Cocco bello e impossibile: i prezzi volano alle stelle. E la colpa è (anche) del clima
Pesano gli eventi climatici estremi, l'invecchiamento delle piantagioni, il forte aumento della domanda internazionale e le nuove pressioni legate alle politiche energetiche nei paesi produttori. La strada sembra la stessa tracciata dal cacao
Cocco bello e… impossibile. Dopo cacao e caffè, anche il prezzo del frutto tropicale più amato sulle spiagge italiane sta prendendo il volo. Il mercato globale del cocco sta attraversando una delle sue fasi più turbolente degli ultimi decenni. Il 2025 si è aperto con un’escalation dei prezzi che sta mettendo sotto pressione produttori, esportatori e aziende di trasformazione. Perché questo boom? Eventi climatici estremi, invecchiamento delle piantagioni, forte aumento domanda internazionale e nuove pressioni legate alle politiche energetiche nei paesi produttori.
Il clima la fa da padrone. Il fenomeno El Niño ha colpito duramente le principali aree di coltivazione, con siccità e temperature elevate che hanno ridotto drasticamente i raccolti nel Sud-est asiatico e nel Pacifico. Ma la crisi ha radici più profonde. In molti paesi produttori, come Filippine, Indonesia e Sri Lanka, le piantagioni sono composte in gran parte da alberi vecchi, a bassa resa, che non vengono sostituiti da decenni, come succede nel mercato del cacao in Africa. La mancanza di investimenti strutturali nel rinnovo degli impianti ha reso l’offerta globale estremamente fragile, incapace di rispondere agli shock produttivi e alla crescente richiesta del mercato.
Alla carenza strutturale si aggiunge l’aumento della domanda nei mercati chiave come Stati Uniti, Cina e Unione europea. I consumatori cercano sempre più prodotti naturali, sostenibili e versatili come l’olio e l’acqua di cocco, il latte vegetale e il cocco essiccato. Il risultato è un aumento vertiginoso dei prezzi. Solo negli Stati Uniti, ad aprile, il prezzo dell’olio di cocco è cresciuto del 127% rispetto alla media quinquennale. Nelle Filippine, uno dei grandi esportatori mondiale, i prezzi dell’olio hanno raggiunto i 2.658 dollari per tonnellata, il livello più alto degli ultimi tre anni. Anche in Vietnam, altro player globale del cocco, i prezzi sono esplosi: nelle province del delta del Mekong, una dozzina di cocchi costa tre volte tanto rispetto al 2023.
Nello Sri Lanka, altro produttore asiatico, oltre ai danni causati da eventi climatici, gli agricoltori devono fare i conti con infestazioni di mosche bianche e attacchi di scimmie e scoiattoli giganti, che distruggono ogni anno circa 200 milioni di noci. La situazione è ulteriormente complicata dalla scarsità e dal prezzo elevato dei fertilizzanti, che ha indebolito le palme rendendole più vulnerabili ai parassiti. Anche il cambio sfavorevole e l’aumento dei costi di trasporto stanno contribuendo a gonfiare i prezzi nei mercati d’importazione.
Nel frattempo, le politiche interne nei paesi produttori stanno creando ulteriori pressioni sull’offerta. Le Filippine, ad esempio, hanno recentemente aumentato al 3% la quota obbligatoria di olio di cocco nei carburanti biodiesel, con piani di arrivare al 5% entro il 2026. Questa misura richiederà circa 900 milioni di noci in più all’anno, una domanda aggiuntiva che il Paese, con la sua attuale capacità produttiva stagnante, difficilmente potrà soddisfare. Di conseguenza, la copra è diventata più costosa e scarsa, tanto che alcuni frantoi filippini stanno iniziando a importare semi essiccati per continuare la produzione.