Carburanti impazziti, è colpa della raffinazione. L’Italia in controtendenza

Il prezzo del greggio è tendenzialmente in calo. Eppure, accise e speculazione a parte, i prezzi non scendono. Al contrario, salgono.

Pare che un problema – o il problema – legato all’aumento dei carburanti, in particolar modo del gasolio, dipenda dalla raffinazione. Detto in poche parole: si raffina poco e male. Non solo in Italia ma in tutto il mondo. Poi, ma solo poi, entrano in gioco la speculazione e il taglio dello sconto sulle accise. Che, detto tra parentesi, da noi sono tra le più alte d’Europa.

Sostiene il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovambattista Fazzolari, che quei dieci miliardi di euro recuperati togliendo il risparmio a famiglie e imprese sono soldi che “verranno impiegati meglio” e che quel bonus alla pompa del carburante era a vantaggio essenzialmente “dei ceti più abbienti”. Al netto del fatto che si tratta di affermazioni da verificare – e ne scopriremo la veridicità nei prossimi mesi – resta in piedi un tema cogente: spendere di più per benzina e diesel significa mettere in ginocchio l’intera filiera di produzione nazionale. Però è altrettanto vero che salvaguardare le accise equivale a incamerare un gruzzolo di denaro che – verosimilmente – a marzo servirà per rimettere un freno al caro bollette. In sostanza, la coperta è corta.

Torniamo alla mancata raffinazione. Esiste una vera e propria geopolitica della raffinazione, che è mutata con la pandemia e con gli scenari che sono scaturiti da due anni vissuti al di fuori della normalità. Sintetizzando: benino l’Asia, male l’Europa, senza futuro l’Africa. Con certe prospettive, lanciarsi in previsioni diventa quanto mai azzardato. Ma riavvolgiamo il nastro. Il prezzo del greggio è tendenzialmente in calo perché viene determinato da domanda e offerta. L’inverno che stiamo attraversando, con temperature molto miti, aiuta a contenere le richieste, quindi a calmierare i prezzi perché c’è meno necessità. Eppure, sempre accise e speculazione a parte, i prezzi non scendono. Al contrario, salgono. La ragione di questo strano andamento è determinata appunto dalla mancata raffinazione del petrolio che viene estratto nel nostro pianeta. Solo una parte è sottoposto ai passaggi di raffinazione e questo determina il fatto che molte domande non possano essere evase.

È un deficit generalizzato, che va dagli Usa all’Africa, con la presa di coscienza che in Europa da anni è cominciata una lenta agonia del sistema, colpa di impianti desueti e di regolamenti sulle emissioni di Co2 in continua evoluzione. La Russia, poi, ha dato il colpo di grazia. Il Cremlino ha rallentato la sua raffinazione di fronte alle sanzioni imposte dalla Ue nonostante abbia dirottato il greggio verso la Cina e la Turchia. Putin che per parecchio tempo ha rappresentato una soluzione ai problemi di raffinazione di molti Paesi: si acquistavano prodotti già pronti all’uso, bypassando il disagio. Ora non funziona più così. In Italia sono 10 le raffinerie attive, dal caso particolare di Priolo in su e in giù. Sempre a meno di ulteriori dismissioni. Rimane un dato, nostro, cioè che ci riguarda direttamente ed è in controtendenza: nei primi nove mesi del 2022 le lavorazioni delle raffinerie italiane sono cresciute del 10,5%, ovvero 5 milioni di tonnellate in più rispetto al 2021. Ma non basta, a quanto pare…