Ricostruire la sequenza completa del Dna di una specie a rischio può aiutare a capire come salvarla. Anche dai cambiamenti climatici. Non è scontato però, in particolare per gli animali selvatici, avere per le mani un genoma completo e di qualità elevata.
Un passo avanti, quest’anno, è stato fatto per la rondine (non una specie a rischio di per sé, ma che in anni recenti ha subito comunque un grosso calo demografico in Italia). I ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con importanti laboratori internazionali, hanno ricostruito in maniera accurata gli 80 cromosomi che costituiscono il patrimonio genetico della rondine. Questo genoma è stato inizialmente utilizzato per costruire un catalogo di tutte le varianti genetiche, identificate sfruttando le milioni di sequenze di DNA disponibili nel mondo per questa specie.
È stato un lavoro importante, “Partito nel 2018 con la pubblicazione del primo genoma” come spiegano i genetisti Luca Gianfranceschi, coordinatore dello studio, e Guido Gallo. Il lavoro è già diventato un riferimento a livello mondiale per gli studiosi di questa specie, anche perché – spiega Gianfranceschi – “è stato generato il primo allineamento del genoma completo di più individui di rondine (quello che viene definito il ‘pangenoma’). Questo permette di evidenziare similitudini e differenze tra gli individui, aumentando la precisione e la capacità di identificare le varianti genetiche in nuovi individui e l’accuratezza di tutte le analisi successive”. Una sorta di fotografia ad alta risoluzione della variabilità genetica all’interno della specie.
Ma come può aiutare a mettere in campo interventi di conservazione e di tutela? “È sicuramente un punto fondamentale per capire se la variabilità genetica nella rondine è sufficiente per consentirle di adattarsi ai cambiamenti climatici”, spiega Luca Gianfranceschi.
In questo momento i ricercatori di Milano stanno analizzando tre popolazioni di rondini: una israeliana, una spagnola e una italiana. Una stanziale, quindi, e due che migrano con rotte e tempi differenti. “Questo ci consentirà di identificare le regioni del genoma che contengono i geni alla base della migrazione. A questo punto potremo capire se la variabilità genetica in queste regioni è sufficiente per consentire l’adattamento della specie ai cambiamenti climatici in atto”. Se, per esempio, le sequenze in uno dei tre gruppi fossero poco variabili, significherebbe che il futuro di quella popolazione sarebbe seriamente in pericolo.
I dati verranno analizzati dopo l’estate, da lì servirà circa un altro anno di lavoro per identificare le regioni cromosomiche rilevanti. Questi risultati potranno avere un impatto anche su altre specie di uccelli, specialmente quelli migratori, permettendo di verificare in modo mirato la variabilità dei geni identificati e capire così le chances delle varie specie di far fronte ai futuri cambiamenti climatici.