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Sud Sudan, dal giacinto d’acqua nuova fonte di energia sostenibile

Nel Sud Sudan devastato dalle inondazioni e dal cambiamento climatico, dove non arriva la natura, l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Roda Nyawuy è madre di sette figli e vive a Bentiu, città del nord tra le più colpite dalle piogge devastanti. E’ suo il compito di raccogliere legna da ardere, necessaria a cucinare e a scaldare l’acqua. E per farlo è costretta a guadare acque torbide, senza sapere cosa ci sia sotto la superficie. “Probabilmente serpenti e piante piena di spine”, racconta, “ma non possiamo permetterci né gas né carbone”. E legna asciutta non se ne trova più. Così, la donna, ha trovato una soluzione sicuramente innovativa, grazie a un’erba spontanea che cresce abbondantemente nella zona. A prima vista i bricchetti che ardono nella stufa assomigliano al carbone venduto al mercato di Bentiu, ma non derivano dal legno. Sono fatti di giacinto d’acqua, una pianta galleggiante invasiva a a crescita rapida che ha prosperato nel Sud Sudan negli ultimi quattro anni a causa delle inondazioni. E’ ricca di biomassa, un materiale organico che produce energia e che può essere utilizzato come combustibile sostenibile ed economico per le necessità domestiche.

A Bentiu il cambiamento climatico sta ridisegnando il paesaggio e il giacinto d’acqua si sta diffondendo a perdita d’occhio, ricoprendo di macchie di verde la pianura allagata. Quella che è considerata un’erbaccia invasiva nel resto del mondo qui sta aiutando le donne a far sopravvivere le loro famiglie. Il difficile e pericoloso compito di raccogliere legna da ardere, infatti, ricade su donne e ragazze, che devono avventurarsi su lunghe distanze per trovarla. Lontane dagli argini di terra che proteggono la città dalle inondazioni, sono spesso vittime di aggressioni e violenze sessuali. Il giacinto, invece, viene raccolto in modo rapido e sicuro dalle rive utilizzando lunghi rastrelli, prima di essere essiccato al sole. I gambi vengono posti in un tamburo di metallo sigillato e cotti sul fuoco per circa 20 minuti, quindi mescolati con acqua fino a diventare una pasta nera da modellare in piccoli bricchetti. Un procedimento che non richiede formazione o attrezzature specifiche.

Non è come produrre carbone, che può richiedere tre mesi”, spiega Simon Riak, che sovrintende all’iniziativa finanziata dal Programma Alimentare Mondiale (WFP). Il carbone della varietà ampiamente utilizzata nei Paesi in via di sviluppo viene prodotto riscaldando lentamente la legna nei forni di terra. Ma questo processo richiede grandi quantità di materia prima, fattore che incide pesantemente nella deforestazione. Il legno è scarso e difficile da trovare, anche perché gli alberi marciscono nell’acqua.
I prezzi del carbone sono raddoppiati in appena un anno a Bentiu mettendo a dura prova la popolazione locale, che sta già lottando per ottenere i beni di prima necessità. Alla fine, i bricchetti di giacinto potrebbero essere venduti a metà del prezzo del carbone e fornire reddito ai piccoli produttori. Circa 300 persone, per lo più donne, hanno già avviato questa attività. Di fronte allo scetticismo, vengono organizzate manifestazioni pubbliche. Venditori di tè lungo la strada e ristoratori sono stati invitati a testare l’efficacia delle bricchette. “È una sorpresa per la maggior parte delle persone. Non sanno che il giacinto d’acqua può essere usato in questo modo”, afferma Riak
Gli esperti stimano che le inondazioni intorno a Bentiu potrebbero richiedere anni o addirittura decenni per placarsi. “Ne ho parlato con i miei vicini. Sono pronti a vedere come si fa e come lo usiamo“, assicura Roda Nyawuy. “Quelli di noi che imparano a fare questi bricchetti avranno un vantaggio“, conclude.

 

 

Photocredit: Afp

Papa: Giù le mani dall’Africa, non è miniera da saccheggiare

Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Nel primo giorno del suo viaggio che toccherà anche il Sud Sudan, Papa Francesco non poteva non denunciare il colonialismo economico che da secoli depreda il Continente.

Usa l’immagine del diamante, comunemente raro, ma che in Africa abbonda, dalle numerose facce “armonicamente disposte“, a simboleggiare il pluralismo, il carattere poliedrico, “ricchezza che va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione“; pietra che “nella sua trasparenza, rifrange in modo meraviglioso la luce che riceve“, che sorge dalla terra “genuina ma grezza, bisognosa di lavorazione“, che “dono della terra, richiama alla custodia del creato, alla protezione dell’ambiente“.

