Un contesto normativo aggiornato per lo sviluppo dell’industria a zero emissioni, finanziamenti a breve e lungo termine per finanziarli, sviluppo di competenze e accordi commerciali per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime considerate critiche per la doppia transizione. Quattro pilastri e un solo obiettivo: lo sviluppo di una industria europea verde, a prova di dipendenze esterne.
Ha preso forma oggi nelle parole di Ursula von der Leyen il Piano industriale per il Green Deal, annunciato a Davos nelle scorse settimane come la “forte risposta” che l’Unione europea vuole dare al piano Usa contro l’inflazione, l’Inflation Reduction Act (Ira). Un piano di investimenti per le tecnologie verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dal governo statunitense in agosto, che fa preoccupare l’Ue perché potrebbe svantaggiare le imprese europee dal momento che prevede sgravi fiscali per acquistare prodotti americani tra cui automobili, batterie ed energie rinnovabili.
La presidente della Commissione europea è scesa in conferenza stampa dopo l’adozione della comunicazione (che non ha valore legislativo) messa a punto per contribuire al dibattito che si terrà la prossima settimana al Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, in cui la risposta dell’Ue all’Ira statunitense sarà tema centrale in agenda, insieme alla gestione comune dei flussi migratori. Sulla base del dibattito che si terrà tra i capi di stato e governo, la Commissione Ue dovrebbe presentare “entro metà marzo” le proposte legislative vere e proprie, così da arrivare a una discussione più articolata al Consiglio ordinario del 23 marzo.
Come anticipato nei giorni scorsi, il piano si fonderà su quattro pilastri. Sul piano normativo, von der Leyen conferma che il nucleo duro di questo piano per l’industria verde sarà il ‘Net-Zero Industry Act’, una Legge europea per l’industria a zero emissioni, sulla scia del ‘Chips Act’ varato da Bruxelles per i semiconduttori. L’atto normativo dovrebbe fissare degli obiettivi produttivi vincolanti entro il 2030, in base ad analisi settoriali specifiche, per quelle tecnologie che vengono considerate chiave per il passaggio allo zero netto, tra cui nella comunicazione vengono menzionate batterie, mulini a vento, pompe di calore, solare, elettrolizzatori (per la produzione di idrogeno rinnovabile) e tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio.
Un aumento massiccio dello sviluppo tecnologico verde va di pari passo con l’approvvigionamento delle materie prime critiche, utili per la realizzazione delle tecnologie pulite (vedi il litio per le batterie), di cui ora l’Ue dipende per il 98% dalla Cina. Per questo, la comunicazione conferma che a marzo sarà presentato anche il ‘Raw Material Critical Act’ (per ora calendarizzato all’8 marzo), un atto europeo sulle materie prime critiche che dovrebbe concentrarsi sull’estrazione, la lavorazione ma anche il riciclaggio delle materie prime critiche nell’Unione Europea, e sulla ricerca di sostituti. Terza novità legislativa sarà la riforma del mercato elettrico dell’Ue, anche questa attesa nel mese di marzo, che da quanto si legge nella comunicazione si concentrerà sui “contratti di prezzo a lungo termine per consentire a tutti gli utenti di energia elettrica di beneficiare di servizi più prevedibili e minori costi dell’energia rinnovabile“.
Il secondo pilastro, quello che rischia di creare maggiori fratture tra gli Stati membri, e riguarda i finanziamenti a breve, medio e lungo termine per lo sviluppo delle tecnologie pulite. Da una parte, Bruxelles ha proposto ai governi una revisione del quadro attuale sugli aiuti di stato per semplificare gli aiuti per la diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione dei processi industriali. La Commissione vuole che la flessibilità degli aiuti di Stato entrata in vigore per un periodo di tempo limitato a causa delle crisi della pandemia nel 2020, sia prorogata e rivista fino al 2025.
Consapevole che allentare le regole sugli aiuti rischia di creare una frammentazione del mercato unico e una frattura tra gli Stati che hanno lo spazio fiscale per gli aiuti pubblici (di cui la gran parte sono notificati da Germania e Francia) e quelli che non ce l’hanno, come l’Italia, la presidente ha confermato che proporrà un Fondo sovrano europeo per rilanciare l’industria, sfruttando la revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale in programma prima dell’estate 2023. Sulle tempistiche e su come il Fondo sarà finanziato in concreto non c’è nulla di sicuro. “Le discussioni andranno avanti in estate”, ha chiarito von der Leyen, senza sbilanciarsi. In attesa di un Fondo sovrano, Bruxelles evoca soluzioni finanziarie ‘ponte’ sfruttando risorse esistenti da redistribuire, come il piano ‘REPowerEU’ (che secondo von der Leyen avrebbe a disposizione almeno 250 miliardi di euro da poter redistribuire verso l’industria a zero emissioni), il programma InvestEU e il Fondo europeo per l’innovazione.
Il terzo e il quarto pilastro del piano riguardano rispettivamente lo sviluppo delle competenze e gli accordi commerciali per non perdere la corsa alle materie prime. Sul piano delle competenze di manodopera ‘verde’, Commissione promette ad esempio di avviare un partenariato di competenze su larga scala per le energie rinnovabili onshore nel quadro del Patto per le competenze entro febbraio 2023 ed entro la fine di quest’anno dar vita a un partenariato per le competenze sulle pompe di calore, portandone avanti un terzo sull’efficienza energetica.
L’ultima parte del piano riguarda l’accelerazione degli accordi commerciali, che la Commissione europea ritiene strategici per l’approvvigionamento di materie critiche. “Lavoreremo sulla nostra agenda commerciale”, ha confermato von der Leyen, precisando che l’esecutivo comunitario è al lavoro per concludere accordi con Messico, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Il Cile è il secondo produttore al mondo di litio, impiegato per le batterie, e anche l’Australia è uno dei maggiori produttori al mondo. Al vaglio anche un accordo con il Messico e la ripresa delle trattative con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) sospese dal 2019.