Il quadro delle alleanze non è ancora definito, i programmi non sono stati depositati, ma come ogni campagna elettorale che si rispetti torna il toto-ministri. Questa volta, a dire il vero, un po’ di ‘colpe’ se le deve prendere il leader della Lega, Matteo Salvini. Perché è stato proprio lui ad accendere la miccia, invitando i suoi alleati del centrodestra a definire prima delle urne almeno un’ossatura di squadra governativa nel caso di vittoria alle urne il prossimo 25 settembre. Finora né Fratelli d’Italia, né tantomeno Forza Italia hanno risposto all’appello guardandosi bene dal fare un passo che molti analisti politici definiscono quantomeno ‘azzardato‘. Soprattutto per una formazione, quella di centrodestra, che tutti i sondaggi danno in largo vantaggio rispetto agli avversari del centrosinistra e anche del centro. Anche perché queste due ultime aree sono ancora in fase di costruzioni, con percorsi visibilmente accidentati.
Se la prudenza non è mai troppa per chi fa politica, l’arte di osare e andare oltre le dichiarazioni di facciata è invece il compito degli osservatori. Soprattutto i media. I primi rumors, così, non tardano ad arrivare e riguardano Giorgia Meloni. Secondo ‘Repubblica‘, la leader di FdI, in un colloquio avuto con Mario Draghi subito dopo le dimissioni, si sarebbe informata con il premier uscente sulle caratteristiche di alcuni ministri. Addirittura chiedendo all’ex Bce consiglio su chi potrebbe essere un asset importante da mettere in campo in un nuovo esecutivo, magari a sua guida. La risposta sarebbe stata Roberto Cingolani e l’ex dg di Bankitalia, Fabio Panetta. Sarebbe, appunto. Perché fonti di Palazzo Chigi non si attardano a smentire il retroscena: “Sono fantasiose e prive di fondamento le ricostruzioni riportate da ‘La Repubblica’ in merito a presunti contatti telefonici del presidente Draghi con Giorgia Meloni, con particolare riferimento a consigli o suggerimenti su nominativi per la composizione della futura compagine di governo“.
La notizia, però, gira a ritmo frenetico. Qualcuno fa il ‘matching‘ con alcune dichiarazioni proprio di Meloni dei giorni scorsi, in cui esprimeva un giudizio tutto sommato positivo sull’azione del ministro della Transizione ecologica. Il diretto interessato non entra nella partita, né per confermare né per smentire. A suo tempo chiarì che non sarebbe stato candidato, tanto che giovedì 4 agosto, in Cdm, lo stesso Draghi ha indirizzato gli auguri di buone vacanze ai ministri non impegnati nella campagna elettorale. Cingolani compreso, che infatti ha ascoltato con un sorriso evidente il premier mentre raccontava questo aneddoto in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio.
Il ‘problema‘, se così vogliamo chiamarlo, è che il rumors è arrivato fino a Lampedusa, dove Salvini è stato giovedì 4 venerdì 5 agosto. In un punto stampa qualcuno la domanda gliela fa. Prima risponde che non commenta i retroscena giornalistici, poi però qualcosa la dice. “Se Cingolani fosse a disposizione ne sarei ben felice: non penso abbia tessere di partito in tasca, però fra i ministri del governo uscente, anche se non ha nulla a che fare con la Lega, mi trovo bene“. Il tema che gli fa apprezzare di più il fisico prestato (temporaneamente) alla politica è il nucleare, su cui il responsabile del Mite è tornato più volte in questi mesi, soprattutto da quando è scoppiata la crisi energetica. Cingolani ne fa una questione teorica: studiamo, recuperando un gap più che ventennale, poi si vedrà. Il segretario del Carroccio, però, vorrebbe farne un punto programmatico: “Così come non si può più rinviare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, non si può più rimanere tra i pochi grandi Paesi al mondo che non producono energia col nucleare di ultima generazione“.
Un pensiero diametralmente opposto a quello di Nicola Fratoianni, alle prese con la decisione se accettare o meno l’accordo con il Pd. Mentre i Verdi sembrano ormai pronti a firmare, Sinistra italiana sta ancora riflettendo, lasciando il cuore del M5S e di Giuseppe Conte aperto a una speranza, seppur flebile, di accordo. Condividere ‘casa‘ con Carlo Calenda è un problema per Si: a dividerli sono, tra le altre cose, le idee sul rigassificatore di Piombino, sul nuovo termovalorizzatore a Roma e, appunto, il nucleare. La sostanza della fase politica, però, è molto meno articolata rispetto alla discussione su fissione o fusione: al massimo, in vista del 25 settembre, c’è ‘solo‘ il rischio che qualche leader possa restare col cerino in mano.