Questione di millimetri. Il millimetro di suolo che circonda la radice di una pianta di pomodoro, o di frumento, o di un arbusto, gioca un ruolo fondamentale per la sua crescita. Le radici infatti rilasciano (tecnicamente ‘essudano’) alcuni composti capaci di attirare particolari microrganismi, che in questo modo si alimentano e crescono. In cambio, la microflora che viene a crearsi, aiuta la pianta a svolgere attività utili per la propria crescita. Una simbiosi di cui la pianta è sempre alla ricerca.
Ma un’agricoltura intensiva e uno sfruttamento eccessivo del suolo portano a un impoverimento di questi processi. E se in più si aggiunge una stagione con piogge dimezzate, la necessità dell’agricoltura di soddisfare una richiesta sempre maggiore, e l’importanza – stabilita anche dal green deal europeo – di ridurre l’uso di fertilizzanti, l’equazione è sempre più difficile da far funzionare.
Allora perché non aiutare le piante ad affrontare le sfide del cambiamento climatico stimolandone i processi nutrizionali in modo naturale? È l’idea alla base dello studio e dell’utilizzo dei biostimolanti in agricoltura: “Né fertilizzanti, né pesticidi, ma molecole e microrganismi che aiutano la pianta a rispondere agli stress, fra cui la carenza idrica” spiega Luigi Lucini, docente di chimica agraria all’università Cattolica, “La ricerca sta andando in questa direzione, e lo stesso stanno facendo gli investimenti dei big player, con tassi di crescita a doppia cifra”.
I ricercatori dell’università Cattolica hanno sviluppato le tecniche adatte a isolare i microrganismi direttamente dalla porzione di suolo a contatto con le radici delle piante, per poi selezionare su base genetica quelli con le caratteristiche più utili a essere candidati come biostimolanti. “Una volta isolati”, spiega Luigi Lucini, “possono essere inoculati nel seme di una pianta: quando germoglierà, sarà già ‘contaminata’ dagli specifici microbioti che la aiuteranno nel reperimento di nutrienti o nel resistere allo stress idrico”. In ottica di economia circolare, poi, sostanze biostimolanti come gli acidi umici possono essere ricavate anche dal compost, da cui viene estratta la frazione attiva del rifiuto che poi potrà essere impiegata per promuovere della crescita della pianta. “È un po’ come ‘dare dei fermenti lattici’ a una pianta durante il ciclo di vita della coltura” spiega il professore.
“Per noi è importante che questi prodotti trovino sempre di più un reale utilizzo in ambito agricolo” conclude Lucini, “Credo possano avere un ruolo enorme nell’ottica di un’agricoltura sostenibile. Dovranno però fare parte di una strategia integrata che comprenda anche la scelta di varietà tolleranti oltre a una gestione agronomica del suolo”. E, di questi tempi, diventa sempre più urgente.