Agroalimentare, numero di alveari per produrre miele per regione

Con oltre 22 mila aziende agricole e più di un milione di alveari, l’Italia è al 6° posto in Europa per numerosità di alveari, di cui circa l’80% gestiti da apicoltori professionali, un trend in continua crescita, se si confrontano i dati degli ultimi 2 censimenti Istat (nel 2020 si registra + 57% di alveari a livello nazionale, rispetto al 2010). Lo riferisce riferisce lo studio ‘Api e Miele: opportunità, potenzialità e minacce per una filiera essenziale’ diffuso oggi dal Crea. Nell’infografica INTERATTIVA di GEA il numero di alveari nel 2010 e nel 2020 per regione.

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Giornata api, il cambiamento climatico è la principale minaccia per gli impollinatori

Il 20 dicembre 2017, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione con la quale ha dichiarato il 20 maggio di ogni anno (a partire dal 2018) la Giornata mondiale delle api. A proporre la sua istituzione era stata la Slovenia, dove il 20 maggio 1734 nacque Anton Janša, noto soprattutto per essere stato uno dei precursori dell’apicoltura razionale. Lo scopo della risoluzione è portare all’attenzione dei cittadini, dei media e dei decisori politici l’importanza delle api e in generale di tutti gli impollinatori per la sicurezza alimentare, la sussistenza di centinaia di milioni di persone e per il funzionamento degli ecosistemi e la conservazione degli habitat.

‘Bee engaged with youth’ è il tema scelto per la Giornata del 2024. “Questo tema – spiega Ispra – sottolinea l’importanza di coinvolgere i giovani negli sforzi di conservazione dell’apicoltura e degli impollinatori, riconoscendoli come futuri custodi del nostro ambiente”

Sul fronte della ricerca, intanto, gli scienziati stanno lavorando da tempo per combattere il declino degli impollinatori. Uno studio intitolato ‘Quali sono le ragioni principali del declino mondiale delle popolazioni di impollinatori?’, pubblicato sulla rivista CABI Reviews conferma che il cambiamento climatico è la minaccia più importante per gli impollinatori – come bombi, vespe e farfalle – che sono essenziali per la conservazione della biodiversità, la resa dei raccolti e la sicurezza alimentare.

Le popolazioni di impollinatori sono in calo in tutto il mondo e l’85% delle specie di piante da fiore e 87 delle principali colture globali si affidano a questi insetti per la produzione di semi. Il declino degli impollinatori ha un grave impatto sulla conservazione della biodiversità, riduce la resa dei raccolti e minaccia la sicurezza alimentare.

Secondo la Piattaforma intergovernativa di scienza e politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES), circa il 16% degli impollinatori vertebrati, come uccelli e pipistrelli, e il 40% di quelli invertebrati, come api e farfalle, sono a rischio di estinzione. Johanne Brunet e Fabiana Fragoso, autrici della revisione, sostengono che gli sforzi per controllare i vari fattori che hanno un impatto negativo sugli impollinatori devono continuare, viste le terribili conseguenze. La comprensione delle cause del declino degli impollinatori, spiegano, può guidare lo sviluppo di strategie e piani d’azione per proteggere e conservare questi insetti e i servizi ecosistemici essenziali che forniscono.

I ricercatori ritengono che le variazioni di acqua e temperatura associate ai cambiamenti climatici possano ridurre la quantità e la qualità delle risorse disponibili per gli impollinatori, diminuire la sopravvivenza di larve e adulti e modificare gli habitat adatti.

Nel frattempo, gli insetti, sostengono, subiscono l’impatto negativo delle azioni umane, tra cui la perdita e il degrado degli habitat, l’applicazione di prodotti agrochimici, il cambiamento climatico e l’inquinamento.

In assenza di impollinatori, la dieta umana si sposterà verso una preponderanza di grano, riso, avena e mais, poiché si tratta di colture impollinate dal vento. Le colture che si riproducono vegetativamente, come le banane, saranno mantenute.

Per Fragoso, “l’uso diffuso di pratiche sostenibili in agricoltura e l’ulteriore sviluppo di strategie di gestione integrata degli impollinatori, strategie ecologiche che includono la riduzione dell’uso di pesticidi, contribuiranno a preservarli”.

