Sensori, droni e satelliti: Israele coltiva nel deserto con l’hi-tech

La sfida al cambiamento climatico, in agricoltura, parte da Israele. Noto per il clima arido e le risorse idriche limitate, è riuscito comunque a “trasformare il suo panorama agricolo attraverso innovazioni rivoluzionarie”. Raphael Zinger, ministro per gli Affari Scientifici ed Economici dell’Ambasciata d’Israele in Italia, spiega come il Paese sia diventato “leader globale nella tecnologia agricola, apportando contributi significativi a pratiche sostenibili e alla sicurezza alimentare”.

Pioniere nelle tecniche di irrigazione efficiente, Israele ha sviluppato sistemi di irrigazione a goccia avanzati che forniscono acqua direttamente alle radici delle piante, riducendo gli sprechi e massimizzando il rendimento delle colture. Un approccio che, spiega il consigliere, “non solo ha ridotto il consumo di acqua, ma ha anche aumentato la produttività, consentendo agli agricoltori di coltivare una varietà di colture in ambienti aridi”.

L’agricoltura israeliana ha poi abbracciato tecnologie all’avanguardia come l’agricoltura di precisione, l’automazione e l’analisi dei dati. Con l’uso di sensori, droni e immagini satellitari, gli agricoltori possono raccogliere dati in tempo reale sulle condizioni del suolo, la salute delle piante e i modelli meteorologici. Questo approccio basato sui dati, osserva Zinger, “consente un’allocazione precisa delle risorse, ottimizzando l’uso di fertilizzanti, pesticidi e acqua, con conseguente aumento dell’efficienza e riduzione dell’impatto ambientale”.

Oggi fare agricoltura senza sistemi di irrigazione che possano o risultare d’emergenza o mediare le precipitazioni, è impensabile“, fa eco Aaron Fait, docente della Ben Gurion University, esperto di miglioramento delle colture agricole e vitivinicole in ambienti a scarsa disponibilità idrica e desertici.
Creare un sistema molto più efficiente è il punto di partenza. Questo “vale anche per il riciclo dell’acqua. Israele riutilizza l’80% dell’acqua, che viene tutta riutilizzata in agricoltura. Dopo Israele c’è la Spagna con un 40%“, rivendica.

Anche rispetto all’aumento di temperatura, si può fare qualcosa per difendere le piante. Ad esempio, si possono “creare dei modelli per riuscire ad anticipare le ondate di caldo torrido durante la stagione della crescita della pianta, arrivare sul campo e creare strategie per mitigare l’innalzamento della temperatura“, afferma. “Si possono poi proteggere i frutti da radiazioni solari, si possono avere reti che proteggono il frutto in periodi specifici della stagione. A livello tecnico e agronomico abbiamo molte possibilità“.
La viticoltura nel deserto del Negev può essere un modello per l’Europa, anche per il futuro, in considerazione del cambiamento climatico e della necessità di adattamento: “Un aumento di temperatura di 2 gradi potrebbe portare a una perdita del 50% delle varietà delle viti, se non viene mantenuta la biodiversità”, spiega Fait. Allo studio, fa sapere, ci sono “varietà di viti che resistono meglio al surriscaldamento globale”.

caldo

Si chiude a Bonn la conferenza sul cambiamento climatico: braccio di ferro su combustibili fossili

La necessità di accelerare la riduzione delle fonti fossili è stata il punto focale e della discordia della conferenza di Bonn sul cambiamento climatico, che si è chiusa giovedì sera e che ha chiamato in Germania i rappresentanti di 200 Paesi. Dieci giorni di dialogo e confronto su transizione energetica equa, sostegno all’adattamento climatico e attuazione di un fondo per finanziare le “perdite e danni” dei Paesi più poveri. Discussioni cruciali in vista della Cop28, che si terrà a Dubai a dicembre, con l’obiettivo di riportare l’umanità sulla traiettoria più ambiziosa dell’accordo di Parigi: limitare il riscaldamento globale a 1,5°C dall’era preindustriale, perché l’attuale tasso di emissioni porterà la Terra a +2,8°C entro il 2100.

