Europa indietro su rinnovabili, Gryffroy: “Troppe direttive Ue frenano sviluppo”

Il Comitato europeo delle regioni prova a cambiare una situazione che sembra non tenere conto delle diverse realtà territoriali, tutte europee ma tutte diverse

Andries Gryffroy

Sullo sviluppo delle rinnovabili l’Europa è indietro. Sconta ritardi in termini di incentivi, ma paga la giungla di direttive europee che frenano sviluppo delle tecnologie e investimenti. Il Comitato europeo delle regioni prova a cambiare una situazione che, oltretutto, sembra non tenere conto delle diverse realtà territoriali, tutte europee ma tutte diverse. Le richieste sono contenute nel parere al progetto di modifica della direttiva sulle energie rinnovabili per soddisfare i nuovi obiettivi climatici per il 2030. Il relatore Andries Gryffroy (belga fiammingo, conservatore, esponente del gruppo EA), entra nel merito del testo nell’intervista concessa a GEA.

Nel vostro parere, che sarà oggetto di voto in Parlamento europeo, ponete l’accento sulla carenza di incentivi aggiuntivi per le rinnovabili. L’Europa è in ritardo?
“La questione è come intendiamo garantirci le forniture energetiche, e in tal senso le strade sono due: meno consumi, e più fonti sostenibili possibile. Questa seconda strada implica un maggior ricorso alle rinnovabili. Il punto è che non tutte le regioni sono uguali. Se prendiamo la mia regione, le Fiandre, parliamo di un territorio piatto, ad alta densità di popolazione. Se prendiamo l’Austria, abbiamo montagne ed aree meno popolose. Pensare di adottare le stesse politiche per tutti è sbagliato. Per questo chiediamo un processo diverso, una procedura decisionale che invece provenire dall’alto provenga dal basso, coinvolga territori”.

Quindi chiede che le città e le Regioni siano parte del processo legislativo?
“Esattamente. È quello che chiamiamo governance di multi-livello”.

Lei pone l’accento anche su una burocrazia eccessiva. Cosa serve a livello europeo per mettere i territori in condizione di investire dove serve?
“Un miglioramento del quadro normativo. Oggi ci sono troppe direttive sulla stessa materia, con quelle nuove in contraddizione con quelle vecchie”.

Sta dicendo che abbiamo direttive che non sostituiscono quelle esistenti?
“Esatto”.

Per esempio?
“Una è quella relativa alle batteria. La direttiva originaria permette l’installazione di pannelli solari sui tetti della case, la seconda direttiva in materia vieta la vendita dell’energia in eccesso. Questo non aiuta a ridurre il costo della bolletta, e crea incertezza. Poi ci sono le direttive sui progetti transfrontalieri. La prima direttiva riconosce l’esistenza di regolatori nazionali, stabilisce che ogni Stato membro ha il suo organismo, che poi segue le sue regole. La seconda direttiva intende favorire progetti che vadano oltre logiche e confini nazionali, ma non risolve il problema delle diverse Authorities e della diversità di norme”.

Avete un riscontro dalla Commissione europea su questo?
“No. Siamo in contatto con il Parlamento, visto che dovrà esprimersi sul nostro parere. I voti sono previsti maggio a livello di commissioni, poi il voto finale dovrebbe arrivare a giugno. Per la Commissione non è questo il momento di esprimersi. È chiaro che dopo il voto del Parlamento la Commissione dovrà fare qualcosa”.

Il Parlamento come si pone su questa vostra osservazione?
“Comprendono perfettamente. Devo dire che il feedback che abbiamo ricevuto è molto positivo.

Lei è belga. Come giudica la decisione del governo federale di prolungare il ciclo di vita delle centrali nucleari del Paese di altri dieci anni, fino al 2035?
“Positivamente. Parliamo di energia pulita, senza emissioni di CO2. Dal mio punto di vista è una soluzione buona e pulita. Poi, certo, serve maggiore ricerca per il nucleare di nuova generazione. Ma se chiederà ai belgi cosa ne pensano, credo che i tre quarti della popolazione sia favorevole al nucleare.

Teme che la guerra in corso, con tutto quello che ne consegue, possa mettere a rischio il Green Deal europeo?
Dipende da come lo si spiega. In tempi di crisi economica, come quella che stiamo vivendo, i cittadini pensano al portafogli, pensano a sé stessi, non pensano al clima o all’ambiente. Ma se diciamo loro che se si fanno carico dei costi della transizione adesso, pagheranno meno in futuro e diventeranno meno dipendenti dall’estero.