Salvemini (Anci): “Aiutare famiglie per transizione, non scaricare su di loro costi”

A Ecomondo in questi giorni si sono presentati progetti per la decarbonizzazione, studi, prospettive, case history eco-sostenibili, sistemi industriali. Sembra che la transizione sia a portata di mano, poi però – almeno leggendo i report sull’autorizzazioni ambientali – notiamo che all’ultimo miglio qualcosa si blocca. Carlo Salvemini, primo cittadino di Lecce, delegato Anci per energia e rifiuti, ne ha parlato con GEA.

Sindaco, secondo lei serve una gestione commissariale, tipo Figliuolo per la vaccinazione, per accelerare la transizione energetica?

“Non credo serva ricorrere a poteri straordinari di un commissario in deroga, serve un fortissimo indirizzo politico, una chiara definizione di compiti e responsabilità e un doveroso rispetto di impegni sanciti anche dal legislatore. Il Paese attende da anni un Piano di gestione dello spazio marittimo che stabilisca i criteri per la localizzazione degli impianti offshore secondo un disegno pubblico che li renda compatibili con l’ambiente e le vocazioni dei territori. Questa non può essere una responsabilità trasferita alle amministrazioni locali che sono travolte da proposte di realizzazione di plurimi impianti da parte di privati. Serve al più presto, poi, una pianificazione idonea degli impianti a terra. Lo dico dalla Puglia che è un caso esemplare da tenere a mente. Qui sono stati commessi degli errori da cui trarre utili lezioni”.

Quali sono?

“La Puglia è la regione leader per potenza installata tra eolico e fotovoltaico. Nonostante questo, abbiamo una Co2 pro capite superiore alla media nazionale. Questo perché non abbiamo accompagnato l’investimento in rinnovabili con politico di transizione energetica, ma ci siamo limitati a integrarlo con la produzione esistente da fonti fossili. Inoltre, non abbiamo garantito benefici economici in bolletta ai pugliesi e non abbiamo favorito la creazione a livello locale di una filiera delle rinnovabili”.

Impianti rinnovabili sparsi qua e là generano problemi e costi per l’equilibrio e l’allaccio alla rete?

“Secondo i target di sviluppo delle rinnovabili da qui al 2030, alla Puglia è assegnata una quota di 8 Gw nell’ambito degli 80 da produrre a livello nazionale. Sul potale di Terna, al momento, la sola Puglia è destinataria di richieste di installazione da parte dei privati di una potenza pari a 83 Gw. C’è qualcosa che non funziona o, meglio, qualcosa che manca. Una strategia nazionale e un quadro regolatorio chiari”.

I sindaci sono chiamati a gestire quasi un terzo delle risorse Pnrr. Devono coniugare miglioramento della mobilità urbana e potenziamento dei mezzi pubblici con il tentativo di abbattere i disagi dei cittadini, levando magari loro parcheggi o limitando la circolazione in alcune parti della città. Non tutti i comuni però sfruttano il Pnrr: è una questione di capacità gestionale-organizzativa o si teme di perdere consensi?

“I problemi che il Pnrr genera per i Comuni sono altri, secondo me. E li abbiamo vissuti in relazione al carico di lavoro che il Piano ha aggiunto su macchine organizzative che in tanti casi sono già sottodimensionate per energie e competenze specialistiche. C’è un impoverimento diffuso della dotazione organica dei Comuni negli ultimi dieci anni, certificato da dati Istat, Anci e Ifel, che fotografa la difficoltà dei comuni nel predisporre progetti complessi in tempi affannosi e ristretti. Questo è successo perché il Pnrr è stato costruito sulla logica dei bandi ministeriali ai quali i Comuni erano invitati a partecipare. Dato che l’obiettivo strategico del Piano è quello di ridurre i divari per migliorare la competitività complessiva del Paese, sarebbe stato più efficiente procedere con una pianificazione degli investimenti e una distribuzione delle risorse fatte dall’alto e lasciare poi a Comuni e Province il compito di realizzare i progetti. Sostenendo le aree più deboli. La logica del bando invece mette tutti alla pari sul nastro di partenza, senza tenere conto delle differenze esistenti tra i comuni riguardo a dimensioni, competenze, personale. Il rischio è quello di ottenere il risultato contrario, cioè assegnare risorse a chi è già avvantaggiato”.