I ricercatori concludono consigliando che l’adozione di un approccio più olistico alla conservazione degli impollinatori, con strategie di gestione che integrino gli habitat naturali e i sistemi agricoli, insieme alle api gestite e a quelle selvatiche, dovrebbe diventare una priorità a livello mondiale.

‘La personalità dell’ape’: tutte le curiosità mai esplorate nell’ultimo libro di Stephen Buchmann

Uno degli esseri viventi più importanti per l’ambiente è più piccolo di un dito mignolo, ma per la conservazione della biodiversità è fondamentale. Con l’arrivo della primavera si torna a parlare dell’importanza delle api per la sopravvivenza della vita sulla Terra. Senza di loro, infatti, il mondo sarebbe ben diverso, e dovremmo dire addio a fiori, piante e gran parte del cibo che consumiamo quotidianamente. Per essere animali tanto speciali, però, sappiamo veramente poco su di loro.

Ci sono domande, per esempio, che non abbiamo mai pensato di porci: le api possono provare emozioni? Sono in grado di sognare o di ricordare? Come si innamorano? Come parlano tra di loro? A rispondere è Stephen Buchmann, entomologo di fama internazionale e docente presso il Dipartimento di Entomologia, Ecologia e Biologia evolutiva dell’Università dell’Arizona, nel suo ultimo libro, ‘La personalità dell’ape. Pensieri, ricordi, emozioni’, edito da Edizioni Ambiente, nella collana Connessioni, che da venerdì prossimo, 22 marzo, sarà in libreria.

Buchmann parla di api come non è mai stato fatto prima, svelando aspetti della personalità degli impollinatori e meraviglie comportamentali mai immaginati. Ad esempio, le api hanno una coscienza, ricordano e probabilmente provano emozioni: contrariamente a quello che molti pensano, le api sono insetti senzienti e perfettamente autoconsapevoli. Hanno straordinarie capacità mentali, sono in grado di ricordare, di contare, di risolvere problemi, di imparare dai loro errori e addirittura di fare progetti per il futuro. Hanno una forma primitiva di coscienza e molto probabilmente sono in grado sia di sognare che di provare emozioni e sensazioni come il dolore e la sofferenza (come ci ricorda Stephen Buchamnn, grazie a questo genere di studi sulle api si stanno facendo passi avanti sul riconoscimento della senzienza in alcuni animali, aspetto fondamentale per tutelarli legalmente).

Inoltre, le api hanno una vista tricromatica simile alla nostra e vedono il mondo in tre colori primari. Mentre per noi umani i colori primari sono il rosso magenta, il giallo e il blu ciano, per le api sono il giallo, l’azzurro e l’ultravioletto. Questo perché la loro vista è spostata verso lunghezze d’onda più corte, oltre il blu e il violetto e verso l’ultravioletto, rendendole capaci di intercettare una parte dello spettro che per noi è invisibile senza l’utilizzo di fotocamere e filtri. Come dice Buchmann, le api riescono a guardare letteralmente oltre l’arcobaleno, riuscendo a vedere quello che è invisibile ai nostri occhi.

Altra curiosità riguarda il maschio delle api: davvero si fa imbrogliare dalle orchidee? Ma secondo l’esperto si può definire un vero e proprio “inganno sessuale”. Nel corso di milioni di anni, una tipologia di orchidea detta Ophrys (nota anche come “orchidea delle api”) si è evoluta fino a modificare la forma del suo petalo centrale per assomigliare a un’ape femmina. La punta del fiore imita l’addome femminile ed è ricoperto di peli luccicanti come quello di una vera ape. Proprio come una femme fatale, questa seducente orchidea conquista un fuco dopo l’altro per aumentare le proprie possibilità di impollinazione e fertilizzazione.

Chissà quanti si sono chiesti, poi, se l’ape è una ‘madre single’. Ebbene, le api sociali che vivono in grandi colonie sono l’eccezione, non la regola. Secondo Buchmann, infatti, la vita dell’ape comune può essere descritta come quella di una madre single, sempre indaffarata e con una famiglia da sfamare con le sue sole forze. Mamma ape vive in un piccolo appartamento sotto terra, non riceve aiuto dal suo compagno (che non c’è più da un po’ di tempo) né dalle sue sorelle o da altri parenti. Ogni mattina va a lavoro per raccogliere nettare e polline dai fiori, con cui poi, una volta tornata a casa, impasterà il “pane” (il pane d’api) per sfamare i figli ancora nella culla.

