Clima, allarme Onu: “La temperatura è in aumento, i piani dei governi sono insufficienti”

La temperatura sale ancora, con una media di 1,2°C. E presto, tra il 2030 e il 2035, il riscaldamento globale raggiungerà +1,5°C, rispetto all’era preindustriale. Questo decennio che verrà sarà dunque ‘cruciale’ per garantire un futuro vivibile al pianeta.
La pubblicazione del rapporto di sintesi (Syntesis Report) del Sesto Rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu rappresenta una revisione completa, per la quale centinaia di scienziati hanno lavorato otto anni, di tutto ciò che l’uomo sa rispetto alla crisi climatica in atto. La fotografia è chiara: siamo al punto di non ritorno, ma le soluzioni sono ancora possibili, a patto di intervenire ora. “Il ritmo e la dimensione di ciò che è stato fatto negli ultimi cinque anni e i piani attuali sono insufficienti per affrontare il cambiamento climatico“, bollano gli esperti. Di fatto, se nel 2018 l’Ipcc aveva lanciato l’allarme su cosa sarebbe accaduto se non si fosse riuscito a contenere il riscaldamento globale entro 1,5° C tagliando le emissioni globali di circa il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010, cinque anni dopo la sfida è diventata ancora più grande a causa della continua crescita di emissioni di gas serra. “Ogni aumento della temperatura si trasforma rapidamente in una escalation di pericoli” aggiungono gli scienziati ricordando che “ondate di calore più intense, nubifragi e altri eccessi meteo aumentano i rischi per la salute umana e gli ecosistemi“. “L’insicurezza per cibo e acqua legata a fattori climatici è stimata in crescita con l’aumento di calore. E quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o guerre, diventano più difficili da gestire“, avverte l’Ipcc. “Questo Rapporto di sintesi sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti” ha dichiarato il presidente dell’Ipcc Hoesung Lee. “La bomba climatica scandisce i secondi, ma il rapporto Ipcc è una guida pratica per disinnescarla. Il limite di 1,5° C è realizzabile, ma ci vorrà un salto di qualità nell’azione per il Clima” ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

La sintesi per i decisori politici è stata elaborata ad Interlaken, in Svizzera, la settimana scorsa nella 58/a sessione dell’Ipcc. Dopo una settimana di trattative, che hanno sforato andando oltre due giorni interi rispetto alla conclusione programmata venerdì e hanno comportato deliberazioni 24 ore su 24, i delegati hanno approvato il testo di 37 pagine che offre ai responsabili politici una panoramica dello stato delle conoscenze sulla scienza del cambiamento climatico. Nel rapporto infatti non ci sono di fatto novità di rilievo dal punto di vista scientifico, ma riunisce appunto le evidenze scientifiche in una forma più breve ed è diretto ai decisori politici, per indicare una strada da percorrere per limitare il riscaldamento globale. Inoltre, il documento è la base di partenza per gli accordi che si discuteranno a fine novembre a Dubai durante il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul Clima, Cop28, quando verranno valutati i progressi compiuti dalle nazioni per ridurre le emissioni di gas serra in seguito all’accordo sul Clima di Parigi del 2015. “Esistono molte opzioni per ridurre i gas serra e frenare il cambiamento climatico provocato dall’uomo e sono già disponibili”, spiega l’Ipcc, secondo cui “le scelte dei prossimi anni saranno decisive per decidere il nostro futuro e quello delle future generazioni“. E anche l’attivista ambientalista Greta Thunberg avverte: “Il fatto che coloro che sono al potere vivano ancora nella negazione e vadano attivamente nella direzione sbagliata, alla fine sarà visto e ricordato come un tradimento senza precedenti”.