Le rinnovabili piacciono a tutti a parole, tuttavia in alcuni territori si riscontrano ostilità verso pale eoliche o pannelli solari, così come rigassificatori o depositi. Serve un maggior dialogo con la cittadinanza da parte di istituzioni nazionali o europee? È passato forse un messaggio sbagliato della transizione?

“Non è si è compreso fino in fondo l’urgenza di procedere alla transizione energetica, che è adottare politiche di mitigazione del riscaldamento globale. La notizia del secolo, cioè che la crisi climatica, non diventa la notizia del giorno. Questo è un problema, non solo di comunicazione, ma anche di gestione del consenso diffuso che deve necessariamente sostenere la transizione e di come accompagnarlo”.

Dove vuole arrivare?

“Faccio due esempi. Caso tedesco e italiano. In Germania il Governo impone che il riscaldamento a gas nei condomini venga sostituito da pompe di calore, meno inquinanti. Ma queste costano di più e le famiglie del ceto medio si ribellano al governo. Caso italiano, si spinge per la conversione dei veicoli dal motore endotermico all’elettrico. Anche qui i costi per l’acquisto di veicoli elettrici sono ancora proibitivi per il cittadino medio. Così non può andare. La transizione va sostenuta aiutando le famiglie a farla propria, non scaricando sulle loro spalle i costi. Serve una maggiore determinazione, la tutela del pianeta ci riguarda tutti e tutti devono essere messi nelle condizioni di fare la propria parte”.

Economia circolare e rifiuti, termovalorizzatori… arriveremo a sfruttare meglio l’immondizia per generare energia in tutta Italia e non solo in alcune parti del Paese?

“È doveroso che la raccolta differenziata sia omogena in tutta Italia, dobbiamo far diventare l’eccezione la regola e l’eccellenza un sistema. Ormai è inaccettabile il “non si può fare”, serve forte determinazione politica per portare le città a livelli media di differenziata intorno al 70-80%. Inaccettabile che ci siano ancora importanti aree urbane con un tasso di differenziata inferiore al 50 per cento. Perché ciò che non si differenzia va in discarica e diventa responsabile di emissioni climalteranti. Noi siamo ancora indietro, però va detto che il messaggio degli ultimi 20 anni è stato sbagliato. Abbiamo detto ai cittadini che differenziare conviene perché si paga una tassa sui rifiuti più bassa. Poi accade, anche nella mia città – Lecce è al 70% – che non si riesca a ridurre la bolletta del cittadino perché non ci sono gli impianti di compostaggio vicini e occorre pagare ingenti costi di trasporto della nostra frazione organica versi gli impianti privati. Avremmo dovuto invece dire da subito che senza un sistema di impianti di recupero capillare ed efficiente, pianificato e possibilmente realizzato dal pubblico, i costi non sarebbero diminuiti. E che un impianto di compostaggio non è un ecomostro da contrastare, ma una infrastruttura ambientale necessaria per la sostenibilità. Oggi la nostra sfida è questa: correggere il messaggio e colmare il deficit impiantistico per consentire impianti di trattamento di prossimità alle aree urbane, così da chiudere il cerchio dell’economia circolare”.

Siccità e alluvioni. I sindaci sono in prima linea di fronte a eventi estremi meteorologici. Quando accade una tragedia si fanno promesse di ogni genere, poi però tocca ai primi cittadini dare risposte alla gente e lavorare sulla prevenzione: avete risorse per fare tutto questo?