Infine, alla domanda se la vista dell’ape migliora se i soggetti che le passano davanti se si muovono rapidamente, la risposta è che se potessero andare al cinema e accomodarsi per guardare un film, vedrebbero solo immagini statiche, una dopo l’altra. Per essere visti in modo continuativo dall’occhio umano, i filmati cinematografici vengono proiettati a una velocità di 24 fotogrammi al secondo. Per renderli visibili anche alle api, bisognerebbe accelerare la proiezione da 24 a circa 200-250 fotogrammi al secondo. Gli occhi di questi insetti, infatti, vedono meglio ciò che si muove rapidamente.

Dalla prima all’ultima ape: ecco come il miele prodotto in discarica certifica la ‘salute’ di Barricalla

Sono ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno dell’ambiente in cui vivono, oltre a a preservare la biodiversità. Le api da tempo sono utilizzate anche per monitorare lo stato di salute di un luogo ed è ciò che accade a Barricalla, il principale impianto di smaltimento in Italia per i rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. Si trova a Collegno, alle porte di Torino, in un’area che ospitava una cava di ghiaia e che oggi è nel nodo di congiunzione tra la tangenziale e l’ingresso ovest della città.

E qui, dal 2000, è iniziato l’allevamento delle api. Quattro arnie all’interno dei terreni della discarica, seguite da un apicoltore che ne monitora costantemente lo stato di salute.

“Le api in Barricalla – spiega a GEA il vicepresidente dell’impianto, Alessandro Battaglino – servono essenzialmente per monitorare la qualità dell’ambiente circostante. Noi andiamo ad analizzare il miele che viene prodotto da queste api e che viene confrontato con quello prodotto in una zona ‘bianca’”, cioè un’area rurale, “per comprendere se all’interno ci siano delle sostanze che possono essere considerati inquinanti”.

Le essenze su cui le api vanno a bottinare “sono abbastanza circostanti il nostro impianto, quindi questo ci permette proprio di comprendere se dai rifiuti che vengono conferiti in Barricalla è scappato qualcosa che non doveva scappare. In questi anni, mai nulla è stato trovato dentro il miele”.

Le sostanze che si trovano nel miele prodotto dentro l’impianto sono contenute anche in quello prodotto nella zona rurale. Un ritratto ‘chimico’ che racconta, dice Battaglino, di come “la zona della Pianura Padana sia satura di alcuni di quegli elementi che sono essenzialmente figli delle combustioni derivanti dal parco veicolare e dagli impianti di riscaldamento che comunque quindi caratterizzano l’area della nostra zona”.

E proprio su questi insetti Barricalla ha costruito la sua ultima campagna di comunicazione con il cortometraggio animato ‘L’ultima ape’, prodotto da Mu film di Andrea Deaglio e interamente disegnato a mano da Monica Torasso. Il corto utilizza l’animazione per sensibilizzare gli spettatori su alcune delle più importanti urgenze ambientali come la difesa delle api, la lotta alle ecomafie, la necessità di impianti di smaltimento sicuri per tutti quei rifiuti che non possono essere riutilizzati, riciclati e valorizzati, la scelta di stili di vita sostenibili. La scommessa era riuscire a realizzare un racconto diretto e coinvolgente, capace di condensare in pochi minuti temi di grande rilevanza.

Api, fotovoltaico e yoga: ecco come i rifiuti speciali diventano ecosistema

Da una parte il carcere delle Vallette, dall’altra l’impianto di Iren. Poi Villa Cristina e la tangenziale nord. Ma in cima ai lotti già esauriti è impossibile rendersi conto che sotto i piedi ci sono 34 anni di residui di attività umane, una sorta di ‘storia’ della nostra industria e dei nostri consumi. Rifiuti, insomma. Barricalla si trova a Collegno, alle porte di Torino, ed è uno degli 11 impianti in Italia in cui vengono definitivamente sepolti (‘coltivati’ è il termine corretto) i rifiuti pericolosi, cioè quelli che non possono più essere reimpiegati nel ciclo produttivo e che contengono inquinanti, e quelli speciali non pericolosi.