“Il cambiamento climatico non è una questione ‘Nord contro Sud’, è un maremoto che non fa distinzioni” e “l’unico modo per evitare di essere travolti è investire nell’azione per il clima”, ha avvertito il segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il clima, Simon Stiell, durante la chiusura della conferenza.

Nel mirino del suo discorso, il lungo braccio di ferro che ha opposto Unione Europea e gruppo Lmdc (una ventina di Paesi emergenti, tra cui Cina, India e Arabia Saudita). L’Ue ha voluto intensificare le discussioni sulla riduzione dei gas serra. Ma, in cambio, si è addentrata in ulteriori trattative sugli aiuti finanziari che i Paesi ricchi, cioè i principali responsabili del riscaldamento globale, devono ai Paesi poveri. Anche perché finora le promesse non sono state mantenute. “La riluttanza dei Paesi sviluppati a prendere un vero impegno” sui finanziamenti è stata denunciata dall’ambasciatore cubano, che ha parlato a nome del gruppo G77+Cina (si tratta infatti di 134 Paesi in via di sviluppo, oltre l’80% della popolazione mondiale). “Ogni Paese ha il diritto di seguire i propri percorsi di sviluppo e di transizione”, ha detto ancora nella sua dichiarazione finale, sostenuta dalla maggior parte dei Paesi del Sud, che hanno perso la fiducia nei Paesi sviluppati. “Stiamo rispettando i nostri impegni finanziari per il clima”, ha affermato l’Unione Europea, ricordando la necessità di diversificare le fonti di denaro poiché la maggior parte dei finanziamenti privati ​​per il clima sfugge ai Paesi in via di sviluppo.

La questione sarà, il 22 e 23 giugno, al centro del vertice di Parigi per un nuovo patto finanziario globale. E ancora in agenda a settembre, al vertice sull’azione per il clima organizzato a New York dal segretario generale Onu Antonio Guterres, che giovedì ha definito i combustibili fossili “incompatibili” con la sopravvivenza dell’umanità.

Gli occhi sono puntati soprattutto sul presidente della Cop28, il sultano al-Jaber, capo della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti, che ha partecipato alla conferenza di Bonn l’8 e 9 giugno. Sotto pressione da parte degli ambientalisti, si è accontentato di incontrare le delegazioni, senza tenere una conferenza stampa. “È giunto il momento per lui di passare dalla modalità di ascolto alla modalità di azione”, ha dichiarato Alden Meyer, veterano della Cop presso il think tank E3G, rammaricandosi di “un’occasione persa” per farlo a Bonn. In un cambio di narrazione simbolica, però, il sultano ha riconosciuto durante un ricevimento che la riduzione dei combustibili fossili è “inevitabile”.

Gli osservatori attendono ancora una roadmap concreta per la Cop28, che si terrà sulla scia della prima valutazione globale, a settembre, dei progressi compiuti dalle nazioni per ridurre le proprie emissioni dal 2015. “Il divario tra i risultati politici di Bonn e la dura realtà climatica sembra già enorme”, sottolinea Li Shuo, esperto di Greenpeace, che in questo gap vede il “preludio alle turbolenze politiche della Cop”. A Dubai, per la prima volta, i partecipanti dovranno dichiarare i loro possibili legami (“affiliazioni”) con le aziende, una vittoria della società civile che ha chiesto questa misura contro l’influenza mascherata delle industrie fossili.