La questione delle “perdite e danni” causati dal riscaldamento globale e già subiti da alcuni Paesi, in particolare i più poveri, sarà uno dei temi di discussione della COP28. “La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito di meno al cambiamento climatico sono colpiti in modo sproporzionato”, ha affermato Aditi Mukherji, uno degli autori della sintesi. Per questo arriva l’appello di Guterres ai paesi ricchi, perché continuino nell’impegno di raggiungere la neutralità da carbonio entro il 2040, in modo che le economie emergenti possano arrivarci entro il 2050. “Ci sono sufficienti capitali per ridurre rapidamente i gas serra se vengono ridotte le barriere esistenti e la chiave per farlo sono i fondi pubblici dei governi e chiari segnali agli investitori. Finanza, tecnologia e cooperazione internazionale possono accelerare l’azione climatica. Investitori, banche centrali e regolatori finanziari possono fare la propria parte“. Cambiamenti nei settori alimentare, elettrico, dei trasporti, industriale, edile e nell’uso del suolo, aggiungono gli esperti di Clima dell’Onu, possono tagliare i gas serra e rendere più facile avere stili di vita a bassa impronta di carbonio che migliora salute e benessere. “Una migliore comprensione delle conseguenze del sovraconsumo può aiutare le persone a fare scelte più consapevoli”, aggiungono.

Il rapporto analizza anche diverse soluzioni: la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili, la gestione sostenibile delle foreste e dell’agricoltura, la protezione delle foreste. “Spesso assistiamo ai dibattiti che prendono in considerazione, come alternative, le possibilità di assorbimento delle emissioni (tramite rimboschimenti o tecnologie CCS – Carbon Capture and Storage) o la loro riduzione – commenta Lucia Perugini ricercatrice  di CMCC-Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climaticioppure che creano una competizione tra una fonte di energia rinnovabile e l’altra. Ma scienza è chiara: dobbiamo sfruttare tutte le opzioni a disposizione e dobbiamo farlo ora”. Come sottolinea Elena Verdolini, senior scientist del Cmcc e autrice del rapporto Ipcc sulla mitigazionenon siamo in linea con gli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi, ma le evidenze scientifiche dimostrano che già oggi abbiamo a disposizione tecnologie e soluzioni per raggiungere quanto concordato nell’accordo di Parigi”. Tecnologie e innovazioni, però, da sole non bastano: “Sono invece necessari anche cambiamenti comportamentali”, oltre al fatto che “le politiche climatiche sono veramente efficaci solo se coordinate con quelle industriali, sanitarie, finanziarie, fiscali”.

Mattarella: “Sul clima sforzi insufficienti, in alcuni Paesi manca il senso di urgenza”

L’aumento delle ondate di calore, le inondazioni, la siccità, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari. Sono le conseguenze “nefaste” del cambiamento climatico ricordate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso agli studenti dell’università di Nairobi, in Kenya. “Per troppo tempo abbiamo infatti affrontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico”, ha esordito. “Eppure non da oggi siamo consapevoli di come le attività umane abbiano un impatto sull’ambiente e sul clima: basti pensare alla deforestazione che ha caratterizzato lo sviluppo di tante aree in Europa”. Per il capo dello Stato, “si registra ormai da tempo una drammatica diminuzione della biodiversità, in gran parte legata all’abbattimento delle foreste pluviali equatoriali, con la scomparsa di decine di migliaia di specie viventi ogni anno, una irreparabile perdita di varietà genetica, ecosistemi e habitat”. Questo, con importanti conseguenze sulla dislocazione della specie umana su un pianeta che vede diminuire progressivamente le aree di insediamento. “Si tratti dell’innalzamento delle acque nei mari – che pone a gravissimo rischio la sopravvivenza di numerose isole e delle popolazioni che le abitano – si tratti dell’allargamento progressivo dei fenomeni di desertificazione, si tratti di abbandono di aree marginali – ricorda Mattarella – Il fenomeno dei profughi climatici, oltre che di quelli dei conflitti, è drammaticamente davanti a tutti noi”.