Si tratta di rifiuti solidi e trattati, provenienti principalmente da attività industriali, come ad esempio quelli derivanti dalle demolizioni, o ancora il terreno proveniente da siti contaminati e poi bonificati, le ceneri residue degli inceneritori o l’amianto ampiamente utilizzato in edilizia fino agli anni ‘90. Sono tutti rifiuti che devono essere smaltiti in modo corretto, perché se dispersi potrebbero causare gravissimi danni alle persone e all’ambiente.

Dalla sua apertura negli anni ’80, ogni anno ne sono state smaltite 130mila tonnellate, per un volume complessivo autorizzato di 1,86 milioni di metri cubi articolati in cinque lotti. Qui, per dire, è stato portato ciò che era impossibile trattare diversamente da ciò che restava della Costa Concordia e del ponte Morandi di Genova. E qui si sta per esaurire lo spazio a disposizione, tanto che a pochi chilometri di distanza si sta lavorando per aprire Barricalla2, che dovrebbe entrare in funzione nell’estate del 2025. Il quinto e ultimo lotto, infatti, sta per essere del tutto ‘coltivato’: si tratta di 508.000 metri cubi di rifiuti che sono stati autorizzati nel 2017 e hanno cominciato a essere conferiti a settembre 2018. Mancano ancora 20.000 tonnellate prima che la vasca venga definitivamente sigillata con l’uso di materiali impermeabili come argilla e teli in polietilene ad alta densità. Poi avverrà la riqualificazione, con terreno erboso e numerose essenze arboree autoctone. Proprio come già accaduto agli altri quattro lotti.

Nel 2011 Barricalla ha installato qui il suo primo parco fotovoltaico, per una superficie complessiva di 4680 metri quadri e una potenza di 936 KW. A ottobre 2021 è stato installato il secondo sul quarto lotto, che ha portato la potenza complessiva a 1,6 MW, cioè il fabbisogno annuo di 3000 persone. Si tratta di “opere di recupero ambientale”, dice a GEA Alessandro Battaglino, vicepresidente dell’impianto, “e di una restituzione al territorio di quello che noi comunque in qualche maniera abbiamo fatto nel corso degli anni. Produciamo energia elettrica che poi viene appunto immessa in rete e quindi restituita alle comunità”.

 

Già, il territorio. Le relazioni, assicura Battaglino, sono ottime, sia con chi vive nella zona, sia con le associazioni ambientaliste anche grazie a “tanti momenti di apertura dell’impianto per far toccare con mano ai cittadini” come è fatta la discarica e “i rigidi protocolli” che la governano. Nessun comitato del ‘no’, insomma. Così, in cima alle vasche sigillate e trasformate in collina – che schermano il rumore della città – può capitare che vengano organizzate sedute di yoga al tramonto o che le scuole portino gli studenti per far conoscere loro il ciclo dei rifiuti. In 34 anni, spiega il vicepresidente, “non si sono mai verificati incidenti”, anche perché “qui sono state fatte delle scelte che hanno anticipato quello che poi la normativa ha stabilito come obbligatorio”.

E anche per questo l’impianto è considerato un modello di buone pratiche sia in Italia sia in Europa. “Ogni carico che arriva – dice Battaglino – viene controllato e viene verificato che il materiale conferito sia lo stesso che è stato campionato prima dell’ingresso”. Ogni prodotto, insomma, ha la sua carta d’identità univoca. E qui, inoltre, sottolinea, “i dipendenti hanno un know how che pochi hanno in Italia” e che fa la differenza.

Come ulteriore strumento di controllo dello stato di salute dell’impianto, dal 2000 trovano spazio in Barricalla quattro arnie. Le api, infatti, sono ottimi indicatori biologici perché segnalano il danno dell’ambiente in cui vivono, oltre a preservare la biodiversità. Il miele prodotto viene confrontato con quello di zone rurali e nei due prodotti, spiega Battaglino, “si trovano le stesse sostanze”.

