In arrivo una nuova ondata di gelo, attese bufere di neve

Freddo in arrivo dalla zona del Volga. Dalla Russia meridionale correnti artiche scenderanno verso la Romania ed i Balcani poi gradualmente entreranno in Italia causando un calo delle temperature di almeno 5-6 gradi rispetto agli ultimi giorni. Andrea Garbinato, responsabile redazione del sito www.iLMeteo.it, conferma che il ‘colpevole’ di questa irruzione polare è ancora l’Anticiclone delle Azzorre che, pigramente, staziona sulle Isole Britanniche e favorisce l’affondo di un’altra bordata gelida di Attila. In sintesi, con lo spostamento meridiano dell’Anticiclone delle Azzorre verso Inghilterra e Danimarca, la porta orientale verso la Russia rimarrà spalancata e permetterà l’ingresso alle correnti gelide della steppa.
Nelle prossime ore inizierà ad affluire questa massa d’aria fredda e secca da Nord-Est interessando in particolare il versante adriatico dove potrebbe attivare anche il famoso effetto ASE (Adriatic Snow Effect): questa configurazione meteorologica, in italiano ‘Effetto Nevoso causato dal mare Adriatico’ vede una massa d’aria fredda e secca in discesa dalle vallate delle Alpi Dinariche acquisire calore ed umidità durante l’attraversamento del Mare Adriatico. La massa d’aria in questo modo si trasforma da ‘molto fredda e secca’ a ‘fredda ma anche umida’, capace di scaricare nevicate intense sui contrafforti appenninici e spesso anche fin sulle spiagge adriatiche.
Da questa sera con l’Ase potremo quindi incontrare nevicate fino a quote collinari in Abruzzo e Molise, poi gradualmente durante il weekend non sono escluse spruzzate di neve fin sulle spiagge. Insomma l’ennesima bordata gelida di Attila, questa volta dalla regione del Volga, causerà un ulteriore peggioramento dalle Basse Marche fino al Sud. Anche sul Nord Italia e sul medio Tirreno ritroveremo un calo significativo delle temperature ma in genere il tempo resterà asciutto ed in prevalenza soleggiato.
In sintesi, nelle prossime ore, sono attese precipitazioni su Basse Marche, Abruzzo, Molise e al Sud; la quota neve al Centro sarà intorno ai 300-400 metri mentre al Sud i fiocchi scenderanno fino ai 700 metri della Campania e i 900 metri di Calabria e Sicilia.
Venerdì la situazione sarà simile ma più fredda ed instabile con la neve che potrebbe scendere fino a bassa quota sul versante adriatico del Centro e fino a circa 600 metri al Sud.
Nel weekend avremo due giornate simili ma un po’ diverse: sabato sono previste temperature decisamente basse su tutto lo Stivale con valori circa 6-8°C inferiori alle medie del periodo, mentre da domenica è attesa una temporanea spinta da parte dell’Anticiclone con qualche schiarita e temperature massime in leggero aumento.
La tendenza però vede un’altra discesa polare da Nord per i Giorni della Merla prima di un inizio di febbraio decisamente più mite e soleggiato: ma è solo una tendenza, vedremo cosa ci dirà la ‘Merla’ dal suo camino, durante i giorni che secondo la tradizione sono i più freddi dell’anno.

riviera romagnola

In Romagna si torna a fare il bagno. Boom di batteri causato da caldo e siccità

Contrordine sulle spiagge romagnole: i villeggianti possono tornare a fare il bagno in mare in piena sicurezza. Lo hanno comunicato ieri mattina gli assessori regionali all’Ambiente e al Turismo, Irene Priolo e Andrea Corsini durante una conferenza stampa dopo che ieri l’Arpa (agenzia per l’ambiente) aveva imposto lo stop a causa di valori anomali di batteri Escherichia coli nell’acqua di 28 tratti costieri (sei erano tornati già a norma nella giornata di giovedì).

Per tutta la giornata di giovedì era aleggiato il dubbio: perché questi valori erano fuori norma? Non piove da settimane, non ci sono stati sversamenti in mare, i fiumi non possono essere i responsabili dal momento che sono praticamente a secco. Allora perché una così alta concentrazione di batteri? Secondo gli esperti è colpa proprio del caldo e della siccità.

