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Montani (Cai): Turismo dolce ed ecocompatibile, impariamo a goderci la natura

Dall’esplosione della pandemia di Covid, il turismo in montagna ha conosciuto un boom davvero notevole. Questa crescita di interesse spesso si scontra con la sostenibilità: molto si può fare per migliorare la situazione, con effetti positivi anche per gli stessi turisti. Il Club Alpino Italiano (CAI) da 159 anni si occupa della diffusione delle conoscenze – culturali, sociali, ambientali, alpinistiche ed escursionistiche – sulla montagna, della sua tutela e valorizzazione. L’Italia è circondata dal mare, ma è anche completamente innervata da montagne che costituiscono il suo scheletro, la struttura che regge il Paese e non solo da un punto di vista fisiologico-simbolico, ma anche sostanziale. La montagna, infatti, è da sempre fonte di materie prime, di energia, di cibo… Il ruolo del CAI, quindi, è storicamente prezioso. E lo è particolarmente in questi anni in cui il turismo nelle aree montane ha conquistato nuovi frequentatori e appassionati.

Il presidente Antonio Montani, piemontese di Verbania eletto da poche settimane alla guida nazionale del Club Alpino Italiano, racconta a GEA quanto e come l’impegno di questa immensa rete di volontari si stia sviluppando per accompagnare una nuova epoca d’oro – almeno potenziale – del turismo montano. “Incominciamo con qualche numero: siamo circa 330mila soci, quindi una grande organizzazione molto diffusa e radicata sul territorio attraverso 800 sezioni e sottosezioni che gestiscono 714 strutture tra rifugi e bivacchi per un totale di oltre 20mila posti letto. Attraverso questa rete e i gestori a cui sono affidate le strutture ci occupiamo di accoglienza e turismo in montagna, turismo sostenibile per definizione. La grande crescita nella frequentazione della montagna di questi ultimi tre anni ha comportato alcune conseguenze non positive: un aumento di oltre il 20 per cento degli interventi del Soccorso Alpino, passati da 8000 a circa 10mila, che è anche il risultato di un approccio poco consapevole e poco dolce alla montagna. Moltissimi si sono sentiti attratti dagli ambienti aperti, selvaggi, dai paesaggi meravigliosi e dalla natura incontaminata ma senza avere consapevolezza del fatto che la natura richiede rispetto, tempo e attenzione. Ad esempio: l’utilizzo di scarpe e abbigliamento adatti, una frequentazione che lasci l’impronta umana più leggera possibile per quello che riguarda rifiuti o emissioni con auto e moto. Al contrario, abbiamo avuto una frequentazione fatta soprattutto di gite giornaliere, per prendere un po’ di fresco qualche ora”.

La proposta del CAI è diversa. Spiega Montani: “Noi sconsigliamo questo tipo di approccio perché molto impattante e anche poco efficace per lo stesso turista: in primo luogo crea grossi volumi di traffico su ambienti che sono fragili; poi perché dal punto di vista economico è l’approccio che lascia meno ai territori; infine, perché chi resta tre-quattro ore su un prato o sulla riva di un ruscello a cento metri dal parcheggio non potrà apprezzare e godere granché. Noi, viceversa, proponiamo e promuoviamo una frequentazione più lenta, muovendosi a piedi e con soggiorni ed escursioni di più giorni. Ci sono livelli di difficoltà adatti a tutti, non è necessario essere provetti alpinisti per godere di luoghi meravigliosi. Questo consente di immergersi davvero nella bellezza e ricchezza della natura, apprezzando fino in fondo dei benefici che essa ci porta. E fermandoci a dormire e mangiare nelle strutture locali consentiamo anche a questi territori di sviluppare economia, di vivere e di continuare ad essere popolati, magari da famiglie giovani, contribuendo così alla loro buona conservazione. Inoltre, restare in montagna per alcuni giorni ci permette di apprezzare momenti speciali come la sera o il mattino presto, pieni di fascino e di meraviglia che ci perdiamo con le gite in giornata. Insomma: c’è un fattore economico, uno ambientale ma c’è un fattore culturale, se vogliamo, di percezione della immensa ricchezza rappresentata dalla natura nel suo insieme”.