“C’è difficoltà nel far comprendere l’importanza delle politiche di adattamento e mitigazione e nel far capire che i soldi che si investono nelle misure di contrasto sono enormemente inferiori a quelle che servono per ricostruire. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente ha recentemente certificato che ogni miliardo di dollari speso per prevenzione dei rischi si traduce in un risparmio di 14 miliardi di eventuali costi di ricostruzione dopo i fenomeni estremi. Ma noi non ci siamo preparati al clima che cambia, non abbiamo fatto gli investimenti necessari in prevenzione e di conseguenza siamo esposti continuamente al rischio”.

Presto in cdm Dl Energia: Scorie, liberalizzazione mercato elettrico, eolico offshore

Il Mase lavora a un Decreto sull’energia che sarà pronto a giorni e andrà presto in consiglio dei ministri. Un provvedimento a largo spettro, che riguarderà temi “storici“, spiega il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ma anche nodi recenti.

Prima tra tutte, l’annosa questione delle scorie nucleari, per la quale si prevede l’apertura ad auto-candidature da parte di diverse realtà che vorranno ospitare i depositi. “Il quadro è completamente cambiato rispetto a 40 anni fa, ora si può trovare una soluzione“, garantisce il ministro.

In queste ore, il ministero sta valutando la liberalizzazione del sistema del mercato elettrico, per dare respiro alle famiglie, “in un momento in cui non c’è certezza che il quadro geopolitico tenga, che quindi i prezzi possano essere previsti, perché l’energia per noi è ancora fortemente legata al gas, ci vuole cautela“, raccomanda Pichetto.

Si interviene poi sulle aree idonee per le rinnovabili, sull’eolico offshore, sulla possibilità di inserire delle grandi grandi piattaforme in mare aperto, fino a 50×50 chilometri, con valutazioni che, sostiene il ministro, “richiedono una scelta politica decisa da parte del governo”.

Altra partita è quella di una possibile proroga degli aiuti sulle bollette, in scadenza a settembre. Finirà in un provvedimento diverso, il “Decreto Economia”, riferisce: “Stiamo valutando come muoverci rispetto all’ultimo trimestre e rispetto alle condizioni di mercato. È possibile che ci siano, dipende però anche sempre dalla coperta”, afferma, lasciando intendere che lo spazio di manovra non sarà ampio.

Gli enti locali, intanto, attendono il decreto ministeriale attuativo per le comunità energetiche. Anche quello, sarà pronto a giorni, con alcune modifiche già concordate a luglio. Per informare i sindaci, Gse e Anci stanno preparando un vademecum. “L’obiettivo è dare informazioni ai comuni per inserire l’autoconsumo energetico nelle proprie prassi ma anche per colmare le asimmetrie informative tra amministrazioni e privati. Sulle comunità energetiche da tempo si è sviluppata un’aspettativa alta e la materia è complessa, per questo ci occupiamo di dare un contributo informativo ai sindaci”, chiarisce Carlo Maria Salvemini, sindaco di Lecce e delegato Anci all’energia.

C’è un’aspettativa enorme per i comuni e gli enti locali, ma anche per la Cei, che vuole investire in comunità energetiche, che consentono un grande risparmio”, conferma il presidente di Gse, Paolo Arrigoni. Ad oggi, sono state realizzate 85 configurazioni, di cui 64 di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche rinnovabili. Nei prossimi 5 anni l’obiettivo stimato dal Mase è installare 7 Gw di rinnovabili. Con il prossimo decreto ministeriale ci sarà un ampliamento dell’attuale disciplina transitoria, sia sul perimetro territoriale, sia sulla platea (estesa a enti del terzo settore, di ricerca e religiosi), ma anche in termini di potenza del singolo impianto: si passa da 200 kW a un megawatt “I benefici sono evidenti, nel Paese c’è fermento, si attende la messa a terra di tutti gli strumenti, a partire dal decreto“, afferma Arrigoni. Gse dovrà gestire sia lo sportello per l’allocazione dei 2,2 miliardi previsti nel Pnrr per i comuni sotto i 5mila abitanti e che i calcoli per gli incentivi, il cui ammontare è da stabilire.