Entrano in vigore dazi Usa del 25% per Canada e Messico. Ottawa reagisce

Il Canada ha annunciato contromisure di pari valore e la Cina ha risposto con imposte aggiuntive su moti prodotti statunitensi

Entrano ufficialmente in vigore oggi i nuovi dazi statunitensi del 25% per Messico e Canada – del 10% per i prodotti petroliferi canadesi – e di un ulteriore 10% per la Cina. I tre Paesi non hanno raggiunto un accordo. Il presidente americano, Donald Trump, aveva rinviato al 4 marzo l’applicazione delle imposte, una misura che ha giustificato con la scarsa disponibilità dei due Paesi a ridurre il traffico di Fentanil – un potente oppiaceo responsabile di una grave crisi sanitaria nel paese – verso gli Stati Uniti. “Non c’è più margine di manovra per il Messico e il Canada. I dazi sono una realtà. Entreranno in vigore domani (martedì)”, aveva assicurato Donald Trump ai giornalisti presenti alla Casa Bianca lunedì sera.

Complessivamente, sono interessati prodotti provenienti dai due Paesi vicini agli Usa per un valore di 918 miliardi di dollari, con un impatto reale previsto per l’economia americana. Questo livello di tassazione sulle importazioni statunitensi è “il più alto dalla fine degli anni ’40” e mette “una brusca battuta d’arresto alla globalizzazione iniziata nel dopoguerra”, stima in una nota Paul Ashworth, di Capital Economics.

Il presidente, durante la sua campagna elettorale, aveva più volte ricordato che i dazi erano le sue “parole preferite” e di volerli usare per riequilibrare la bilancia commerciale americana, finanziare in parte la sua promessa di ridurre le tasse e imporre “rispetto” ai partner degli Stati Uniti. Il repubblicano ha già annunciato l’intenzione di tassare l’acciaio e l’alluminio e di avviare un’indagine per fare lo stesso con i prodotti della silvicoltura. Lunedì, i prodotti agricoli importati sono stati aggiunti alla lista, con Trump che ha assicurato che saranno tassati a partire dal 2 aprile. In un messaggio pubblicato sul suo social network Truth, il presidente americano ha invitato “i grandi agricoltori degli Stati Uniti” a prepararsi a “produrre molti più prodotti agricoli da vendere all’interno” del Paese.

Il Messico ha già detto di essere pronto a mettere sul piatto “un piano B” e la Cina non si è fatta attendere e ha lanciato le sue contromisure. Pechino, infatti, ha annunciato oggi ulteriori dazi doganali del 15% su pollo, grano, mais e cotone statunitensi che entrano in Cina. Altri prodotti americani importati come sorgo, soia, maiale, manzo, prodotti ittici, frutta, verdura e latticini saranno soggetti a un’ulteriore tassa del 10%. “Washington, agendo unilateralmente, sta danneggiando il sistema commerciale multilaterale” e “indebolendo le basi della cooperazione economica e commerciale tra Cina e Stati Uniti”, ha spiegato il ministero delle Finanze cinese in un comunicato. Le nuove tasse entreranno in vigore dopo il 10 marzo 2025.

Ritenendo che “nulla giustifichi queste misure” americane, anche il Canada applicherà dazi doganali del 25% su alcuni prodotti americani, per un totale di 155 miliardi di dollari canadesi.

La prospettiva dei dazi doganali sta tuttavia iniziando a preoccupare gli americani, sia i consumatori sia le imprese. Segno della nervosità dei mercati, lunedì la Borsa di New York ha chiuso in forte calo, con gli indici che sono crollati sulla scia delle dichiarazioni del presidente americano proprio in merito ai dazi su Canada e Messico.

Alla fine di febbraio, due indici di fiducia dei consumatori sono crollati, spinti dalla paura di un rimbalzo dell’inflazione. L’inflazione fatica a tornare al 2% fissato dalla Federal Reserve (Fed) e alla fine del 2024 è addirittura aumentata leggermente. Un dato essenziale, dato che il presidente americano deve il suo successo principalmente alla promessa di ridurre i prezzi e migliorare il potere d’acquisto delle famiglie.

Lunedì, la pubblicazione dell’indice ISM della produzione industriale è stata accompagnata da commenti sulla paura, in un certo numero di industrie, che i dazi doganali diventino una nuova realtà. “Gli aumenti dei prezzi sono dovuti ai dazi doganali, il che ha portato a ritardi nell’assegnazione di nuovi ordini, interruzioni delle consegne da parte dei fornitori e ripercussioni sulle scorte”, spiega Timothy Fiore, un responsabile dell’ISM.