In questi anni nella lotta ai cambiamenti climatici “passi avanti sono stati compiuti” e “gran parte del merito di questa nuova sensibilità va attribuito alla società civile e, in particolare, ai tanti giovani come voi che in tutti i continenti – dall’Africa all’Europa, dall`Asia alle Americhe – mantengono alta la pressione sui Governi e sul settore privato, pretendendo azioni immediate e incisive“. “Con il crescere della minaccia è aumentata anche la consapevolezza dei gravissimi rischi che l’umanità sta correndo. In primo luogo grazie all’opera delle Nazioni Unite nel quadro dell’Agenda 2030 e, soprattutto, del Programma per l’Ambiente – ha detto Mattarella – “Dalla Conferenza di Montreal del 1987 sulla riduzione del “buco dell’ozono”, al Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992, fino al Protocollo di Kyoto e all’Accordo di Parigi del 2015, tanti momenti hanno consolidato la determinazione collettiva nel prevenire gli scenari più catastrofici legati all’innalzamento delle temperature globali. “Lo scorso anno – ha detto Mattarella – qui a Nairobi, nell’ambito dell`Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente è stata raggiunta una storica decisione, che porterà alla definizione di un trattato giuridicamente vincolante per contrastare l’inquinamento derivante dalla plastica. Infine, nei giorni scorsi, alle Nazioni Unite è stato approvato il Trattato che intende proteggere entro il 2030 il 30% delle aree marine”. Per il presidente della Repubblica si tratta di “risultati importanti, che dimostrano come la lotta al cambiamento climatico non sia più trascurata nelle priorità dell’agenda internazionale”.

Ma, ancora, “in segmenti della società e in alcuni Paesi non è presente il senso profondo dell’urgenza e della necessità di interventi incisivi” perché “non si può fuggire dalla realtà”: la riduzione delle emissioni nei tempi e nelle modalità indicate dalla comunità scientifica costituisce un obbligo ineludibile, che riguarda tutti. “Non ci si può cullare nell’illusione di perseguire prima obiettivi di sviluppo economico per poi affrontare in un secondo momento le problematiche ambientali”, è il monito di Mattarella. “Non avremo un ‘secondo tempo’: se vogliamo lasciare alle future generazioni, a voi che mi state ascoltando oggi, un pianeta dove l’umanità possa vivere e prosperare in pace, dovremo compiere, tutti assieme, progressi decisivi nella transizione verso un’economia decarbonizzata”.

Innanzitutto, per il capo dello Stato “è evidente come a tal fine la dimensione del singolo Stato sia assolutamente inadeguata. Solo un’azione collettiva può essere capace di coniugare efficacia e solidarietà per evitare gli scenari catastrofici in atto e quelli che si annunciano. È il momento dell’unità, della coesione, non di divisioni fra Nord e Sud, fra Est e Ovest del mondo”. In questo contesto, “la brutale aggressione della Federazione Russa all’Ucraina sta riportando i rapporti internazionali indietro di ottant’anni, quasi che non ci sia stato, in questo arco di tempo, un mirabile progresso sul terreno della indipendenza, della libertà e della democrazia, della crescita civile di tante nazioni. Siamo cresciuti nella interdipendenza tra i nostri destini e gravissime sono le conseguenze degli atti della Federazione Russa sulla sicurezza alimentare, su quella energetica di tanti Paesi, sulla pace, anche nel continente africano, e nel Medio Oriente”. 

 

Photocredit: Quirinale

Italia indietro sui Piani urbani di adattamento climatico

L’Italia è abbastanza indietro, su scala europea, sul fronte dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici, sia in termini di numero di Piani urbani sviluppati, sia in termini di qualità. E’ quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Nature Npj Urban Sustainability’, curato da un gruppo di ricerca multidisciplinare coordinato dall’Università di Twente (Olanda) a cui hanno partecipato studiosi di vari stati europei, tra cui l’Italia con l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imaa) di Tito Scalo (Potenza) e con il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento.