I risultati dei campioni aggiuntivi effettuati giovedì sulle acque della provincia di Rimini interessate dal divieto di balneazione hanno evidenziato valori di Escherichia coli nella norma in tutti i 21 tratti di spiaggia. I sindaci potranno pertanto emanare l’ordinanza di revoca del divieto di balneazione“, ha informato la Regione. “Domani arriveranno i risultati anche per il tratto di mare Spiaggina di Goro (Ferrara). La soglia limite del batterio – hanno detto i due assessori –, che è di 5000 cfu (unità formante colonia) per 100 ml di acqua, raggiunge oggi al massimo 135, ma nella maggior parte degli ultimi prelievi effettuati da Arpa non supera i 20-30 o anche meno“.

In Emilia-Romagna, hanno sottolineato Priolo e Corsini, la qualità dell’offerta turistica e ricettiva va di pari passo con la qualità del sistema dei controlli, che vengono eseguiti per la sicurezza delle persone, in particolare anziani e bambini. Qualità delle strutture ricettive e degli stabilimenti balneari, dunque, ma anche dell’acqua del mare, con i controlli che si mantengono costanti e la prossima rilevazione, come da programma, il prossimo 22 agosto.

L’assessora all’Ambiente Priolo si è quindi soffermata sulle cause dei dati anomali di martedì scorso, quando i controlli effettuati come di consueto da Arpae per garantire sicurezza e qualità della stagione balneare hanno evidenziato valori al di sopra della soglia. E ciò si è verificato verosimilmente per la compresenza di una serie di fattori che hanno favorito la proliferazione batterica: per la prima volta da decenni, Arpa ha registrato, attraverso 12 stazioni dislocate sul territorio, temperature superiori ai 40 °C per più giorni. Questo ha influito su un innalzamento della temperatura del mare, che ha visto da mercoledì improvvise mareggiate dopo un lungo periodo di calma. A ciò si è aggiunta la scarsa ventilazione e la siccità, con un apporto idrico dei fiumi al mare estremamente ridotto.

batterio

Diversi studi di Ispra, Legambiente ed Eea (Agenzia europea dell’ambiente) spiegano infatti che la siccità porta con sé il rischio di aumentare la concentrazione di sostanze inquinanti nei corpi idrici. È una questione chimica: la concentrazione di una sostanza è maggiore se è diluita in meno acqua. Per quanto riguarda le sostanze presenti di origine antropica, gli ultimi dati dell’annuario dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) per il periodo 2018-2019 dicono che l’82% delle circa 3.800 stazioni di monitoraggio analizzate non presenta superamenti delle soglie di concentrazione delle sostanze inquinanti, tuttavia circa il 18% supera i valori in uno o più casi. La situazione non è delle migliori neanche per quanto riguarda le condizioni quantitative delle riserve idriche sotterranee. Sempre secondo il rapporto dell’Eea, in Italia quasi il 10% dei corpi idrici sotterranei analizzati si trova in situazione di scarsità.

La situazione più grave si concentra nelle Regioni del Sud, dove l’abbassamento del livello delle falde porta a fenomeni di intrusione salina con conseguente perdita della risorsa di acqua potabile. In particolare in Puglia il 45% delle riserve si trova in condizioni di quantità critiche. Ma nelle ultime settimane anche la zona della foce del Po ha registrato criticità con una forte risalita del cuneo salineo (si parla di una trentina di km).

Ma perché ci sono questi batteri in mare? La presenza di Escherichia coli e di enterococchi, spiegano le agenzie regionali per l’ambiente, è legata all’esistenza di scarichi diretti di fognature non depurate oppure scarichi mal depurati o mal disinfettati. Per la balneazione la norma nazionale di riferimento è il Decreto Legislativo 116/08, che recepisce la Direttiva 2006/7/CE. La norma tecnica applicativa è il D.M. 30/03/2010, che sancisce che la valutazione sia effettuata sulla base dei soli parametri batteriologici Escherichia coli ed enterococchi intestinali, indicatori di contaminazione fecale, che i controlli abbiano frequenza mensile, da aprile a settembre, in base ad un calendario prestabilito, che la valutazione venga effettuata secondo un calcolo statistico e le acque siano classificate sulla base dei dati delle ultime 3-4 stagioni balneari. Il divieto di balneazione per un sito e la sua revoca avvengono a seguito di esito sfavorevole di una sola analisi.

Adriatico

Da 130mila anni l’Adriatico resiste alle variazioni climatiche

Gli ecosistemi marini dell’Adriatico si sono dimostrati resilienti alle variazioni climatiche avvenute negli ultimi 130.000 anni e potrebbero quindi riuscire ad adattarsi ad un aumento limitato delle temperature, se verrà ridotto e controllato l’impatto diretto dell’attività umana sulle aree costiere. A mostrarlo sono i risultati di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology e guidato da Daniele Scarponi, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.

