Studio del parlamento Ue: “A fine 2023 l’Italia ha speso il 22% delle risorse del Pnrr. Bisogna accelerare”

Il nostro Paese ha impegnato 43 miliardi di euro. In cifre assolute, il piano italiano è il più grande nell’ambito del programma di ripresa post-pandemica Next Generation Eu

Ritardi nell’attuazione e adesso anche frodi ai danni dell’Unione europea. Il Piano nazionale per la ripresa (Pnrr) per l’Italia si fa in salita, e il governo dovrà tenere la barra a dritta. Da una parte, una mole di denaro importante, senza precedenti, da utilizzare in tempi stretti e a ritmi serrati; dall’altra, la gola che tutto questo tesoro da 194,4 miliardi di euro tra garanzie (68 miliardi) e prestiti (126,4 miliardi) può fare ai malintenzionati. In questo momento il Paese sembra soffrire dei entrambi i mali. Il primo lo certifica il centro studi del Parlamento europeo, con un documento che avverte delle criticità attuative. Il secondo lo ufficializza la procura europea, nella maxi-operazione che ha portato all’arresto di 22 persone tra Italia, Austria, Romania e Slovacchia, per presunte frodi da 600 milioni di euro a danni del Pnrr italiano.

Nel suo programma di riforme l’Italia, allora a guida Mario Draghi, ha voluto gettare il cuore oltre l’ostacolo e impegnarsi per più di quelli che l’Ue richiede in materia di doppia transizione: 75,9 miliardi per la parte ‘green’ e 47,1 miliardi per quella innovativa. Spese, rispettivamente, per il 39% e il 24,2% del totale del piano, al di là degli obiettivi minimi comuni (37% e 20%). In questo libro dei sogni irrompe, però, la realtà, fatta di ritardi. Agli esperti del Parlamento europeo risulta che l’Italia, alla fine del 2023, aveva speso 43 miliardi di euro, ovvero il 22% delle risorse dell’Ue disponibili per il suo Piano “il che suggerisce l’importanza del periodo fino all’agosto 2026 per la piena attuazione, anche delle sue misure di investimento”. Dovrà essere il governo ad agire, in fretta e a livello centrale.

Nell’attuazione del Pnrr e il pieno utilizzo dei fondi del Recovery Fund sembra pesare, in negativo, la capacità della pubblica amministrazione. “Nel contesto di un’amministrazione pubblica ancora percepita come meno efficiente rispetto alla maggior parte dei paesi Ocse, l’attuazione dei progetti correlati è stata considerata in ritardo rispetto ai tempi previsti”. Secondo gli autori dello studio, “ponendo una maggiore attenzione ai progetti di grandi dimensioni e gestiti a livello centrale, si prevede che la revisione del Pnrr del 2023 aumenterà la probabilità di una piena attuazione”.

Ma occorrerà anche aumentare i controlli. Perché 600 milioni di euro di fondi non rimborsabili sarebbero finiti dove non dovevano, in mano a imprese fittizie e progetti di facciata. Un totale di 22 persone sono state arrestate al termine della maxi-operazione condotta in Italia, Austria, Romania e Slovenia. Un gruppo criminale sostenuto da una rete di commercialisti, fornitori di servizi e notai che avrebbero falsato gare e bandi. Otto sospettati sono stati posti in custodia cautelare, mentre altri 14 sono agli arresti domiciliari e a un contabile è stato vietato di esercitare la sua professione. Non un buon biglietto da visita per l’Italia, che comunque dimostra di controllare. Ma che adesso ha anche il nodo di 600 milioni spariti nel nulla, con il tempo per un’attuazione completa ed efficiente del Pnrr che stringe.

 

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