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siccità

La Terra brucia: record mondiale di temperatura a inizio giugno

I primi undici giorni di giugno sono stati i più caldi mai registrati in questo periodo dell’anno. A rivelarlo è il Copernicus Climate Change Service (C3S), uno dei sei servizi informativi tematici offerti dal programma dell’Unione europea di osservazione della Terra Copernicus. E’ la prima volta che le temperature dell’aria superficiale globale hanno superato il livello preindustriale di oltre 1,5⁰C durante il mese di giugno. Il servizio di osservazione della Terra dell’Unione europea da satelliti e stazioni su terra e in mare ha monitorato la frequenza con cui le temperature globali giornaliere hanno superato questo limite, “un buon indicatore di quanto velocemente ci stiamo avvicinando alla soglia di 1,5 gradi fissata dall’Accordo di Parigi”, precisa il bollettino.

Il nuovo record arriva dopo la dichiarazione ufficiale dell’emergere del fenomeno El Niño e le temperature record della superficie marina del mese scorso. Nonostante sia la prima volta che il limite viene superato a giugno, “non è la prima volta che l’aumento della temperatura media globale giornaliera supera il livello di 1,5 gradi”, precisa Copernicus. La soglia è stata superata per la prima volta a dicembre 2015 e ripetutamente superata negli inverni e nelle primavere del 2016 e del 2020.

“Il mondo ha appena registrato il suo inizio di giugno più caldo mai registrato, dopo un mese di maggio che è stato meno di 0,1°C più freddo del maggio più caldo mai registrato. Il monitoraggio del nostro clima è più importante che mai per determinare quanto spesso e per quanto tempo gli aumenti delle temperature globali superano 1,5°C. Ogni singola frazione di grado è importante per evitare conseguenze ancora più gravi della crisi climatica”, ha dichiarato Samantha Burgess, vicedirettrice del Copernicus Climate Change Service (C3S).

Alluvione

La strage del cambiamento climatico: 195mila morti in Europa dal 1980 a oggi

Eventi meteorologici estremi come ondate di calore e inondazioni sono costati circa 195.000 vite e quasi 560 miliardi di euro in Europa dal 1980. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea). “Gli eventi meteorologici e climatici estremi – si legge nel documento – hanno causato perdite economiche stimate in 560 miliardi di euro nell’Ue tra il 1980 e il 2021, di cui solo 170 miliardi di euro (30%) sono stati assicurati” e hanno causato quasi 195.000 vittime, ha osservato l’agenzia europea, che ha messo on line un nuovo portale che raccoglie i dati più recenti relativi all’impatto di questi eventi.

A febbraio 2022 il bilancio presentato dall’Aea ammontava a 510 miliardi di euro e 142mila morti, per il periodo 1980-2020. Nel 2021 le inondazioni in Germania e Belgio sono costate quasi 50 miliardi di euro.

“Per evitare ulteriori vittime, dobbiamo passare urgentemente dalla reazione agli eventi meteorologici estremi alla preparazione proattiva”, spiega Aleksandra Kazmierczak, esperta dell’Aea.

Nel nuovo database dell’agenzia le ondate di caldo rappresentano l’81% del bilancio delle vittime e il 15% dei danni finanziari. L’estate 2022, proprio a causa del caldo, ha visto un numero di morti superiore alla media in tutta Europa. Ci sono stati 53.000 (16%) decessi in più nel luglio 2022 rispetto alla media mensile per il 2016-2019, anche se non tutti sono direttamente attribuiti al caldo. La Spagna ha registrato più di 4.600 morti legate al caldo estremo tra giugno e agosto.

I modelli climatici prevedono per il futuro ondate di caldo estremo più lunghe, più intense e più frequenti, che “devono costringere l’Europa – spiega l’Agenzia – ad agire per proteggere la sua popolazione che invecchia ed è più vulnerabile alle alte temperature”. “La maggior parte delle politiche nazionali di adattamento riconosce gli effetti del calore sui sistemi cardiovascolare e respiratorio, ma meno della metà copre gli effetti diretti del calore come la disidratazione o il colpo di calore”, osserva l’istituto comunitario.