“Il paradigma dell’ economia circolare – conclude Battaglino – sta funzionando bene per recuperare tutte quelle risorse che la natura non ci darebbe più”, perché sono state esaurite.

A Gaza moria di api vicino al confine: gas e razzi stanno distruggendo le arnie

Vicino alla recinzione che separa la Striscia di Gaza da Israele, l’apicoltrice Miassar Khoudair guarda la regina delle sue api sopravvissuta alla ripresa delle ostilità tra i palestinesi e l’esercito israeliano. “Gas, razzi e polvere generati dalla guerra stanno uccidendo le api“, ammette.

A pochi giorni della Giornata mondiale delle api, che cade il 20 maggio, Miassar è andata a ispezionare le sue arnie, situate a poche centinaia di metri dal confine, sopra il quale la scorsa settimana sono stati lanciati razzi dai palestinesi e missili dagli israeliani. Durante cinque giorni di scontri, innescati dai raid aerei israeliani contro la Jihad islamica ma che non hanno risparmiato i civili, Koudair non ha potuto recarsi nel campo delle sue arnie. Tre o quattro dei suoi alveari sono stati distrutti nello scontro a fuoco, ma nonostante i pericoli, è qui, lontano dalle aree più popolate della Striscia da 2,3 milioni di abitanti, che le sue api sono più a loro agio. “Le mettiamo sempre nelle zone di confine perché ci sono molti alberi e piante selvatiche, senza troppi edifici o persone“, spiega Miassar.

Circa 60 ettari di raccolto sono stati danneggiati dal ciclo di violenze, prima che entrasse in vigore il cessate il fuoco imposto il 13 maggio, secondo i dati dell’ufficio stampa del movimento islamista Hamas che controlla la Striscia di Gaza. Si stimano inoltre in 207.000 euro le perdite legate ai raid in arnie, pollai e altri allevamenti. Gli scontri hanno causato la morte di 34 palestinesi, compreso un uomo ucciso da un razzo palestinese sul territorio israeliano. Da parte israeliana, una persona è morta, secondo i servizi di emergenza israeliani.

Per alcuni giorni, la vita quotidiana si è fermata e Khoudair non è stata in grado di vendere il suo miele in un centro commerciale normalmente affollato a Gaza City dove ha uno stand con diversi barattoli di diverse dimensioni e peluche di Winnie the Pooh, grande amante del dolce nettare. L’apicoltrice ha avviato la sua attività pochi mesi fa, dopo aver studiato erboristeria in Arabia Saudita: se il miele è di buona qualità, spiega, può essere usato per curare alcuni disturbi, problemi di concentrazione e persino fertilità.

La giovane, segretaria di formazione, è una dei rari abitanti della Striscia di Gaza ad essere emigrata e tornata in questo territorio palestinese sotto il blocco israeliano da quando Hamas ha preso il potere 16 anni fa.

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Il nuovo piano dell’Ue per salvare api e farfalle: meno pesticidi e ripristino habitat

Affrontare “l’allarmante declino” degli insetti impollinatori selvatici in Europa, come api e farfalle. E’ l’obiettivo del ‘Nuovo accordo per gli impollinatori’, presentato oggi dalla Commissione europea, che definisce le azioni che le istituzioni comunitarie e gli Stati membri devono intraprendere per invertire il declino degli impollinatori entro il 2030, dal momento in cui a oggi sul continente europeo sta scomparendo una specie di api, farfalle e sirfidi su tre.

L’iniziativa stabilisce obiettivi per il 2030 e azioni nell’ambito di tre priorità, la più importante delle quali è il miglioramento della conservazione degli impollinatori e la riduzione delle cause del loro declino. L’obiettivo di invertire il declino delle popolazioni di impollinatori entro il 2030 è giuridicamente vincolante e il gabinetto von der Leyen ha invitato i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue a “impegnarsi attivamente” nell’attuazione delle nuove azioni, che integreranno i Piani nazionali di ripristino dei Ventisette.