I Piani di adattamento climatico rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione di Paesi, regioni e comuni per definire misure e azioni a livello territoriale per affrontare la sfida ai cambiamenti climatici e mitigarne l’impatto. Ma come valutarne la qualità e il grado di “progresso”? Quali criteri possono definirne l’efficacia, tanto nel contesto locale quanto in quello nazionale e internazionale? A queste domande ha cercato di rispondere lo studio, in base al quale il giudizio sull’Italia non è proprio lusinghiero. Tra le 32 città italiane incluse nel campione, spiega la ricercatrice Monica Salvia del Cnr-Imaa, “risulta che solo due città – Bologna e Ancona – avevano nel 2020 un Piano di adattamento: una situazione che, probabilmente, risente dell’assenza di un quadro di riferimento nazionale per supportare la definizione di strategie e Piani locali e regionali: il Piano nazionale di adattamento è infatti ancora in fase di adozione”.

Dopo l’Accordo di Parigi del 2015, è cresciuto l’interesse di studiosi e governanti verso la valutazione dei progressi dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici alle diverse scale: in questo contesto, però,” manca una metodologia univoca per valutarne la qualità e verificarne i progressi nel tempo”, dice Salvia. I ricercatori, quindi, hanno per la prima volta definito un indice di qualità, l’ADAptation Plan Quality Assessment (ADAQA), “che ci ha permesso di identificare i punti di forza e di debolezza dei processi di pianificazione dell’adattamento urbano nelle città europee”.

Dallo studio, però, emerge che i Piani presentano carenze nel livello di partecipazione pubblica al loro processo di definizione(17%), e nella definizione delle fasi di monitoraggio e di valutazione (20%). “Tuttavia – spiega la ricercatrice – la situazione è in continua evoluzione e in rapido cambiamento: monitorare lo stato di avanzamento delle politiche di adattamento nei prossimi anni sarà utile per capire se, e a che ritmo, le città europee (e italiane) si stanno muovendo verso la definizione di Piani sempre più completi e capaci di rafforzare la resilienza dei loro territori”.

L’indice è stato, quindi, calcolato per i 167 Piani di adattamento adottati tra il 2005 e il 2020 in un campione rappresentativo di 327 città medie e grandi di 28 Paesi europei, per valutarne la qualità e l’evoluzione nel tempo. Esaminando le diverse componenti dei Piani, si nota che le città sono migliorate soprattutto nella definizione degli obiettivi di adattamento e nell’identificazione di misure e azioni nei diversi settori. La capitale bulgara Sofia e le città irlandesi di Galway e Dublino hanno ricevuto i punteggi più alti per i loro Piani.

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Ghiacciai in ritirata in Antartico: febbraio 2023 quinto più caldo

Il mese di febbraio 2023 è stato il quinto più caldo a livello globale, chiudendo così un inverno considerato il secondo più caldo mai registrato in Europa. Temperature così alte da provocare la riduzione dei ghiacciai: infatti il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua estensione mensile più bassa nel record di dati satellitari, al 34% al di sotto della media di febbraio, battendo il precedente record di febbraio 2017. Anche l’estensione giornaliera del ghiaccio marino antartico ha raggiunto un minimo storico, superando il record precedente stabilito in febbraio 2022. Sono i dati elaborati dal Copernicus Climate Change Service (C3S), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione europea con finanziamenti dell’Ue.

Le condizioni più calde della media più notevoli sono state riscontrate nel nord della Norvegia e in Svezia, in tutta la Russia nordoccidentale nelle aree circostanti il mare di Kara e nella regione delle Svalbard. Anche il Regno Unito ha avuto il suo quinto febbraio più caldo in un record che risale al 1884. Al contrario, sono state riscontrate temperature mensili più fredde della media nella penisola iberica, in Turchia e in parti del Caucaso. In Europa, la temperatura media da dicembre 2022 a febbraio 2023 è stata 1,44 C sopra la media della stagione 1991-2020: si tratta, sottolinea Copernicus, del secondo valore invernale più caldo mai registrato in Europa. L’inverno del 2019/2020 è stato di quasi 1,4 C più caldo e questa stagione invernale è stata di 0,03 C rispetto al 2016 e al 2007.