Sul suolo, il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha aumentato la probabilità di siccità da cinque a sei volte nel 2022, anno in cui gli incendi boschivi sono stati più del doppio rispetto agli ultimi anni, osserva il rapporto. Ma la siccità potrebbe rivelarsi anche estremamente costosa, passando dagli attuali 9 miliardi di euro all’anno a 25 miliardi all’anno alla fine del secolo se il riscaldamento resterà entro la soglia di 1,5°, ma potrebbe salire a 31 miliardi con 2° e a 45 miliardi con 3°.

E per l’agricoltura le conseguenze potrebbero essere “devastanti”. “Gli agricoltori possono limitare gli effetti negativi adattando le varietà delle colture, cambiando le date di semina e modificando i metodi di irrigazione”, spiega l’Aea. “Se non ci adattiamo, si prevede che i raccolti e i redditi agricoli diminuiranno in futuro”, è l’avvertimento dell’Agenzia ambientale europea.
Infine, pur con perdite umane molto inferiori (2% del totale), le inondazioni sono i disastri più costosi, rappresentando il 56% del conto finale.

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prodotti alimentari

La dieta che fa bene al cuore e al pianeta: meno rischi cardiovascolari ed emissioni di CO2

Una dieta buona per il cuore e buona per il pianeta, in grado non solo di prevenire i rischi cardiovascolari, ma anche di ridurre del 48% le emissioni di gas serra, legate agli attuali consumi europei. Il piano alimentare è stato presentato al XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (Sinu) ed è frutto del progetto sviluppato dall’Unità di Ricerca su Nutrizione, Diabete e Metabolismo dell’Università Federico II di Napoli, con la collaborazione di ricercatrici indipendenti e di altre afferenti al Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici e al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. La dieta ha ricevuto il Premio Barba, come migliore ricerca scientifica condotta nel campo della nutrizione umana da un ricercatore iscritto alla Sinu di età inferiore ai 35 anni.

Le scelte alimentari, spiega la Sinu, “influenzano e rendono strettamente interconnesse la salute umana e quella ambientale, essendo responsabili della metà dei decessi per malattie cardiovascolari (prima causa di morte in Europa e nel mondo) ed al contempo generando più di un terzo delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, implicate nell’attuale crisi climatica”. Le consolidate evidenze sul potenziale nocivo delle scelte alimentari per la salute del pianeta “rendono sempre più urgente la diffusione e l’adozione di diete sane e adatte alla mitigazione del cambiamento climatico”.

Grazie ai dati di associazione tra consumo di specifiche quantità dei diversi alimenti e il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, è stato definito un modello alimentare basato sulle frequenze e le quantità di consumo ottimali di ciascun alimento per la prevenzione cardiovascolare. Questo piano alimentare settimanale è stato confrontato con la dieta abituale della popolazione europea ed è stata, quindi, valutata l’adeguatezza nutrizionale e l’impatto sul clima in termini di emissioni di gas serra dei due modelli alimentari.

I risultati hanno mostrato che la dieta ottimale per la prevenzione cardiovascolare non prevede l’esclusione di alcun alimento, ma li assortisce tutti nelle frequenze e nelle quantità appropriate, secondo i dati disponibili in letteratura (vegetali freschi, cereali integrali e yogurt ogni giorno, legumi e pesce fino a 4 volte a settimana, uova, formaggi e carni bianche non più di 3 volte a settimana, carni rosse, cereali ad alto indice glicemico o patate non più di una volta a settimana, carni processate occasionalmente).

Rispetto alla dieta degli europei, quella desiderabile per la prevenzione cardiovascolare include un maggior consumo di frutta e verdura, cereali integrali, cereali raffinati a basso indice glicemico come la pasta, frutta secca a guscio, legumi e pesce, a scapito di carne bovina, burro, cereali ad alto indice glicemico, patate e zucchero. Questo modello alimentare è in grado di assicurare l’assunzione di tutti i macro e micro nutrienti nelle quantità raccomandate dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e di migliorare il profilo nutrizionale della dieta attuale della popolazione europea. Infine, lo studio ha dimostrato che la dieta sviluppata per l’ottimizzazione del rischio cardiovascolare è in grado di ridurre del 48,6% le emissioni di gas serra legate agli attuali consumi europei.

