La crisi dell’olio d’oliva in Italia per colpa dei cambiamenti climatici

Secondo Coldiretti la produzione nazionale per il 2023 sarà di 290.000 tonnellate, contro le 315.000 del 2022

Alan Risolo ha un’espressione triste mentre contempla i suoi olivi spelacchiati, a circa quaranta chilometri a nord-est di Roma: i loro rami dovrebbero piegarsi sotto il peso delle olive, ma quest’anno i cambiamenti climatici hanno rovinato il suo raccolto. “La produzione è diminuita dell’80%“, dice amareggiato il 43enne barbuto agricoltore della Sabina, dove fin dall’epoca romana ulivi secolari e addirittura millenari dominano il paesaggio a perdita d’occhio. “Da qualche anno la nostra regione soffre molto dei cambiamenti climatici“, lamenta, riferendosi in particolare alle “piogge torrenziali” e ai “lunghissimi periodi di caldo che durano tutto l’autunno“. Per illustrare il suo punto di vista, indica un ramo con poche olive raggrinzite.

Poco distante, nel frantoio OP Lazio, sotto il paese di Palombara Sabina, gli operai sono impegnati a trasformare il magro raccolto in olio: le olive vengono lavate, schiacciate e trasformate in una pasta verdastra da cui si estrae il prezioso olio extravergine dal profumo intenso. “Nei mesi di aprile e maggio, che sono i mesi di massima fioritura, abbiamo avuto forti piogge che hanno spazzato via il polline, con il risultato che non c’erano frutti“, ha spiegato Stefano Cifeca, ingegnere agrario responsabile della qualità del frantoio, che è dotato di attrezzature all’avanguardia per servire i produttori della regione.

La Sabina non è l’unica regione colpita: la produzione nel centro e nel nord della penisola è crollata. La produzione nazionale è stata salvata dalla Puglia (il tacco dello stivale italiano), che rappresenta la metà dell’olio italiano, e dalla Calabria (la punta dello stivale). Secondo la Coldiretti, la principale organizzazione di rappresentanza del settore agricolo in Italia, la produzione nazionale di olio d’oliva per il 2023 sarà di 290.000 tonnellate, contro le 315.000 del 2022. Purtroppo questa carenza non è eccezionale, come sottolinea Alan Risolo: “Nel 2018 le gelate hanno azzerato la nostra produzione. Ci siamo ripresi a poco a poco, ma molto lentamente. E abbiamo dovuto affrontare altri problemi: la pioggia, il caldo, il cambiamento climatico, che nella nostra regione è diventato più grave“.

Per affrontare il cambiamento climatico, Unaprol, l’associazione nazionale che rappresenta i produttori di olio d’oliva, chiede “un piano strategico nazionale” per il risparmio idrico, il recupero dell’acqua piovana, la creazione di bacini di ritenzione, il riciclo dell’acqua e così via. Una visione condivisa a livello locale da Stefano Cifeca: “I fenomeni estremi causati dai cambiamenti climatici sono legati soprattutto all’assenza prolungata di pioggia per molti mesi: dobbiamo quindi cercare di intercettare le precipitazioni autunnali e invernali creando bacini di ritenzione per poter irrigare nei periodi di siccità“.

La posta in gioco è alta per l’Italia, che è il secondo produttore mondiale, molto dietro alla Spagna: secondo la Coldiretti, nella Penisola ci sono 150 milioni di ulivi, che rappresentano un fatturato annuo di tre miliardi di euro e danno da vivere a 400.000 imprese (aziende agricole, frantoi, aziende di trasformazione, ecc.). Per Alan Risolo, che è anche veterinario e quindi ha una seconda fonte di reddito, “il futuro dell’agricoltura è più che mai incerto perché non possiamo prevedere con precisione questi cambiamenti climatici“.

Di fronte a questa situazione, gli agricoltori potrebbero, ad esempio, “acquistare piante più resistenti al freddo o al caldo“, oppure “cambiare completamente il tipo di produzione“, suggerisce a malincuore. Stefano Cifeca non è ancora favorevole a questa soluzione radicale. “Per fortuna l’olivo è una pianta molto resistente che può adattarsi ai cambiamenti climatici e alle diverse regioni“, dice il cinquantenne dal sorriso contagioso, visto che gli olivi occupano l’80% della superficie agricola utilizzata in Sabina.

Oltre all’Italia, la produzione è diminuita anche a livello internazionale, in particolare in Spagna (-34% rispetto alla media dei quattro anni precedenti), con un conseguente aumento dei prezzi del 42%, secondo i dati pubblicati dalla Coldiretti a settembre.

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