Nel mondo si torna a parlare di nucleare. Questa volta nella strategia ambientale, di decarbonizzazione necessaria a contenere il riscaldamento globale del Pianeta. Se in Italia siamo in grado di reggere una pianificazione, nonostante due referendum contrari e quasi quarant’anni di stop alle attività, è grazie alle tantissime imprese della Penisola che hanno continuato a occuparsene all’estero. “Sa quanta gente ci lavora in Italia? Ci sono cento industrie nucleari, sono quelle che hanno salvato il nostro parco nucleare”, spiega Stefano Monti, presidente dell’AIN (Associazione Italiana Nucleare).
Non è paradossale che se ne parli in ottica ecologica?
“No, il nucleare è un’energia pulita. Le emissioni di Co2 sono fra le più basse di tutte le possibili sorgenti, abbiamo un record di sicurezza che non ha nessuno. Se si considera tutta l’energia prodotta, il nucleare è quello che ha meno morti. Per il carbone muoiono cinquecentomila persone all’anno nel mondo. E poi attenzione, quando si parla di sicurezza, si parla di fatalità”.
Cioè del rischio di un’altra Fukushima?
“A Fukushima i morti li hanno fatti il terremoto e lo tsunami. Per colpa della centrale nucleare non è morto nessuno, perché le persone sono state rilocate. C’è stato senza dubbio un impatto, perché 150mila persone hanno dovuto abbandonare la loro casa, muoversi altrove per evitare la contaminazione. In questa maniera però non è morto nessuno per l’incidente. Nel Vajont invece sono morte quasi duemila persone in una notte. E c’è un incidente in un impianto idroelettrico cinese che ha fatto 20mila morti. Anche considerando Fukushima, il nucleare dimostra di essere più sicuro rispetto ad altri. Parliamo di reattori che sono ordini di grandezza più sicuri di Fukushima, che è stato progettato negli anni Cinquanta-Sessanta e in terza generazione tra il Novanta e il Duemila, in tutti questi anni le tecnologie sono avanzate. Non sottostimiamo la rilocazione di 150mila persone, ma così facendo non ci sono stati morti, vogliamo adottare una tecnologia ben superiore, che resista a uno tsunami eccezionale”.
Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, ha citato uno studio che parla di un ritorno sull’economia italiana da 45 miliardi e 42mila posti di lavoro. Sono numeri attendibili?
“Sono numeri attendibili. Bisogna poi concretizzarli nella situazione del nostro Paese. Possono diventare reali se iniziamo l’implementazione del nucleare il prima possibile. Diventeranno reali quando si creeranno le condizioni perché un’utility possa prendere la decisione di realizzare un impianto nucleare e vederne l’efficacia sul territorio e sull’economia. Ci sono metodi ben consolidati per fare queste valutazioni di impatto sull’economia e sulla forza lavoro, ma per poter concretizzare è ora di mettere a terra le cose concrete da fare”.
Quali sono le cose da mettere a terra?
“Sono condizioni indipendenti dalle tecnologie. Qualsiasi tecnologia richiede che vengano sviluppate le tecnologie materiali e immateriali nel rispetto dei più alti standard di sicurezza e di salvaguardia, perché bisogna difendersi dai problemi di non proliferazione. Sono quelle infrastrutture che l’International Atomic Energy Agency ha individuato in un milestone approach che accompagna i Paesi che intendono introdurre il nucleare nel proprio mix energetico e vanno sviluppati in maniera armonica durante il progetto. Sono 19, tra queste la legislazione, la regolamentazione di sicurezza e salvaguardia e poi l’infrastruttura principe, cioè le risorse umane. Ci vogliono risorse umane in tutti i campi”.
In quanto tempo in Italia potrebbe iniziare a funzionare una centrale?
“Io chiedo sempre alla politica di dirci quali sono i suoi tempi, quando ha bisogno di avere energia nucleare in quantità apprezzabile dal punto di vista della decarbonizzazione e della sicurezza degli approvvigionamenti. Invece di buttare sempre il cuore oltre l’ostacolo e affaticarlo per nulla, cerchiamo di mettere in fila le cose da fare in maniera che a un certo punto avremo le condizioni per poter produrre in quantità. Ovviamente al 2025 è impossibile. Ma ci reattori già molto avanzati”.
E’ la terza generazione?
“Questa questione delle generazioni è molto ‘misleading’, molto legata alla commercializzazione. Parliamo dei reattori esistenti che sono i più avanzati del mercato, collaudati, provati e operati, connessi alla rete per anni. Questi reattori, volendo si possono comprare oggi. Una utility può comprarla oggi? A mio parere no, perché mancano le infrastrutture di base”.
I tempi per costruirli quali sarebbero?
“Per mettere assieme un programma nucleare, che preveda le infrastrutture di base, la realizzazione di un impianto e la connessione in rete, un periodo di tempo dell’ordine di 10 anni è ragionevole. Lo hanno fatto gli emirati Arabi partendo da zero”.
Per i piccoli reattori di cui parla il governo invece?
“Quanto agli Smr, la Francia, che è il Paese più avanzato da questo punto di vista, ha detto che di quelli ne avrà uno all’orizzonte nel 2030-2032, dunque è ragionevole per noi averlo nel 2035. Ma servono sempre le infrastrutture. Poi se il reattore è piccolo probabilmente si riescono a trovare schemi di finanziamento più semplici. I possibili finanziatori aumentano e i tempi di realizzazione di riducono”.