Ultima Generazione condannata in Vaticano per blitz ai Musei

Tre attivisti di Ultima Generazione sono stati condannati in Vaticano per un blitz nei Musei, il 18 agosto dello scorso anno.

Due di loro, Ester Goffi, 26 anni, e Guido Viero, 61anni, hanno usato della colla per incollarsi alla statua del Laocoonte mentre una terza attivista, Laura Zorzini, filmava l’azione. Il Tribunale Vaticano ha condannato i primi due a 9 mesi di carcere (pena sospesa), una multa di 1.500 euro e un risarcimento di 28.148 euro, per un danno che gli attivisti considerano “inesistente”. Nove mesi di carcere “per un grammo di colla: una sentenza esagerata, che non vuole riconoscere la drammaticità della situazione che motiva tutte le nostre proteste”, lamentano sui social. Il tribunale ha condannato anche la terza militante a pagare un’ammenda di 120 euro per il reato di trasgressione “a un ordine legalmente dato dall’autorità competente”.

“Ci sentiamo, oggi più che mai, figlie e figli di Laocoonte mandati incontro al loro destino dopo che chi governa si dimostra sordo all’avvertimento che la catastrofe è dietro l’angolo”, tuonano gli ambientalisti.

“Ci domandiamo se arriverà anche la condanna del Pontefice – data la determinazione con cui Papa Francesco parla di lotta alla crisi climatica – e, soprattutto, a chi sarà rivolta: a di noi oppure a chi, investendo nel fossile, ci sta condannando a morte?”, domandano i militanti di Ultima Generazione, che chiedono a chi li segue di contribuire alle spese legali e a condividere la notizia.

Ultima Generazione presenterà ricorso alla Corte di Appello contro la sentenza che è, ribadiscono, “spropositata e ingiusta”.

Björk sempre più attenta al clima: cancella tre date del tour per limitare impatto

Photo credit: AFP

Impegnata nella musica ma anche sulle tematiche ambientali. L’artista islandese Björk spera “che Elon Musk e i suoi amici tecnologici facciamo autobus turistici elettrici. Potreste passargli il messaggio?”, dice in un’intervista a AFP. Da tempo la musicista ha intensificato gli sforzi per limitare l’impatto dei suoi tour. Infatti ha cancellato tre date di ‘Cornucopia’, previste per l’inizio di giugno in Islanda, poiché il suo ambizioso allestimento scenico avrebbe richiesto ulteriori strutture nella piccola isola natale. “È la prima volta che non riesco a portare uno dei miei spettacoli in Islanda e la cosa mi rattrista molto, ma ho fatto di tutto“, ha dichiarato l’artista all’AFP.

Per questo sostiene che “sarebbe meglio avere più opzioni ‘verdi’. Speravo che Elon Musk e i suoi amici tecnologici realizzassero autobus turistici elettrici o barche con motori alimentati dal vento e dal sole per i musicisti in tournée“. E immagina “una specie di Coachella (festival che si tiene tradizionalmente in California, ndr) con una barca da festival che attraversa gli oceani senza aerei“.

Alla domanda su questo mondo post-crisi sanitaria che avrebbe dovuto essere più attento all’ambiente, Björk risponde: “Penso che il cambiamento stia avvenendo molto lentamente, sarebbe meglio se avvenisse più velocemente, ma sono ancora fiduciosa, mi dico che è una cosa generazionale“. “Almeno durante Covid abbiamo avuto uccelli che cantavano più forte, aria più pulita, meno aerei. Sappiamo che è possibile, che se vogliamo possiamo farlo“.