I dati emersi dalle associazioni fossili che abbiamo analizzato documentano la variabilità delle comunità in relazione ai mutamenti climatici del passato e sottolineano la capacità di adattamento che la fauna marina dell’Adriatico ha mostrato rispetto ai cambiamenti ambientali di lungo periodo avvenuti negli ultimi 130.000 anni”, spiega Scarponi. “Al tempo stesso – aggiunge – questi risultati sono un riferimento per valutare l’impatto dell’attività umana sulle regioni costiere che, tra inquinamento, pesca intensiva e introduzione di specie invasive, rischia di portare queste aree al di fuori dei limiti di adattabilità degli ecosistemi marini”. L’aumento delle temperature dei mari e le sempre più frequenti anomalie termiche generate dal cambiamento climatico stanno infatti portando molti studiosi a interrogarsi sulle possibili capacità di adattamento degli ecosistemi colpiti. Le analisi basate su monitoraggi diretti sono però limitate dalla possibilità di osservare periodi molto brevi (alcuni anni o al massimo decenni). In alternativa, è possibile realizzare simulazioni basate su modelli teorici che però – vista la complessità degli ecosistemi – comportano inevitabilmente ampi margini di incertezza.

Per superare queste difficoltà, i ricercatori hanno quindi deciso di basarsi sull’analisi di resti fossili della fauna marina dell’Adriatico e ricostruirne così le dinamiche in relazione ai cambiamenti climatici del passato. Sono stati prelevati 223 campioni in diversi depositi costieri e ne è stato esaminato il loro contenuto fossilifero, costituito principalmente da bivalvi, gasteropodi e scapofodi (circa 71.300 esemplari) che popolavano zone di bassa profondità influenzate dalla presenza di sistemi fluviali. I fossili risalgono a tre diversi periodi temporali. Il nucleo più antico appartiene al “precedente interglaciale”, circa 120.000 anni fa, quando le condizioni climatiche del Mediterraneo erano più calde delle attuali e potrebbero quindi rappresentare possibili scenari futuri legati al cambiamento climatico. Il secondo gruppo risale invece all’ultimo periodo glaciale, intorno a 20.000 anni fa, quando le temperature medie erano circa 6°C più basse di quelle attuali. Infine, la terza serie di campioni fossili risale a circa 5.000 anni fa: un periodo con temperature simili a quelle attuali, ma precedente ad un impatto significativo dell’azione dell’uomo sugli ambienti costieri studiati.

Dal confronto tra questi tre gruppi di associazioni fossili è emerso come la fauna della fascia costiera adriatica sia resiliente: nel corso del tempo ha saputo ristrutturare la propria composizione in modo da adattarsi in caso di perturbazione climatica e ricomporsi nuovamente quando le condizioni ambientali sono tornate simili a quelle precedenti. “Analizzando i resti fossili preservati nei sedimenti depositati nei tre intervalli climatici, abbiamo scoperto che le associazioni a molluschi del ‘precedente interglaciale’ sono statisticamente indistinguibili da quelle che hanno popolato gli ambienti marini dell’Adriatico di qualche migliaio di anni fa, mentre quelle dell’ultimo periodo glaciale sono molto diverse rispetto agli altri due intervalli temporali”, conferma Scarponi. “Questo significa – spiega – che le associazioni cambiano nella loro struttura a seguito della perturbazione climatica, ma si ricompongono quando le condizioni ritornano simili a quelle pre-perturbazione”.

Dai dati raccolti, gli studiosi suggeriscono che la resilienza mostrata in passato potrebbe permettere alla fauna marina dell’Adriatico di adattarsi ad un aumento ridotto delle temperature medie. A patto però che insieme alle azioni per contenere l’innalzamento delle temperature ci siano anche accorgimenti per limitare l’impatto delle attività umane sulle aree costiere. “Le modifiche strutturali dell’ambiente costiero ad opera dell’uomo, le attività di pesca intensiva e di acquacoltura, così come l’inquinamento delle acque stanno modificando la composizione degli ecosistemi nell’Adriatico”, dice ancora Scarponi. “L’impatto di queste azioni sulla varietà e sull’abbondanza delle specie marine è già oggi molto più forte di quello generato dalle naturali variazioni climatiche avvenute negli ultimi 130.000 anni”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Global Change Biology con il titolo ‘Resilient biotic response to long-tem climate change in the Adriatic Sea’. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Daniele Scarponi e Michele Azzarone del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali. Hanno partecipato, inoltre, ricercatori dell’Università di Vienna (Rafał Nawrot), dell’ISMAR – CNR (Claudio Pellegrini, Fabiano Gamberi e Fabio Trincardi) e dell’Università della Florida (Michał Kowalewski).

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