Il Continente africano, denuncia il Pontefice, soffre ancora di varie forme di sfruttamento. Dopo quello politico, quello economico, che è altrettanto schiavizzante. “Ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono ‘straniero’ ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”, le sue parole alle autorità nel giardino del Palais de la Nation a Kinshasa.

Eppure l’Africa, scandisce, merita spazio e attenzione: “Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino!”, tuona Bergoglio.

La Repubblica Democratica del Congo, ricorda, ospita uno dei più grandi polmoni verdi del mondo, che va preservato. Francesco richiama il mondo alla collaborazione “ampia e proficua“, che permetta di intervenire efficacemente, senza però imporre modelli esterni “più utili a chi aiuta che a chi viene aiutato“: “Tanti hanno chiesto all’Africa impegno e hanno offerto aiuti per contrastare i cambiamenti climatici e il coronavirus. Sono certamente opportunità da cogliere – afferma -, però c’è soprattutto bisogno di modelli sanitari e sociali che rispondano non solo alle urgenze del momento, ma contribuiscano a una effettiva crescita sociale: di strutture solide e di personale onesto e competente, per superare i gravi problemi che bloccano sul nascere lo sviluppo, come la fame e la malaria”.

Accanto a lui, il presidente della Repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi Tshilombo, denuncia le potenze straniere, “avide di minerali“, che agiscono nell’Est del Paese con “l’appoggio diretto e vigliacco del Rwanda” e nel “silenzio della comunità internazionale“.

 

Photo credit: Vatican Media

Papa

Il Papa vola in Congo e Sud Sudan: sullo sfondo lo spettro delle carestie e dell’ambiente

Papa Francesco mantiene la promessa e vola in Africa. Un viaggio che era previsto dal 2 al 7 luglio scorsi, poi saltato a causa del ginocchio, all’epoca ancora troppo dolorante. Il Pontefice, che si sposta ancora spesso in sedia a rotelle e ha compiuto 86 anni il 17 dicembre, fa tappa in Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan da oggi al 5 febbraio.

Sullo sfondo, gli scontri armati, le violenze, gli sfruttamenti, ma anche il tema ambientale. Soprattutto in Repubblica democratica del Congo, Paese piegato da enormi problemi legati all’inquinamento e allo smaltimento della plastica. Sull’intero continente incombono poi la piaga della fame e lo spettro di nuove carestie, legate ai continui rinnovi dell’accordo con la Russia sulle esportazioni di cereali e fertilizzanti dai porti ucraini. Un tema che lo stesso Bergoglio ha tenuto a sottolineare nell’udienza annuale al corpo diplomatico. In quell’occasione, ha rinnovato l’appello per il cessate il fuoco di un conflitto “insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

Francesco sarà a Kinshasa da oggi, 31 gennaio, al 3 febbraio, poi a Giuba dal 3 al 5 febbraio. Non sono pochi i rischi per la sicurezza. La tappa a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, preda di gruppi armati per più di 25 anni, viene eliminata.

Afflitto da un’instabilità cronica, anche il Sud Sudan presenta problemi di sicurezza, sprofondato in una sanguinosa guerra civile tra il 2013 e il 2018, che ha causato la morte di quasi 400mila persone. Nonostante un accordo di pace che prevede la condivisione del potere in un governo di unità nazionale, le faide tra i gruppi rivali continuano, seminando violenza. La Santa Sede ha giocato un ruolo di mediazione nei negoziati di pace: nel 2019, Francesco ha invitato Salva Kiir e Riek Machar in Vaticano, inginocchiandosi davanti a loro e implorandoli per la pace. Nel Sud Sudan il viaggio sarà fortemente ecumenico, perché con Francesco ci saranno anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields.

Ci sono due aspetti che caratterizzano la visita, sottolinea il segretario di Stato, Pietro Parolin ai media vaticani: “Uno è pastorale, di vicinanza alle Chiese locali e a queste comunità che sono comunità vive, attive, l’altro è socio-politico, e da questo punto di vista ci si aspetta che la presenza del Santo Padre, la sua parola, la sua testimonianza, possa aiutare a promuovere la cessazione delle violenze in atto e rafforzare i processi di pace e di riconciliazione in corso”.

Dalla sua elezione nel 2013, Francesco è stato in Africa quattro volte, visitando Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, Egitto e Marocco. Il suo ultimo viaggio in Africa risale al 2019, in Mozambico, Madagascar e Mauritius.