Nel frattempo, l’attenzione attuale è rivolta alla preparazione della ripresa del tour europeo di ‘Cornucopia’ (dal 1° settembre in Portogallo, l’8 settembre a Parigi, alla Bercy/Accor Arena, con una data finale a Floirac, vicino a Bordeaux, il 5 dicembre). Lo spettacolo si conclude proprio con un video messaggio dell’attivista per il clima Greta Thunberg.

Nelle grotte del Périgord un archivio nascosto di 500mila anni di cambiamenti climatici

(Photocredit: AFP)

Lampada frontale in testa, il ricercatore Dominique Genty si addentra più volte all’anno, dal 1992, nella profondità delle gallerie sotterranee di Villars, in Dordogna, nel sud-ovest della Francia per decifrare l’evoluzione del clima. Sotto una griglia metallica che consente ai turisti di ammirare le sagome dei cavalli trainati 20.000 anni fa o il magico spettacolo di migliaia di stalagmiti, stalattiti e altri formazioni calcaree, il paleoclimatologo del Perigord studia gli “speleotemi”, depositi minerali secondari.
La grotta contiene informazioni inestimabili: l’ossigeno presente nell’acqua piovana infiltrata, accumulata e dissolta nel sottosuolo fino a formare, nel corso dei millenni, concrezioni calcaree, e il carbonio, derivante dal susseguirsi delle piante al di sopra della grotta. Fissando i due elementi, queste stalagmiti hanno “registrato” il clima del passato. “La loro variazione è legata all’abbondanza o meno di vegetazione sopra la grotta, e siccome la presenza di vegetazione in superficie è direttamente legata al clima, questi elementi ci informano sulla sua evoluzione”, riassume il responsabile della ricerca.

Con Ludovic Devaux, ex sommozzatore della Marina francese ora assistente ingegnere, il ricercatore esplora le grotte europee e nordafricane per raccogliere stalagmiti, veri e propri archivi climatici. Solo le formazioni già danneggiate naturalmente vengono tagliate con una sega diamantata per non “distruggere l’estetica” del luogo, vicina a quella osservata dal primo homo sapiens.

Nel suo laboratorio di Bordeaux, armato di trapano odontoiatrico, lo scienziato campiona la polvere di calcite sulle stalagmiti raccolte e la inserisce in uno spettrometro di massa per misurare l’abbondanza di isotopi di carbonio e decifrare “il segnale climatico”. Uno strumento simile, che misura l’uranio e il torio, può datare il campione fino a 500.000 anni. In Cina, ad esempio, un ricercatore ha persino tracciato l’evoluzione dei monsoni locali per 640.000 anni.

A Villars l’analisi cronologica del contenuto di carbonio 14 (C14) – un isotopo radioattivo del carbonio – delle stalagmiti ha permesso di rilevare l’impatto del picco di esercitazioni nucleari effettuati nel mondo durante la Guerra Fredda. “I test effettuati in quel momento hanno rilasciato nell’atmosfera molto C14”, che poi si è infiltrato negli esseri viventi e attraverso l’acqua piovana, nelle stalagmiti sotterranee, secondo i ricercatori. Il picco di C14 misurato in altre grotte in Francia, Slovenia e Belgio è stato riscontrato diversi anni dopo dopo il 1963, data del Trattato di Mosca che ha messo fine ai test nucleari in atmosfera.

Questa scoperta prova che la maggior parte del carbonio prelevato dalle stalagmiti era proprio quello presente prima di quel momento nell’atmosfera e nella vegetazione, e serve da tracciante per conoscere meglio il tempo di infiltrazione dell’acqua e del carbonio tra la superficie e la grotta. E ha permesso di accreditare a livello scientifico la disciplina, che ora è in piena espansione con decine di laboratori in Austria, Germania, Francia, Regno Unito, Australia, Stati Uniti e Cina.
Con datazioni più lunghe, dati localizzati e bassi costi di spedizione, la ricerca sugli speleotemi delle caverne integra l’analisi dei nuclei di ghiaccio o marini, altre memorie del clima, prelevate dai poli e dagli oceani. Ricostruisce i principali cicli della storia del clima, tra glaciale e interglaciale, generati dall’evoluzione dei parametri dell’orbita terrestre, e rileva le brusche variazioni all’interno di questi cicli.