È una questione in gran parte di sensibilizzazione e formazione delle persone che si avvicinano alla montagna con entusiasmo ma scarsa conoscenza e privi di consapevolezza. Basta veramente poco per assecondare questa fame di montagna e aprirla a una frequentazione attenta e più duratura nel tempo. “Considerando che non siamo un operatore economico ma una associazione di volontari – racconta il presidente del CAI – cerchiamo di fare la nostra parte in questo senso ogni giorno, anche con la divulgazione che ciascun socio fa nella propria rete di conoscenze. In particolare, però, ci stiamo concentrando su due progetti emblematici che fanno un po’ da calamita per attirare le persone sulla tipologia di turismo che intendiamo proporre. Il primo è il rilancio del grande progetto del Sentiero Italia CAI, che è stato definito il trekking più lungo del mondo: circa 7600 chilometri, 518 tappe attraverso tutte le regioni italiane. Ovviamente può essere affrontato a tratti di tre-sette giorni in base alle capacità, esigenze e possibilità di ciascuno. Ma la sua frequentazione negli anni ci permetterà di apprezzare la grande varietà e la grande bellezza del nostro Paese. Abbiamo realizzato una guida, 10 volumi e 3500 pagine per racchiudere tutto questo immenso patrimonio. Abbiamo realizzato un nuovo sito (https://sentieroitalia.cai.it/), lavoriamo sui social e adesso abbiamo in programma, proprio da quest’anno, una forte promozione all’estero, grazie anche ai fondi che abbiamo avuto dal Ministero del Turismo con cui stiamo sviluppando una collaborazione veramente eccellente in ogni sua articolazione”.

Perché i turisti stranieri, in particolare quelli del centro e nord Europa, apprezzano particolarmente questo tipo di vacanza: “Abbiamo già qualche riscontro positivo – chiosa Montani – attraverso le strutture. Sono già 300 quelle che hanno sottoscritto un disciplinare ed espongono la targa del punto accoglienza del Sentiero Italia CAI”. Un altro “elemento importante – racconta ancora il Presidente CAI – è quello che riguarda più in generale la grande infrastruttura per il turismo dolce e per il turismo ecocompatibile: la rete sentieristica italiana. Nel nostro Paese abbiamo 180.000 km di sentieri. Noi stiamo lavorando al catasto nazionale dei sentieri, che vuol dire attribuire a ogni singola tratta, da bivio a bivio per intenderci, un codice univoco che permetterà di poter programmare la manutenzione: tenere in buone condizioni questa infrastruttura, che è un’infrastruttura totalmente ecologica, è una delle basi necessarie per poter sviluppare un turismo sostenibile. Su 180.000 km totali il CAI si occupa della manutenzione su 64.000 km di sentieri: la rete Autostrade per l’Italia misura 6500 km, noi ne abbiamo 10 volte tanto e questo dà l’idea di quello che fanno i nostri volontari”.

Turismo sostenibile significa tutela della montagna, ambientale e sociale. “È una risorsa fondamentale per l’uomo, non solo per il nostro Paese. Per questo siamo impegnati su tutti i tavoli di Asvis, l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, e proprio con un occhio particolare a questi valori ecosistemici. Pensiamo a quello che sta accadendo quest’anno con la siccità e lo scioglimento dei ghiacciai, in particolare al Nord. Portare le persone in montagna è importante anche per questo: camminando e stando sui luoghi ci si rende conto di quale sia la situazione e di quanto sia importante contribuire e fare la propria parte. Noi vogliamo stare sui territori anche per discutere gli ambiti di sviluppo, le opportunità di crescita, di vita in montagna, con un’attenzione particolare alle persone, alle popolazioni di montagna. Anche per questo un turismo sostenibile è la miglior chiave di sviluppo possibile”.

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Giochi 2026, le (tante) perplessità del fronte ambientalista

I Giochi olimpici più sostenibili di sempre? Non proprio, secondo le tante obiezioni che si sono levate dal mondo ambientalista negli ultimi tempi riguardo la realizzazione delle opere necessarie per Milano Cortina 2026. Perplessità che a metà aprile sono state messe nero su bianco dai presidenti nazionali di otto associazioni (Cai, Federazione Nazionale Pro Natura, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness Italia, Touring Club Italiano, Wwf) che in una dichiarazione congiunta hanno espresso “la loro forte preoccupazione per il grave impatto ambientale che rischia di essere provocato dalle opere previste per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026“. Le associazioni, scrivono, “non possono che denunciare il fatto che non sia stata avviata una VAS (Valutazione Ambientale Strategica, nda) nazionale e che manchi un percorso pubblico sulla questione Olimpiadi“. E sottolineano: “La percezione è che, ad oggi, si punti al commissariamento straordinario degli interventi per recuperare l’evidente ritardo sulla tabella di marcia dei lavori, tutto ciò a scapito degli impatti ambientali che le opere in corso e in progetto avranno sui territori“. Insomma, la galassia ambientalista pretende maggior trasparenza dalle istituzioni per evitare che il grande evento si trasformi in un’occasione sprecata, se non dannosa, per la montagna.