Tra le azioni proposte dalla Commissione europea per la tutela degli insetti impollinatori compare il progetto di una rete di corridoi ecologici per gli impollinatori (le cosiddette ‘Buzz Lines’) e l’identificazione degli impollinatori tipici degli habitat protetti dalla Direttiva Habitat che gli Stati membri dovrebbero salvaguardare. Ma per l’esecutivo comunitario è anche prioritaria la riduzione del rischio e la mitigazione dell’impatto dei pesticidi sugli impollinatori, considerato il fatto che l’uso eccessivo di pesticidi è un fattore chiave della perdita di impollinatori“. Per esempio si potrebbe imporre per legge l’attuazione di una “gestione integrata dei parassiti” o l’introduzione di “ulteriori metodi di test per determinare la tossicità dei pesticidi per gli impollinatori, compresi gli effetti sub-letali e cronici“. L’esecutivo comunitario indica anche la necessità di ripristinare gli habitat nei paesaggi agricoli, in particolare attraverso un maggiore sostegno all’agricoltura favorevole agli impollinatori nell’ambito della Politica agricola comune, ma anche nelle aree urbane. Da affrontare anche l’impatto dei cambiamenti climatici, delle specie esotiche invasive, dei biocidi e dell’inquinamento luminoso sugli insetti impollinatori.

Api

Giornata delle api, l’importanza degli impollinatori per la vita umana

Albert Einstein era un loro grande fan (leggenda narra che sia sua la frase “Se le api scomparissero al pianeta resterebbero 4 anni di vita“) e aveva ipotizzato che lo studio di questi insetti potesse portare a scoprire nuove regole della fisica. Oggi, a distanza di 70 anni dalla scomparsa del fisico, il mondo intero celebra le api con una giornata a loro dedicata che si svolge il 20 maggio. Ma perché sono così importanti per gli ecosistemi e per l’uomo? Gli impollinatori, visitando i fiori, s’imbrattano di polline (gamete maschile, analogo allo sperma dei mammiferi) del quale sono ricchi le antere, cioè le porzioni fertili degli organi sessuali maschili di un fiore. Visitando i fiori di altre piante, trasferiscono il polline attraverso lo stigma, la parte più esterna del pistillo (che rappresenta la parte femminile del fiore). Attraverso lo stigma il polline giunge poi a fecondare l’ovario, permettendo così la riproduzione della pianta. Tra gli impollinatori, le specie del genere Apis sono le più numerose: oltre 20.000 in tutto il mondo, gran parte delle quali selvatiche. La più popolare è l’ape domestica – nome scientifico Apis mellifera – conosciuta nel mondo come ape italica. Il valore di questa specie, originaria dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa è legato oltre che al servizio d’impollinazione anche alla produzione di miele, cera, propoli e pappa reale.

I BENEFICI DELL’IMPOLLINAZIONE

Con l’impollinazione le api svolgono una funzione strategica per la conservazione della flora, contribuendo al miglioramento ed al mantenimento della biodiversità. Circa il 70% delle 115 principali colture agrarie mondiali – spiega Ispra (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) – beneficia dell’impollinazione animale. In Europa la produzione di circa l’80% delle 264 specie coltivate dipende dall’attività degli insetti impollinatori. La produzione agricola mondiale direttamente associata all’impollinazione animale rappresenta un valore economico stimato tra 235 e 577 miliardi di dollari. Secondo il Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, la valutazione economica del servizio di impollinazione delle aree agricole italiane è pari a circa 3 miliardi di euro l’anno. E, ancora, la riproduzione dell’88% delle piante selvatiche da fiore del mondo (circa 308mila specie) dipende, almeno in parte, dall’impollinazione animale per la riproduzione.

LO SPOPOLAMENTO DEGLI ALVEARI

Negli ultimi anni gli apicoltori devono fronteggiare la riduzione del numero delle colonie di api e il declino delle loro popolazioni. L’allarme è stato lanciato anche lo scorso anno dallo studio ‘Protection of honeybees and other pollinators: one global study’, dal quale emerge che, come molte altre specie di insetti, anche le popolazioni di impollinatori stanno diminuendo a livello globale. Questo declino, si legge nel documento pubblicato dalla Fao “minaccia sia gli ecosistemi naturali che i sistemi di produzione agricola“. Il fenomeno è stato segnalato dal 2003 e si concentra in primavera, in coincidenza del periodo di maggiore bottinamento delle api. I fattori scatenanti, spiega ancora Ispra, sono diversi e vanno dall’agricoltura intensiva agli attacchi di agenti patogeni e parassiti, dalla distruzione degli habitat ai cambiamenti climatici. Numerosi studi hanno mostrato che l’esposizione ai pesticidi utilizzati nei campi contribuisce allo spopolamento degli alveari, così come le temperature sempre più alte potrebbero portare a una diminuzione della popolazione delle api di grandi dimensioni a favore di quelle più piccole.