Il “progresso tecnologico” permetterà presto anche di “stimare le temperature medie” di tempi lontani, scommette Genty. Per valutare l’attuale riscaldamento legato all’attività umana, il ricercatore ha installato sensori sotterranei dal 1993 per misurare i cambiamenti di temperatura, flusso d’acqua e contenuto di CO2. A 35 metri sotto terra, in un ambiente ultra stabile, il duo di scienziati aggiorna le temperature registrate su un computer portatile: 12,2°C contro 11,1°C di trent’anni fa. Un aumento “enorme” in così poco tempo. “Abbiamo già sperimentato cambiamenti brutali” nei cicli del passato ma “mai un riscaldamento così rapido in un periodo interglaciale”, come avviene attualmente, osserva Genty.

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Clima, Papa: Scelte del decennio impatteranno per migliaia di anni

La Terra brucia, annega, frana. Gli effetti del cambiamento climatico sono ogni giorno sempre più prepotentemente davanti ai nostri occhi e dentro le nostre case. La mano dell’uomo non può fermarli, ma può inasprirli o mitigarli.

Nella Giornata mondiale dell’Ambiente, Papa Francesco torna a levare la sua voce per il Pianeta, chiedendo un’inversione di rotta, un “deciso cambiamento dell’attuale modello di consumo e di produzione, troppo spesso impregnato nella cultura dell’indifferenza e dello scarto, scarto dell’ambiente e scarto delle persone“. E si rivolge alla comunità internazionale perché riconosca “la grandezza, l’urgenza e la bellezza” della sfida.

L’incontro di Parigi del 2015, ricorda il Pontefice, è stato l’ultimo vertice di “alto livello“. L’ultimo in cui gli impegni presi potranno effettivamente avere effetti. Il tempo stringe, le scelte e le azioni messe in atto in questo decennio, osserva, “avranno impatti per migliaia di anni“.

Con la conoscenza di quanto le nostre azioni influiscano sull’ambiente, è cresciuta negli anni anche la responsabilità per le generazioni future e per i più deboli, i più colpiti dal cambiamento climatico. È, per Francesco, innanzi tutto “una questione di giustizia“, prima che di solidarietà. Per questo la cooperazione dev’essere, riflette, “responsabile“: “Il nostro mondo è ormai troppo interdipendente e non può permettersi di essere suddiviso in blocchi di Paesi che promuovano i propri interessi in maniera isolata o insostenibile“, afferma.

Il cambiamento di modello è ‘urgente‘ e “non può essere più rinviato” è il monito del Papa: “Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo consolidare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta, ben consapevoli che vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario della nostra esperienza di vita“.

Se il tema della giornata di quest’anno è incentrato sulla plastica, Francesco riceve Christopher John Kempczinski, presidente di McDonald’s Corporation: “Mi hanno detto che hanno abolito la plastica e tutto si fa con carta riciclabile“, racconta il Papa. Anche il Vaticano, nel suo piccolo, fa la sua parte. L’uso della plastica è proibito da anni: “Ci siamo riusciti al 93%, mi hanno detto. Sono passi, veri passi che dobbiamo continuare – ripete -. Passi veri“.

Fuga da Twitter degli scienziati del clima dopo l’arrivo di Musk

Gli scienziati che hanno dovuto affrontare una raffica di insulti, e persino di minacce su Twitter, stanno abbandonando il famoso social network, dove il negazionismo climatico è aumentato da quando Elon Musk ne ha assunto il controllo. Peter Gleick, scienziato del clima e dell’acqua con un seguito su Twitter di quasi 99.000 persone, ha annunciato il 21 maggio che non avrebbe più postato sulla piattaforma, accusandola di amplificare il razzismo e il sessismo. Il ricercatore ha dichiarato di essere abituato ad “attacchi aggressivi, personali e ad hominem, fino a minacce fisiche dirette“. Ma, ha dichiarato, “negli ultimi mesi, dopo l’arrivo del nuovo proprietario e i cambiamenti in Twitter, la quantità e l’intensità degli attacchi è salita alle stelle“.