L’attenzione è rivolta in particolare al cluster di Cortina, la “perla delle Dolomiti” situata al centro di un territorio dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Non è un caso che il Cai abbia deciso di tenere il 10 luglio proprio a Cortina il suo Consiglio centrale. “È un modo per testimoniare in maniera concreta il nostro impegno per la tutela dell’ambiente montano – ha spiegato il nuovo presidente Antonio Montani in questo particolare caso legato alle prossime Olimpiadi invernali, e per uno sviluppo che sia davvero attento alla sostenibilità“.

Grosse critiche riguardano l’impianto per il bob che prenderà il posto della storica pista Eugenio Monti, oggi inservibile e destinata a essere smantellata e ricostruita da zero. Il costo stimato dei lavori dovrebbe essere di 61 milioni di euro per quello che “diventerà un punto di riferimento per gli sport invernali”, ha assicurato il presidente del Veneto Luca Zaia. Italia Nostra, Mountain Wilderness e i Comitati ambientalisti del Cadore la pensano in modo diametralmente opposto e parlano del rischio di costruire una “cattedrale del deserto” dai costi futuri insostenibili, simile alla pista di Cesana per Torino 2006: costata 110 milioni di euro, è stata completamente abbandonata al proprio destino a causa dei costi di gestione troppo elevati. A tal proposito, qualche settimana fa la consigliera regionale di Europa Verde, Cristina Guarda, ha evidenziato come, nel carteggio tra Cio e Regione Veneto, il Comitato Olimpico Internazionale avesse da subito espresso l’opportunità di non costruire un nuovo impianto e di puntare su strutture già esistenti, raccomandazione questa contenuta anche nell’Olympic Agenda 2020, documento che fissa le linee guida per le candidature a cinque cerchi. La soluzione? Far disputare le gare di bob, slittino e skeleton a Innsbruck, in Austria, dove esiste una pista con costi nettamente inferiori per l’adeguamento ai parametri olimpici. Altre perplessità riguardano il progetto del Villaggio olimpico (realizzazione temporanea da rimuovere dopo i Giochi) in località Fiames, a nord di Cortina. “L’area fra un corso d’acqua a rischio idraulico e un pendio con rischio geologico in località Fiames, non risponde ai criteri di sicurezza e tradisce la natura speculativa del progetto“, hanno scritto i rappresentanti di Italia Nostra, Peraltrestrade Dolomiti, Comitato Civico Cortina e Gruppo Parco del Cadore in una lettera rivolta al numero uno del Cio, Thomas Bach. Infine, tra i tanti nodi che rischiano di venire al pettine, ci sono i cantieri per l’adeguamento della statale 51 Alemagna, principale porta d’accesso a Cortina attualmente insufficiente a reggere i volumi di traffico previsti per i Giochi. Da più parti si sollevano allarmi per i ritardi nei due interventi principali, le varianti di Longarone e Cortina.

Perplessità simili investono anche un altro cluster olimpico montano, quello della Lombardia dove Bormio sarà teatro delle gare di sci alpino maschile e sci alpinismo e Livigno di quelle di snowboard e freestyle. Qui gli impianti sono già esistenti, ma poche settimane fa l’Aci di Sondrio ha diffuso un dossier sulle opere di viabilità in programma in Valtellina che lascia poco spazio all’ottimismo. Secondo il documento, solo il 50% dei lavori ferroviari e il 25% di quelli stradali saranno portati a compimento prima dell’inizio delle Olimpiadi. Tra gli interventi stradali che rischiano di non essere completati in tempo utile ci sono la tangenziale sud di Sondrio e la “tangenzialina” di Bormio. L’Aci di Sondrio poi sottolinea come non sia stato previsto un sistema di interscambio ferro-gomma per raggiungere Bormio e Livigno senza dover ricorrere all’utilizzo dell’auto.