Il ghiaccio marino, che si scioglie in estate e si ricostruisce in inverno, ha raggiunto “la sua estensione più bassa nei 45 anni in cui sono stati registrati i dati satellitari” il 16 febbraio, ha dichiarato Samantha Burgess, vicecapo dell’Osservatorio del cambiamento climatico di Copernicus. “L’estensione minima giornaliera del ghiaccio marino in Antartide è stata raggiunta il 16 febbraio 2023 con un’estensione totale di 2,06 milioni di km²”. Questi dati confermano quelli dell’osservatorio americano di riferimento, il National Snow and Ice Data Center (NSIDC), che aveva annunciato di aver misurato a febbraio un’estensione minima record del ghiaccio marino antartico. L’NSIDC ha infatti fatto notato un’estensione minima di “1,79 milioni di chilometri quadrati” raggiunta il 21 febbraio, specificando che si trattava di una cifra “preliminare”. Da confermare, già ben al di sotto il record di febbraio 2022. Lo scioglimento del ghiaccio marino non ha un impatto immediato sul livello del mare, perché si forma congelando l’acqua salata già presente nell’oceano. Ma il suo scioglimento sottopone la calotta glaciale all’assalto delle onde. Tuttavia, questa calotta glaciale – uno spesso ghiacciaio d’acqua dolce che ricopre l’Antartide – è particolarmente monitorata dagli scienziati perché contiene abbastanza acqua da provocare un catastrofico innalzamento del livello degli oceani se mai dovesse sciogliersi. “Le calotte polari sono un indicatore della crisi climatica ed è importante monitorare da vicino i cambiamenti che stanno avvenendo lì“, ha spiegato Burgess. Per Copernicus, si tratta dell’ottavo anno consecutivo che questa banchisa si è sciolta più del minimo medio del mese di febbraio (3,4 milioni di chilometri quadrati nel periodo 1991-2020). Questa osservazione fa temere che al Polo Sud si stia verificando per la prima volta un trend significativo di riduzione del ghiaccio marino, mentre era relativamente stabile nei quattro decenni precedenti nonostante forti variazioni annuali, a differenza del Polo Nord dove lo scioglimento è molto marcato.

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Clima, lo studio: 500 milioni di migranti ogni grado in più

Clima e migrazione. Un binomio che sempre di più è destinato a ridisegnare logiche e agende. L’ultima tragedia a largo delle coste di Crotone vede la politica tornare a insistere sulla necessità di non far partire i cittadini di altri Paesi, di non farli salire in nave né, ancora, farli salpare. Una logica italiana, ma non solo, perché l’Italia ha in Europa diversi alleati che sposano questa linea. Ma dal nostro Paese arriva un promemoria che suona da campanello d’allarme. Ener2Crowd.com, la piattaforma italiana di lending crowdfunding ambientale ed energetico, torna ad accendere i riflettori su un fenomeno che sarà sempre più ‘la problematica’ con la ‘P’ maiuscola: “Se la temperatura continua ad alzarsi il rischio è quello di ritrovarsi con 500 milioni di profughi per ogni grado in più sulla Terra”. Questo dato sui migranti climatici rappresenta “una stima realistica, considerando che già lo scorso anno si è avuto globalmente il 40% di piogge in meno rispetto alla media degli ultimi 30 anni” .

