envi). Quanto al secondo sistema Ets per edifici e trasporti, i deputati chiederanno di non inserirlo prima del 2029, quindi tre anni dopo rispetto alla proposta della Commissione Europea e soprattutto spingeranno perché sia applicato solo a trasporti ed edifici pubblici e aziendali, non a quelli privati.

Tassa sul carbonio alle frontiere

Nel ‘Fit for 55’ la Commissione europea ha proposto anche l’introduzione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (acronimo CBAM – Carbon Border Adjustment Mechanism) dell’UE, uno strumento complementare all’Ets perché obbligherà gli importatori ad acquistare certificati di CO₂, come fanno le industrie europee. Porterà a eliminare definitivamente tutte le quote gratuite che vengono rilasciate oggi per non svantaggiare troppo le imprese europee dalla concorrenza internazionale. Per l’Esecutivo europeo dovrebbe applicarsi non prima del 2026 ai settori dell’energia elettrica, fertilizzanti, acciaio, ferro e alluminio, dopo una fase transitoria tra 2023 e il 2025 in cui alle aziende sarà richiesto di fare dei test.

Successivamente, il CBAM sarà introdotto gradualmente e le quote gratuite del sistema Ets saranno ridotte tra il 2026 e il 2035, con l’abolizione totale dei certificati gratuiti al 2036. L’Aula di Strasburgo voterà invece sulla relazione votata in Envi il 17 maggio, a prima firma dell’eurodeputato olandese Mohammed Chahim (S&D), che chiede di fare entrare in vigore il CBAM un anno prima rispetto alla proposta della Commissione, vale a dire dal 2025. Per gli eurodeputati, è necessario estenderne il campo di applicazione ai prodotti chimici organici, la plastica, l’idrogeno e l’ammoniaca, nonché alle emissioni indirette. Chiedono, infine, un’autorità indipendente per il monitoraggio delle regole CBAM, per monitorare il funzionamento del meccanismo.