Da quando ha acquistato Twitter sei mesi fa, il miliardario Elon Musk ha allentato la moderazione dei contenuti problematici e ha permesso a personaggi precedentemente bannati, come Donald Trump, di tornare. Robert Rohde di Berkeley Earth ha analizzato l’attività di centinaia di account di esperti di scienze climatiche molto seguiti prima e dopo l’acquisto di Twitter  e ha concluso che questi tweet non hanno più avuto la stessa risonanza: il numero medio di “mi piace” (per indicare l’approvazione) è sceso del 38% e sono stati retwittati il 40% in meno.

Twitter non ha commentato direttamente le modifiche ai suoi algoritmi, che generano traffico e visibilità sulla rete. Quando è stato contattato, l’ufficio stampa dell’azienda ha risposto con un’e-mail generata automaticamente… con un emoji di cacca. A gennaio Elon Musk aveva comunque spiegato la filosofia alla base dei cambiamenti:le persone a destra dovrebbero vedere più cose di ‘sinistra’ e le persone a sinistra dovrebbero vedere più cose di ‘destra’”. “Ma si può semplicemente bloccare se si vuole rimanere in una camera d’eco“.

In un’altra analisi, la famosa scienziata del clima Katharine Hayhoe ha esaminato le risposte allo stesso tweet che ha pubblicato volontariamente due volte, prima e dopo l’acquisizione di Twitter. Le risposte dei troll o dei bot – account automatizzati che diffondono regolarmente disinformazione – sono aumentate da 15 a 30 volte rispetto ai due anni precedenti. Fino all’acquisizione di Twitter in ottobre, “il mio account cresceva costantemente, con almeno diverse migliaia di nuove persone che mi seguivano ogni mese. Ma da allora la situazione non è cambiata”, ha detto.
Andrew Dessler, professore di scienze atmosferiche alla Texas A&M University, ha deciso di spostare la maggior parte delle sue comunicazioni sul clima su un’altra piattaforma, chiamata Substack. “Le comunicazioni sul clima su Twitter sono meno utili perché trovo che i miei tweet ottengano meno engagement”, afferma. “In risposta a quasi tutti i tweet sul cambiamento climatico, sono sommerso da risposte di account verificati con affermazioni fuorvianti o disinformate”, sottolinea.

Altri hanno semplicemente abbandonato Twitter. Katharine Hayhoe calcola che dei 3.000 scienziati del clima da lei elencati, 100 sono scomparsi dopo l’insediamento dell’azienda dell’uccellino blu. La glaciologa Ruth Mottram era seguita da più di 10.000 persone su Twitter, ma ha scelto di abbandonare a febbraio, unendosi a un forum di scienziati su Mastodon, un social network decentralizzato creato nel 2016. È soddisfatta di aver trovato un ambiente “molto più tranquillo”. “Non ho incontrato insulti e nemmeno persone che mettevano in dubbio il cambiamento climatico”, racconta.

Michael Mann, un importante scienziato del clima dell’Università della Pennsylvania, anch’egli regolarmente attaccato online, ritiene che l’aumento della disinformazione sia “organizzato e orchestrato” dagli oppositori delle politiche climatiche. In un libro pubblicato nel 2022 (“La nuova guerra del clima”), ha riferito degli sforzi dei produttori di petrolio per incoraggiare la negazione del clima sui social network. “I troll professionisti stanno manipolando l’ambiente su Internet con pubblicazioni strategiche che generano conflitti e divisioni”, ha dichiarato all’AFP.

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