L’inflazione dei beni alimentari a rischio impennata con il riscaldamento globale

Il riscaldamento globale potrebbe portare a un aumento dell’inflazione dei beni alimentari fino a 3,2 punti percentuali all’anno e di quella complessiva fino a 1,2 punti percentuali annui, in base agli aumenti di temperatura previsti per il 2035. A rivelarlo è un articolo pubblicato su Communications Earth & Environment, secondo il quale sebbene sia i Paesi ad alto sia a basso reddito sperimenteranno un’inflazione determinata dal clima, quelli del sud del mondo saranno maggiormente colpiti.

L’economia globale è sensibile ai cambiamenti climatici e alle condizioni meteorologiche estreme a causa dell’impatto sulla produzione alimentare, sul lavoro, sulla domanda di energia e sulla salute umana. E’ necessario, quindi, come suggeriscono gli autori, capire come il clima possa influire sull’inflazione anche per comprendere il ruolo dei futuri cambiamenti sull’economia globale.

Maximilian Kotz del Potsdam Institute for Climate Impact Research e colleghi hanno analizzato gli indici dei prezzi al consumo nazionali mensili e i dati meteorologici di 121 Paesi tra il 1991 e il 2020, combinando i risultati con le proiezioni di un modello climatico per stimare l’impatto sull’inflazione in caso di riscaldamento futuro tra il 2030 e il 2060. Le loro ricerche suggeriscono che, in base agli aumenti di temperatura previsti per il 2035, il riscaldamento globale porterà a un aumento dell’inflazione alimentare compreso tra 0,9 e 3,2 punti percentuali all’anno, con un aumento dell’inflazione generale compreso tra 0,3 e 1,2 punti. Gli autori prevedono che questo fenomeno interesserà sia i Paesi ad alto che a basso reddito, ma in generale avrà un impatto maggiore sul Sud del mondo, in particolare Africa e e in Sud America.
Le proiezioni indicano che l’aumento delle temperature spinge l’inflazione durante tutto l’anno nelle regioni a bassa latitudine, mentre questo effetto si verifica solo in estate alle latitudini più elevate. Inoltre, gli autori stimano che gli estremi di calore estivi del 2022 hanno aumentato l’inflazione alimentare in Europa di 0,67 punti percentuali, e questo aumento potrebbe essere amplificato tra il 30 e il 50% negli scenari di riscaldamento del 2035.

Gli autori suggeriscono che il cambiamento climatico probabilmente aumenterà il prezzo dei prodotti alimentari in futuro, ma la mitigazione delle emissioni di gas serra e gli adattamenti basati sulla tecnologia potrebbero limitare sostanzialmente questo rischio per l’economia globale.

energia

Come i prezzi energia influenzano quelli dei beni alimentari

L’aumento dei prezzi dei beni alimentari è sotto gli occhi di tutti e ha raggiunto un nuovo massimo storico nel 2022, dopo l’invasione russa in Ucraina. Eppure l’inflazione su ciò che mettiamo in tavola era già in aumento prima della guerra in tutta l’area euro. La causa? Sicuramente la pandemia che nel 2020 ha vincolato l’offerta ma, successivamente, dal quarto trimestre del 2021, è cresciuta ancora, raggiungendo il 3,5% a gennaio 2022 e il 7,5% a maggio, il livello più elevato dall’avvio dell’unione monetaria.

L’aumento dei prezzi dell’energia – e in modo particolare del gas – ha influito pesantemente sulla componente alimentare del paniere dei consumi. Ma come sono collegati questi due elementi? Prova a chiarirlo la Bce, che nel bollettino economico, ricorda che l’equazione aumento prezzi energia = aumento beni alimentari è determinata da tre elementi.

Innanzitutto, la produzione agricola e la lavorazione dei prodotti alimentari sono settori ad alta intensità di energia. La coltivazione dei campi, ad esempio, dipende in larga misura dal carburante per i macchinari agricoli, per cui i rincari dell’energia tendono a trasmettersi rapidamente ai costi di produzione, che di conseguenza aumentano.

Inoltre, poiché il gas naturale costituisce uno degli input nella produzione di fertilizzanti, l’aumento dei suoi prezzi fa crescere quelli dei fertilizzanti stessi, incrementando i costi degli input agricoli. Infine, i maggiori costi di trasporto si ripercuotono sui prezzi dei beni alimentari, rendendo così più costosa la sostituzione delle materie prime con quelle provenienti da fonti di approvvigionamento più lontane.

Anche i prezzi delle materie prime alimentari a livello internazionale – ricorda la Bce – hanno registrato un incremento per via delle condizioni meteorologiche avverse in alcune aree“. In aggiunta, i più elevati costi del trasporto marittimo dovuti alle strozzature nelle catene di approvvigionamento mondiali hanno acuito le pressioni sui prezzi.

In questo circolo vizioso si aggiungono, poi, altri elementi fondamentali. In primo luogo, l’Ucraina ha introdotto un divieto di esportazione per alcuni prodotti alimentari, tra cui segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne. In secondo luogo, il trasporto delle materie prime alimentari dalla Russia è divenuto più dispendioso a causa dei maggiori costi assicurativi e, inoltre, la Russia ha vietato la vendita all’estero di fertilizzanti, di cui è il maggiore esportatore mondiale, fino ad agosto 202210. Infine, l’Unione europea ha adottato ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, imponendo un divieto totale alle importazioni di idrossido di potassio e carburanti, fra gli altri altri prodotti. Queste restrizioni al commercio internazionale di concimi, riferisce la Bce, “determineranno ulteriori aumenti dei prezzi sia a livello mondiale sia nell’area dell’euro, mentre la riduzione dell’offerta potrebbe anche incidere sui rendimenti mondiali dei raccolti nel periodo a venire“.