LE SENTINELLE DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALE

Le api svolgono anche il ruolo di “sentinelle dell’inquinamento ambientale“. Il polline e le api stesse, scrivono gli esperti dell’Ispra in un articolo dedicato alla situazione attuale di questi insetti, “ci consentono di avere indicazioni sullo stato ambientale e sulla contaminazione chimica presente. In alcuni casi, accurate analisi di laboratorio hanno consentito di rinvenire sulle api e sul polline le sostanze attive presenti in alcuni prodotti fitosanitari utilizzati nelle aree su cui le stesse effettuano i voli e bottinano“. Le api – è la conclusione degli esperti – incluse quelle che vivono allo stato selvatico, “dato il ruolo ecologico che ricoprono e l’elevato numero di specie, rivestono quindi un’importanza strategica nella valutazione della qualità dell’ambiente e dello stato degli ecosistemi naturali presenti“.

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Proviamo a immaginare le città ‘a misura d’api’

Stiamo ripensando le nostre città sempre più a misura d’uomo. Ora dovremmo immaginarle anche ‘a misura di api‘. Il percorso verso una equilibrata transizione ecologica passa anche dalla salute degli insetti impollinatori, che svolgono un ruolo importante per gli ecosistemi e allo stesso modo possono essere considerati una cartina tornasole per monitorare la buona condizione dell’ambiente. Soprattutto nelle città.

Perché l’urbanizzazione influisce in modo negativo sulla presenza di impollinatori e sull’entità di nettare trasportato. E ora i ricercatori dell’università degli Studi di Milano-Bicocca l’hanno misurato scientificamente: al crescere delle aree cementificate diminuisce la presenza di insetti impollinatori (nella ricerca: api selvatiche e sirfidi), diminuisce il consumo di nettare rilevato sui fiori analizzati, e si appiattisce inoltre la ricchezza di specie di piante nel polline trasportato.

Oltre a rilevare gli impollinatori, i ricercatori hanno raccolto campioni di nettare dai fiori più diffusi nei 40 siti analizzati, per poi osservarli in laboratorio utilizzando uno spettrofotometro, e calcolare la massa di zucchero contenuta. I pollini sono stati invece raccolti dal corpo dei singoli insetti per poi identificarli con tecniche molecolari di riconoscimento tramite DNA.

Che fare allora? “I modelli di questo studio potranno servire come base per pianificare il paesaggio urbano in funzione degli impollinatori“, spiega Paolo Biella, ricercatore di Ecologia all’università di Milano-Bicocca nel gruppo ZooPlantLab. A cominciare dalla presenza di aree verdi nelle città: “È importante che non siano troppo distanti l’una dall’altra” spiega, “e che siano più funzionali alla biodiversità che all’estetica“. Significa prevedere aree inselvatichite, o aree appositamente composte da strisce floreali a favore di insetti: “In questo caso privilegiando fiori con morfologie e stagionalità differenti fra loro“, continua il ricercatore.

Gli insetti impollinatori sono fondamentali per la riproduzione di determinate specie di piante, e svolgono – anche negli orti urbani – un ruolo importante nella produzione di frutti e semi per la nostra dieta “a cui sono legati composti importanti” spiega Paolo Biella “come vitamina A e betacarotene“. Ma l’attività antropica minaccia questo ecosistema. E non solo con cementificazione e temperature sfavorevoli: una ricerca appena pubblicata dall’Università di Firenze ha documentato per la prima volta anche lo stress sul metabolismo delle api derivato dall’esposizione a microplastiche.

La sensibilità delle persone alla tematica, però, “sta migliorando“, come rileva Paolo Biella, “anche grazie alle attività didattiche e mediatiche che stanno avvicinando i cittadini alla conoscenza della natura“.

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