Ma soprattutto, al netto dei numeri, il fenomeno è realtà. Ener2Crowd.com cita i dati delle Nazioni Unite, e ricorda che già oggi nel mondo una persona su 78 è sfollata ed in tre casi su quattrosi tratta di persone costrette ad emigrare proprio a causa dei cambiamenti climatici, con una percentuale raddoppiata rispetto a 10 anni fa”. In totale, continua la piattaforma, “in totale abbiamo già raggiunto il preoccupante numero di 100 milioni di profughi ambientali”. Le persone si mettono in marcia e lo faranno sempre di più, che i governi – italiano e non solo – vogliano o meno. Di questo sono consapevoli anche a Bruxelles, e molto bene.

In Parlamento europeo non mancano documenti di lavoro e analisi sull’argomento. Uno degli ultimi, datato maggio 2022. Anche qui si fa riferimento a stime dell’Onu, che suggeriscono come lo stress idrico da solo potrebbe sfollare 700 milioni di persone entro il 2030. Non sfuggono agli europarlamentari neppure i dati della Banca mondiale, secondo cui potrebbero esserci 216 milioni di migranti climatici interni entro il 2050, “a meno che non vengano intraprese azioni correttive”. Parlare di 216 milioni di persone vuol dire parlare dell’equivalente di un numero superiore alla somma delle popolazioni di Germania, Francia e Italia messe insieme. Tre Stati membri dell’Ue in movimento a causa dei cambiamenti climatici.

La conclusione dei documenti di lavoro prodotti e distribuiti nella varie commissioni parlamentari è sempre la stessa. “Si prevede che il cambiamento climatico porterà a una migrazione sempre più massiccia dalle regioni vulnerabili”. Sono queste le persone che i governi europei vorrebbero non si mettessero in marcia. Se il blocco dei Ventisette vuole davvero evitare le morti in mare e nuove pressioni migratorie sulle proprie frontiere, “l’Ue deve incoraggiare uno sforzo globale per prevenire le crisi climatiche”. Vuol dire non solo attuare il Green Deal che ci si è posti, ma essere attivi a livello internazionale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e contenere il surriscaldamento del pianeta. Ma soprattutto, l’Europa deve essere pronta a “fornire aiuti umanitari a coloro che sono stati spinti via dalle loro case”. Perché sulla scia dei cambiamenti climatici ci si sposterà.

Servirà uno sforzo politico. L’Ue di oggi non sembra disposta a fare quel cambio di passo che la situazione imporrebbe. La Convenzione sui rifugiati del 1951 non riconosce lo stress climatico come motivo per richiedere lo status di rifugiato. Secondo gli esperti del Parlamento europeo “sarebbe in linea con il suo ruolo di attore principale contro il cambiamento climatico se l’Ue spingesse per il riconoscimento dello status di rifugiato climatico”. Ma vorrebbe dire accogliere, e in numeri in prospettiva sempre crescenti. Qualcosa per cui l’Ue di oggi non sembra pronta.

Caldo record

Troppo caldo in Australia: a rischio date mondiali cross country

Ondate di calore sempre più intense causate dal riscaldamento globale potrebbero costringere a modificare il calendario delle competizioni più impegnative. L’allarme è stato lanciato dal capo della federazione internazionale di atletica leggera. “È un dato di fatto che viviamo in un mondo in rapida evoluzione e che il cambiamento climatico è molto dirompente per le nostre attività”, ha dichiarato il capo di World Athletics Sebastian Coe. “Quindi penso che dovremo riflettere molto su come dovrà essere il calendario e forse disaccoppiare alcuni degli eventi di resistenza più impegnativi dai campionati mondiali nei mesi estivi“, ha aggiunto. “Nei prossimi anni dovremo considerare il calendario in modo diverso, perché non vedo come potremo risolvere le sfide (delle ondate di calore) che abbiamo nel prossimo futuro”, ha detto ai media in Australia, dove sabato iniziano i Campionati mondiali di cross country.

Le Olimpiadi estive e i Campionati mondiali di atletica leggera si tengono solitamente nei mesi di luglio e agosto, quando le ondate di calore nell’emisfero settentrionale possono mettere a rischio l’integrità fisica degli atleti. Alle Olimpiadi di Tokyo del 2021, per evitare il clima caldo e umido del Giappone, gli organizzatori hanno scelto di spostare le due maratone a 800 km a nord della capitale, ma questo non ha dato i suoi frutti perché anche l’isola di Hokkaido è stata colpita dall’ondata di calore. “È una questione molto importante“, ha dichiarato l’ex campione di mezzofondo.
Qualche anno fa, infatti, è stato necessario riprogrammare le gare dei 5.000 e dei 10.000 metri ai test statunitensi in Oregon a causa delle alte temperature di giugno in questa regione degli Stati Uniti nord-occidentali, nota per il suo clima temperato. Se i Giochi di Parigi, in programma nel 2024, “si fossero svolti l’estate precedente o quella prima, ci saremmo trovati esattamente nella stessa situazione“, ha dichiarato Sebastian Coe.

Clima, attivisti bloccano il Ponte della Libertà a Venezia

Questa mattina, verso le 10, sei attivisti di Ultima Generazione hanno bloccato il traffico presso il Ponte della Libertà di Venezia sedendosi sull’asfalto della carreggiata del senso di marcia che conduce verso la Serenissima. Con loro alcuni striscioni con scritto ‘No gas no carbone’. Lo fanno sapere dal movimento in una nota in cui si precisa che “nella lunga colonna di auto creatasi in seguito al blocco si trovavano anche almeno dieci autobotti di raffinerie. I cittadini della campagna di disobbedienza civile per tutta la durata dell’azione hanno dialogato con gli automobilisti presenti, discutendo della gravità della situazione climatica corrente e dell’inaccettabilità dell’inazione della Politica per contenerne i danni”.
Dopo circa venti minuti di blocco, sono arrivate sul posto le forze dell’ordine, che in poco tempo hanno portato via i presenti.
“Siamo qui oggi a bloccare il Ponte della Libertà per denunciare le politiche portate avanti dal nostro Governo e che negli anni a venire priveranno le generazioni future della loro libertà e dei loro diritti di lavorare e di vivere in sicurezza, in un mondo che sarà ormai devastato dai cambiamenti climatici”, ha dichiarato uno degli attivisti.

Per il movimento Venezia è un caso esemplare di situazione ad alto rischio a causa degli effetti del collasso eco-climatico in Italia. “È certo, infatti, che sul territorio italiano questa città simbolo sarà tra le prime a essere colpita sempre più regolarmente da fenomeni quali l’innalzamento dei mari, la salinizzazione dei territori coltivabili e tempeste, che porteranno a un progressivo abbandono di queste meravigliose zone, si legge nella nota.
Gli attivisti richiamano alla memoria collettiva quanto accaduto di recente a Ischia e nelle Marche, cartina tornasole del fatto che “gli investimenti in provvedimenti palliativi e di recupero danni causati da eventi atmosferici estremi già avvenuti non sono più sufficienti né accettabili; occorre un immediato cambiamento di rotta per affrontare il problema in tutta la sua complessità e immediatezza”.
La nota degli attivisti spiega infine che “l’intera pianura Padana, come il meridione, diventeranno nel prossimo decennio zone invivibili, con un conseguente aumento delle tensioni interne, legate ai flussi migratori per trovare nuovi terreni coltivabili e abitabili. Una visione chiara di ciò che sarà il nostro futuro la osserviamo con sguardo disattento e distaccato quando ci arrivano le notizie su ciò che sta accadendo da diverso tempo in Africa, nel Medio Oriente e in zone del Sud Est asiatico, in cui le migrazioni climatiche sono realtà già drammaticamente attualissime. Il monito, cui assistiamo da una prospettiva di totale indifferenza e insensibilità, deve arrivare a colpire chiunque, smuovendo il bisogno di domandare con forza ai nostri Governi azioni concrete e rapide per prevenire simili scenari, più che probabili anche per noi”.